Comunità di Sant'Egidio Gli Amici Comunità di Sant'Egidio

Gambero Rosso

luglio 2002


Quando la ristorazione è a fin di bene.
L'esperienza della Comunità di Sant'Egidio.

La trattoria diversamente buona

La trattoria diversamente buona

“II nostro non è un semplice ristorante... Vi lavorano persone disabili affiancate dai loro amici che aiutano volontariamente. Insieme perché non crediamo ad un mondo diviso in due... I quadri alle pareti esprimono ciò che si può fare malgrado qualche difficoltà fisica o psichica": così, con questa nota apposta accanto al menu, si presenta agli ospiti la Trattoria degli Amici frutto del Movimento “Gli Amici" formato da persone disabili e non. Una storia diversa, non c'è dubbio. Ma diversamente buona.
LA FORZA DEGLI AMICI. La Trattoria degli Amici è il frutto del Movimento «Gli Amici» formato da persone disabili e non della Comunità di Sant'Egidio. Il Movimento nasce dalla presenza ventennale della Comunità nel mondo dei disabili. All'interno del Movimento è nata la cooperativa che gestisce la Trattoria per rispondere al problema dell'inserimento lavorativo delle persone disabili. La Comunità di Sant'Egidio è attiva in 60 paesi del mondo, con 40.000 aderenti, nell'assistenza agli emarginati, agli anziani, ai disabili, alle situazioni di povertà di ogni tipo. Rilevante e anche il suo ruolo diplomatico, decisivo per esempio nella firma della pace in Mozambico il 4 ottobre 1992 che ha messo fine a 16 anni di guerra civile con più di un milione di morti. La Comunità è impegnata anche nella Campagna per una Moratoria Universale della pena di Morte nel mondo che ha gia raccolto quattro milioni di firme. Nella Trattoria de Gli Amici, nel quartiere romano di Trastevere, lavorano a turno nove persone disabili affiancate dai loro Amici che prestano aiuto da volontari. In tutta Roma sono circa 900 le persone con handicap mentali e motori di varia gravità legati al Movimento de «Gli Amici». «II lavoro è terapeutico, guarisce, restituisce dignità», dice Giuseppe Di Pompeo, direttore della Trattoria. «Purtroppo si fa molta fatica ad inserire questi uomini e donne in spazi lavorativi. L'utile vero della Trattoria è dato propria dall'inserimento professionale di queste persone. La dimostrazione che l'handicap non è di per sé un ostacolo insormontabile e che il lavoro non lo si dovrebbe negare a nessuno». Presso la Trattoria de Gli Amici sono esposti i quadri delle persone disabili. Una mostra dei lavori si tiene ogni anno a settembre. «Abbasso il grigio» ha raccolto quest'anno le opere di 500 artisti diversamente abili» e la vendita ha finanziato la ricostruzione di un ambulatorio clinico all'interno dell'ospedale Raoul Follerau - Comunità di Sant'Egidia di Bissau (Guinea Bissau).
Ci sono persone che della logica corrente possono fare a meno. Perché hanno altre qualità. Come la premura, l'affettuosità, il candore, la bontà... Insomma, un’intelligenza del cuore che spesso manca a chi vanta un cervello in asse. Le qualità sopraddette sono rilevabili dall'espressione di un volto, da una sguardo, in un sorriso, nei gesti. Flavia e Gelsomina, per esempio. Si presentano alla Trattoria degli Amici alle 16.30 per il loro turno in cucina. Sono guardinghe e forse un po' intimorite dalla presenza di una nuova volontaria che non conoscono e che passerà con loro e i loro amici l'intero pomeriggio in cucina e la sera in sala.
Flavia vive nella casa-famiglia nel centro di Roma. Cinque pomeriggi alla settimana viene a lavorare alla trattoria. Appena arrivata, prima di cambiarsi per il suo turno, apre il frigorifero e si versa un bicchiere di aranciata colmo fino all'orlo. Poi, schernendosi come per una cosa che non si dovrebbe fare, chiede al cuoco Lamine di passare la solita tassa: una sigaretta. Gelsomina arriva invece dal Trullo, vecchia borgata romana. Flavia e Gelsomina conoscono bene i loro compiti. Sono scritti anche sul mansionario appeso alla parete. Ci sono da pulire patate, carote, preparare la macedonia... Non appena la cassetta della verdura viene portata su dalla cantina, Flavia individua subito i sei mazzetti di rughetta che le spettano da nettare. Sarà un lavoro lungo e meticoloso, ogni foglia scrutata, osservata, scelta o eliminata.
Lamine è il cuoco tunisino. È l'unico, insieme a Giuseppe Di Pompeo, uno dei coordinatori del servizio disabili della Comunità di Sant'Egidio, a ricevere una stipendio per il lavoro a tempo pieno in trattoria. Tutti gli altri, che si avvicendano in cucina e in sala, sono volontari. Lamine è da molti anni in Italia, abita a Ostia con famiglia. Ha lavorato in grandi alberghi svizzeri. Ha la calma dei cuochi di lungo corso, che sanno bene quante cose possono entrare in un ora e quante invece non vi possono entrare. Solo che qui un'ora e diversa, ha un altro calibro. Tra i volontari è di turno Rinaldo Piazzoni, una delle colonne della Comunità, insegnante di religione e grande passione per la cucina. È lui a passare in rassegna il frigorifero, a decidere che cosa cucinare o riciclare dal giorno prima. Ci sono da pulire una cassetta di spinaci e i cespi di insalata. Toccano alla paziente Gelsomina, vasca di lavaggio dopo vasca di lavaggio: impossibile trovare alla fine un granello di sabbia. Stessa pazienza viene spesa per l'intaglio dei pomodorini, opera d'arte di Natalina.
C'e la spesa spicciola da fare. Mancano i pomodori, manca il pane, il latte, le fragole... Si aspetta Massimo che si presenta come un ciclone. Massimo è di quelli che amano le battute a raffica. Come certi colleghi d'ufficio ai quali però alcune freddure non si perdonano. Appena arriva apre anche lui il frigorifero e si versa un bel bicchiere di aranciata che evidentemente va forte. Poi inizia a prendere in giro Flavia: «Flavia coupè, dove ti scarrozzo?» e anche Gelsomina che chiama per dispetto Fiordaliso. Rinaldo gli consegna la lista della spesa e i soldi. Massimo torna poco dopo trionfante con i pomodori Pachino: «So' annato a Pechino, andata e ritorno, visto come ho fatto presto? Mo' ce ritorno». E infatti deve riuscire perché mancano all'appello alcuni generi, compresi tre caffè di conforto alla cucina. Ad ogni rientro nuovo aggiornamento della lista. Massimo entra ed esce con allegria senza mai protestare e con il suo inesauribile carico di battute. Arriva anche un'amica di Gelsomina, molto estroversa e chiassosa. Ora sono tutti in sala a mettere a posto i tavoli per la sera. Sentono la Trattoria come casa loro. Qui si festeggiano tutte le ricorrenze, qui si viene tutti insieme a pranzo la domenica (a locale chiuso) dopo la messa a Santa Maria in Trastevere. Parlano infatti della festa del Movimento dell'Arcobaleno che si terra in un parco della Capitale. E parlano di vacanze. Massimo annuncia che andrà da Albano e Romina. Per dire che andrà ai Castelli romani, ad Albano. Casco nella trappola e dico: «Ah ma Albano lo conosco», ciò che fa la felicità di Massimo il cui motto di spirito e senza ombra di dubbio andato a segno (e sarei io quello sano?). Ove si dimostra che l'handicap psichico (non psichichiatrico) e solo un tabù tra i tanti. Del resto, basta dare uno sguardo alle pareti della sala dove sono appesi moltissimi quadri. Solo una persona di enorme pazienza e abilità poteva mettere insieme tutti quei puntini e tradurli in un paesaggio cosi delicato. Come nell'altro quadro con i grandi alberi: solo l'azione meccanica del braccio di un ragazzo spastico che si muova con colpi duri forti violenti poteva rendere quei tocchi di luce così intensi e decisi. Sono le opere di persone più normali di tante altre. Che hanno scoperto il vantaggio del proprio handicap. Anche Gelsomina il sabato frequenta la scuola di pittura aperta dalla Comunità. Il suo quadro è descritto come bellissimo. Peccato non lo possiamo ammirare perché e già stato venduto alla grande mostra che si è svolta, come ogni anno, a Trastevere. Ma Gelsomina sta gia lavorando al prossimo dipinto.
Mentre parliamo dei quadri, entrano in cucina anche Patrizia e suo marito Vincenzo. Si sono sposati due anni fa tra la diffidenza - abituale verso chi ha qualche difficoltà - e con il sostegno della Comunità di Sant'Egidio che ha trovato per loro un alloggio in una casa-protetta. Vincenzo lavora la mattina in una pasticceria, ma tutte le volte che Patrizia è di corvee lui comunque l'accompagna. Lei non ci sente: mentre lava i piatti, lui non la perde di vista un attimo. Patrizia sorride sempre. Qualche volta però succede che si arrabbi. Come oggi, per esempio, perché teme che Walter con un trucchetto le soffi di nuovo l'ambitissimo turno in sala. È gia successo la sera prima. Stavolta non passerà. È il messaggio che Patrizia manda con gli occhi e con i gesti. Intanto, dopo aver lavato le pentole sporcate dai cuochi, Patrizia, il marito e l'allegro gruppetto si dedicano all'apparecchiatura della sala. Si devono spostare i tavoli, mettere le tovagliette di carta, le posate, i bicchieri. Nel dare indicazioni sul da farsi, Giuseppe commette l'errore di affidarsi a concetti astratti. Che cosa può voler dire: sdoppiare il tavolo da quattro e farne due da due girandoli per sfruttare meglio lo spazio? Il risultato è che i tavoli fanno un giro di 360 gradi su se stessi. Meglio spiegare con l'esempio. È arrivato anche Valerio che pulisce i tavoli con una velocità impressionante. Eppure quando si tratta di disporre le tovagliette di carta è meticolosissimo, tutte sono perfettamente in squadra. Giuseppe controlla perché potrebbe capitare che tutte le posate siano invertite. Ma questo succede anche ai "molto abili". Ci sono invece tanti altri dettagli di cui tener conto. Per esempio si è visto che le ordinazioni prese per iscritto non funzionano. Si rischiano i tempi tecnici di un romanzo perché qualcuno ci teneva a scrivere per intero «una bottiglia di acqua minerale frizzante». Maurizio è in compenso prezioso nel prendere le ordinazioni del vino e dei beveraggi in genere. Ha iniziato come lavapiatti, ma si è capito subito che quello proprio non poteva essere il suo ruolo per via di qualche piatto che sfuggiva troppo spesso alla presa. È considerato il sommelier della trattoria. È un bel ragazzo, elegante, raffinato. È astemio, pero ha un atteggiamento empatico con chi beve. Ha l'occhio lungo di chi sa sempre quello che il cliente desidera. Della serie « basta che me lo dici una volta e non me lo dimentico più». E del vino sa tutto ciò che serve per consigliarlo. Lo ha appreso ai tavoli, cogliendo i commenti, ricordando i gusti. Non che la lista dei vini sia sterminata: Cerveteri bianco e rosso, Colle Picchioni e poche altre etichette. Maurizio si ricorda perfettamente che cosa piace ai clienti. E questo ai clienti fa piacere. Ma non solo. È lui a segnalare se in magazzino manca un certo vino e a parlare direttamente con i rappresentanti. A proposito di vino: c'è per caso in giro qualche azienda che abbia voglia di aiutare Gli Amici? Magari vendendo a prezzo di costo un po' di bottiglie in cambio di una promozione tutta speciale. Se ne potrebbe perfino incaricare Maurizio.
Lui intanto rifornisce di boccali di birra la cucina dove ferve il lavoro. Alla mia richiesta di un secondo boccale, Maurizio non può trattenersi dall'esclamare un «ehehe». Come dire: «ci diamo dentro, eh». Ad ogni passaggio in cucina per riportare i piatti, butta un occhio al livello della mia birretta per vedere se occorre passare alla terza. Ma mi fermo perché Rinaldo, che tra gli alcolizzati passa molte ore da volontario, ammonisce scherzosamente che si può finire male. Cosi, come niente.
Rinaldo si mette al computer a scrivere il menu. Da quando il ristorante è aperto non più solo ai soci e agli amici (dal primo gennaio è aperto al pubblico), occorre aggiustare il tiro sui piatti. Prima si veniva soprattutto per stare tra amici. Adesso è diverso. II menu di giornata prevede: carpaccio di cernia, mousse di baccalà, mousse di melanzane. E poi bombolotti alla carbonara, trofie con cernia e aceto balsamico, bombolotti alle zucchine, salvia e menta, cus cus vegetale. Tra i secondi maialino porchettato, calamari e cernia alla griglia al salmoriglio, polpettone in salsa di funghi eccetera eccetera. Ma ogni sera si cambia. Unico e vero handicap, i dolci. Qui è nelle mani dei volontari che certi giorni ne recapitano in abbondanza e altri se ne dimenticano o non ce la fanno a prepararli. Cosi può capitare che alle sette di sera ci sia solo qualche avanzo di torta o di gelato del giorno prima. Ma paura: c'è sempre Massimo pronto a partire. Destinazione pasticceria. Bisognerebbe però annotarsi le battute.
La sala si va riempiendo. I primi clienti sono tre ragazzi deschi che, forse, non hanno tradotto la nota apposta accanto al menu: «II nostro non è un semplice ristorante... Vi lavorano persone disabili affiancate dal loro amici che aiutano, volontariamente. Insieme perché non crediamo ad un mondo diviso in due... I quadri alle pareti esprimono ciò che si può fare malgrado qualche difficoltà fisica o psichica». I tedeschi se non hanno letto, si devono pero essere accorti di un clima un po' speciale.
Walter - quello che ha soffiato il turno in sala a Patrizia è alla postazione lavaggio piatti. Questa volta non l'ha spuntata. È un omone grande e grosso, sempre sorridente e con una passione sfrenata per il pane (infatti tendono a non farglielo affettare, anche se affettare il pane non piace a nessuno). Ci si accorge presto che il gelato di fragole è alla fine. Giuseppe non ha il coraggio di tornare in sala per dirlo ai clienti così propone di aumentare le fragole dentro alla coppetta. Maurizio, sornione, tira fuori un'altra soluzione che dovrebbe pero avere l'avallo del Padreterno: « la moltiplicazione del gelato di fragole». Avverte poi Rinaldo che fuori dalla porta ristorante c'e John, il teologo. John si affaccia solo quando sa che è di turno Rinaldo perché della bontà della sua carbonara si parla anche tra gli homeless di Trastevere. Cosi John - homeless gourmet - avrà il suo piatto di bombolotti.
Ogni volta che mette piede in cucina Maurizio non resiste alle patatine. Se ne infila in bocca quante più possibile. Da quando il ristorante ha aperto pare non l'abbiano mai visto mangiare altro che patate. Qualcuno scherza dicendo: «patate arrosto d'inverno e patate fritte d'estate». Ma lui ribatte semplicemente che non fa differenza: «Come viene, viene». Purché siano patate. Così, a fine lavoro, Lamine gli frigge una montagna di patatine. Ma è solo l'aperitivo. A casa, a tarda ora, la madre gli farà trovare una minestra. Naturalmente di patate.