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Scheda di riflessione a sostegno dell'niziativa legislativa per la riforma della legge sulla cittadinanza

promosso da: Caritas Italiana, Comunità di Sant’Egidio, Fondazione Migrantes Fondazione Centro Astalli, A.C.L.I.

FUTURI CITTADINI O ETERNI MIGRANTI?

Una normativa ormai inadeguata - L’attuale legge sulla cittadinanza (l. 5 febbraio 1992 n.91), irrealisticamente modellata su un paese di emigranti anziché di immigrazione, ha mostrato in questi anni tutta la propria incapacità di interpretare ed orientare il bisogno maturo di integrazione ed appartenenza espresso da una parte della popolazione immigrata nel nostro paese. Da questa constatazione emerge l’importanza di giungere in tempi brevi alla conclusione dell’iter parlamentare di riforma di questa delicatissima materia. Alcuni riferimenti alla normativa vigente valgono ad illustrare ragioni e direzione delle modifiche che a nostro avviso sono necessarie: Non esiste nell’attuale normativa alcuna effettiva possibilità di acquisire la cittadinanza da parte dei minori che in Italia compiono il loro percorso di formazione individuale e sociale, determinante nel costruirne l’identità personale. In effetti, i modi di acquisto della cittadinanza contemplati dalla normativa e ad oggi effettivamente attivabili sono sostanzialmente connessi all’applicazione dello ius sanguinis. L’acquisto della cittadinanza italiana avviene quindi per trasmissione dai genitori (art.1., co.1: “è cittadino per nascita il figlio di padre o di madre cittadini”) ed è fortemente valorizzato il rapporto (anche tenue) di discendenza da cittadini italiani dei residente all’estero. Nessun riconoscimento è invece presente (come pur accade in tutte le legislazioni nazionali europee o di paesi che vantano una significativa tradizione sul tema, come gli U.S.A. o il Canada) alla facoltà di acquisto basata sulla nascita o l’integrazione scolastica e sociale, possibilità queste incentrate invece rispettivamente sullo ius soli e sullo ius domicili. In questa direzione quindi occorrerebbe operare una riforma significativa della normativa vigente.

Minori di origine straniera: 600.000 problemi o 600.000 speranze? – Attualmente i minori figli di immigrati vivono tutta la loro minore età senza alcuna possibilità di divenire cittadini italiani, seppure la loro storia personale e sociale in nulla differisce da quella dei coetanei: si tratta di un’occasione perduta perché mette a dura prova il desiderio di essere italiani, contrastandolo proprio nell’età della crescita e della formazione dei valori e dell’immaginario della persona. Per questi minori (parliamo, attualmente, di più di 600.000 bambini e ragazzi) è evidente la divaricazione tra lo status giuridico e l’identità personale, costruita nell’acquisizione del patrimonio linguistico e culturale e nei legami sociali: un’intera generazione cresce e rischia di restare straniera nel paese che sente come proprio, in cui è nata, si è formata, e nel quale intende restare per sempre; ovviamente scoprendosi straniera anche nei confronti della cultura e spesso della lingua del paese di appartenenza. Di più – e con conseguenze socialmente assai gravi – l’esclusione dalla cittadinanza di giovani ed adolescenti già di fatto italiani, rischia di sospingerli verso la reinvenzione e la sopravvalutazione di altre appartenenze, seppure in buona parte solo immaginate e perciò mitizzate, rischiando di produrre un vissuto squilibrato, perché fondato su un senso di identità non realmente vissuto ed elaborato, ma recuperato in chiave palliativa e perciò più facilmente portato alla frustrazione ed alla conflittualità con la comunità (italiana) di effettiva appartenenza. Riteniamo pertanto che mantenere l’attuale disciplina in materia di cittadinanza, specialmente riguardo ai minori di età, significhi mantenere le premesse per una futura lacerazione sociale assai grave. Attualmente l’unica possibilità di acquisto della cittadinanza per questa fascia della popolazione immigrata è quella prevista dall’art. 4 c. 2, che riconosce allo straniero nato in Italia, solo al raggiungimento della maggiore età ed entro un anno da questa data, la facoltà di chiedere la cittadinanza, a condizione che vi “abbia risieduto legalmente senza interruzione”. L’applicazione della normativa ha confermato il carattere del tutto residuale di questa disposizione, in quanto la necessità di residenza, (non solo la regolare presenza, come invece sarebbe auspicabile), anagraficamente registrata ed ininterrotta per l’intero arco della minore età della persona, costituisce, nella maggioranza dei casi, ragione ostativa alla richiesta. E’ infatti sufficiente, per vanificare questa possibilità, un periodo di assenza dall’Italia per rientro nel paese di provenienza con i propri genitori; oppure il possesso da parte dei genitori del permesso di soggiorno ma non della residenza per una parte del periodo dei primi diciotto anni, spesso semplicemente per l’indisponibilità del locatore a fare constatare il rapporto di locazione abitativa, a fini di evasione fiscale. Accade così che sia proprio la parte debole del rapporto di locazione a sopportare le inique conseguenze di un malcostume tributario tutto autoctono ed assai diffuso sul territorio nazionale.

Regole giuste per le giovani generazioni - Dare ingresso nella normativa riformata al principio dello ius soli e dello ius domicili costituisce quindi un criterio centrale per una ragionevole modifica della disciplina sulla cittadinanza. In particolare, per dare effettivo riconoscimento alle esigenze delle più giovani generazioni, occorre a nostro avviso che questi due principi (cittadinanza per nascita da genitori già residenti; e cittadinanza per effetto della formazione della propria personalità in Italia) siano entrambi affermati, in forma non concorrente ma alternativa, e possano produrre effetti in maniera quanto più possibile autosufficiente. Il criterio dell’alternatività porta a considerare non un'unica possibilità in cui siano richiesti entrambi i requisiti, nascita ed integrazione socio scolastica, ma una pluralità di possibilità, come plurali sono le storie individuali di questa generazione, ognuna da sola idonea a condurre alla cittadinanza: per nascita (considerata in connessione con taluni presupposti e requisiti) oppure per integrazione sociale (ed in specie scolastica) durante la minore età. Un requisito concorrente può invece essere riferito, in materia di ius soli, al genitore del minore nato in Italia, richiedendo che egli sia regolarmente soggiornante nel nostro paese da una data precedente alla nascita del figlio; ma a nostro avviso la richiesta durata del soggiorno precedente alla nascita non deve risultare irragionevolmente lunga, altrimenti la norma di legge che ne conseguirebbe sarebbe inefficace; escludendo sicuramente la maggior parte dei minori stranieri nati in Italia. Non condividiamo, dunque, l’attuale orientamento del disegno di legge, teso alla sostanziale elusione delle esigenze e delle aspettative delle seconde generazioni presenti in Italia mediante l’irrealistica sopravvalutazione del requisito di precedente regolarità riguardanti i genitori, che viene proposto in cinque anni di residenza anagrafica, anziché in tre anni di precedente regolarità del soggiorno. Apprezziamo, invece, la proposta formulazione riguardante l’acquisizione della cittadinanza per ius domicilii dei minori che abbiano frequentato un ciclo scolastico durante la minore età. Osserviamo, tuttavia, che la norma, così come è attualmente proposta, pur risultando espressiva di un giusto principio, dimentica di considerare il caso di coloro che, per essere stati iscritti con un anno di ritardo al primo anno del ciclo scolastico, o per essere nati nei primi mesi dell’anno solare, od anche per avere perso o ripetuto un anno scolastico, concluderanno il ciclo di istruzione di riferimento successivamente al compimento dei diciotto od anche dei diciannove anni; operando così una discriminazione non del tutto ragionevole rispetto ai loro compagni di pochi mesi più giovani, anche se ugualmente minorenni all’avvio del ciclo scolastico.

Vita familiare e cittadinanza - Tra le ipotesi di acquisto della cittadinanza per ragioni connesse all’attualità del vincolo familiare con un cittadino italiano, non è attualmente contemplata quella originata dal fatto – pur costituzionalmente rilevante - del rapporto di procreazione responsabile. È invece non infrequente che persone di nazionalità straniera (soprattutto donne) siano genitori (soprattutto madri) di cittadini italiani per nascita, dei quali mantengano attivamente la responsabilità genitoriale, conservando con essi un rapporto significativo anche a seguito della maggiore età. Il caso statisticamente più frequente, a questo riguardo, è quello costituito dalla filiazione fuori del matrimonio da parte di coppie miste; anche se non mancano situazione nelle quali la responsabilità genitoriale, individuale o condivisa, sopravvive al rapido fallimento dell’esperienza coniugale. Parrebbe dunque opportuno, in tali ipotesi, prevedere un percorso privilegiato di acquisizione della cittadinanza italiana da parte del genitore straniero del cittadino italiano per nascita.

Ce lo dicono anche gli italiani all’estero: l’abbandono della cittadinanza di origine è un falso problema - Un secondo punto essenziale e qualificante per l’efficacia della riforma della legge sulla cittadinanza è costituito dalla previsione della possibilità di conservare, con l’acquisto della cittadinanza italiana, quella del paese di origine. Risponde infatti proprio alla storia e all’identità personale dell’immigrato la necessità di coniugare, in un’identità più complessa, le radici familiari con il proprio vissuto personale. A questo riguardo giustamente l’Italia, già in precedenti legislature e sotto altro governo, ha deciso di non richiedere ai suoi nuovi cittadini la rinunzia alla cittadinanza di origine, evitando di produrre un taglio doloroso con le loro radici e mettendoli al riparo da conseguenze rilevanti riguardo alla sfera familiare e patrimoniale. Il fatto stesso che i nostri connazionali residenti all’estero godano del diritto alla doppia cittadinanza rende ancor più opportuno offrire alle persone di origine straniera la possibilità di divenire cittadini qualora esse, con convinzione, ritengano di appartenere alla nostra comunità, oppure quando di fatto, già da minorenni, vi appartengano per esservi cresciute ed esservi formate negli anni decisivi del loro sviluppo personale. Piuttosto, la giusta necessità di assicurare un’adesione effettiva ai valori della comunità nazionale, deve essere promossa in termini positivi, favorendo in ogni modo la possibilità di acquisizione degli strumenti culturali, in primo luogo la lingua, che sono il segnale più evidente della volontà dell’immigrato di appartenenza al paese di cui chiede di essere cittadino.

Residenza anagrafica o regolarità del soggiorno? - Nella sua attuale proposizione, il disegno di legge, imponendo in diverse fattispecie il requisito di precedente residenza legale in Italia, lo identifica con l’iscrizione anagrafica nei registri comunali dei residenti. Ma, come è noto, ad oggi la residenza anagrafica non certifica la regolarità del soggiorno in Italia, bensì il diverso fatto della stabile dimora di un soggetto presso un comune italiano. Per effetto della congiunta applicazione di diverse discipline (disciplina dell’immigrazione e disciplina anagrafica) accade nel più dei casi che il tempo pregresso di soggiorno legale non coincida affatto con quello di residenza anagrafica; e ciò è dovuto ad una serie di difficoltà burocratiche e inadempienze amministrative non dipendenti dalla responsabilità o dalla negligenza dell’interessato ma piuttosto derivanti da “sofferenze di sistema” che rendono statisticamente comprovato il normale differimento di uno-due anni dell’iscrizione anagrafica rispetto al rilascio della prima autorizzazione al soggiorno. Di conseguenza, sarebbe a nostro avviso più equo riferirsi, quale requisito di precedente dimora sul territorio nazionale, alla regolarità e continuità del soggiorno (in pieno coincidente con la nozione civilistica di legale residenza) anziché al più aleatorio ed ambiguo presupposto della “residenza anagrafica”. Nel confidare, dunque, in un ripensamento sul punto durante i lavori parlamentari, chiediamo tuttavia in subordine che, in via transitoria, almeno per il computo della residenza legale maturata antecedentemente all’entrata in vigore della nuova legge sulla cittadinanza, il soggiorno regolarmente autorizzato venga considerato equipollente al requisito di residenza legale. Si salvaguarderebbero, così, posizioni già in buona parte maturate, in attesa e nella speranza che l’attuale caos anagrafico venga avviato a risoluzione, sia in via amministrativa che legislativa.

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