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18 Ноября 2008 09:30 | Hilton Cyprus - Ballroom B

Intervento di Célestin Twizere


Celestin Twizere


Community of Sant’Egidio, Rwanda

Mi chiamo Célestin Twizere, e come ha detto il moderatore di questa tavola rotonda, vengo dal Ruanda, un paese che esattamente 14 anni fa ha conosciuto l’ultimo terribile genocidio di questo secolo. Il Ruanda fa parte della regione dell’Africa, quella dei Grandi Laghi, che ancora in questi giorni è terreno di disordini e di una crisi umanitaria provocata da un conflitto armato di lungo periodo. Mi è difficile parlare in poco tempo di tutte le dimensioni della povertà, dunque farò riferimento soprattutto a un aspetto pratico: come costruire la pace combattendo la povertà. Vorrei contribuire a questa tavola rotonda con la mia esperienza personale quotidiana, per dirvi che è possibile lavorare per costruire una pace durevole.

Vorrei cominciare citando Andrea Riccardi che nel suo libro « La pace preventiva » afferma : « la guerra è la madre di tutte le povertà e la povertà è la madre di tutte le guerre ».  Visto che la guerra genera la povertà e la povertà genera la guerra, che possiamo fare noi per costruire una pace durevole? La risposta più facile sarebbe dire che basta sradicare la povertà. E’ un argomento dibattuto da tempo, ma perchè allora, anno dopo anno, la povertà è in aumento? I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri più poveri. Forse servono grandi mezzi? Cosa manca allora ?

Ma cos’è la povertà e cos’è un povero? La comprensione di questa definizione aiuterebbe molto a cominciare a costruire la pace. Il povero è un fratello, una sorella nel bisogno (un bambino abbandonato, un immigrato, uno straniero, un ragazzo di strada, un barbone), a cui non serve prima di tutto l’aiuto materiale, ma l’affetto, e l’essere considerato una persona. Molte guerre che si combattono in Africa sono nate dall’esclusione e dall’umiliazione. I bambini crescono senza conoscere il valore della vita, senza alcun rispetto dell’altro, senza amore, e in un certo senso quando fanno la guerra stanno ripagando, restituendo quello che hanno ricevuto.

Ad esempio, la guerra attualmente in corso nel Kivu nel Congo Orientale - il Congo è un immenso paese dell’Africa centrale oggetto delle brame di tutte le potenze mondiali per le ricchezze del suolo e del sottosuolo – è frutto della povertà, poiché a combattere sono poveri cittadini costretti a farlo perchè è l’unico modo per poter mangiare. Che sarà di tutti quei bambini cresciuti tra violenza, sfiducia e umiliazione ? cresciuti alla scuola dea violenza?

Riccardi diceva alla cerimonia inaugurale, cito: “I poveri sanno che la guerra è la madre di tutte le povertà e che i conflitti e la violenza generano miseria, e essi sono i primi a pagare. La pace non significa solo la fine della guerra, ma è solidarietà con milioni di poveri nel mondo. Se vogliamo la pace, dobbiamo andare incontro ai poveri. Non c’è pace quando milioni di donne e bambini subiscono la violenza della povertà. Tanta sofferenza è insopportabile”.

Con Riccardi si capisce che combattere la povertà e l’esclusione non è una questione di carità e non dipende dal livello di ricchezza di un paese, è piuttosto un obbligo morale e ogni uomo, ogni donna del nostro tempo è invitato a fare del suo meglio per trasmettere i valori della giustizia e della pace. 

Tanti fratelli nel bisogno aspettano un aiuto, tanti oppressi aspettano giustizia e tanti popoli attendono rispetto: E difficile capire che ai nostri giorni ci siano ancora persone che muoiono di fame, che sono condannate all’analfabetismo, che non ricevono le più elementari cure mediche, che non hanno una casa dove trovare riparo? La classifica della povertà si può allungare all’infinito, se aggiungiamo le nuove povertà a quelle antiche, nuove povertà che incontriamo spesso in settori e categorie di persone non prive di risorse economiche, ma esposte alla disperazione del non-senso, prese nella trappola della droga, o se pensiamo alla solitudine della vecchiaia e della malattia, all’emarginazione ed alla discriminazione sociale.

Di fronte ai problemi della pace, spesso minacciata, con il pericolo di guerre catastrofiche, di fronte al disprezzo dei diritti umani fondamentali di tanti e soprattutto dei bambini, occorre agire il prima possibile, anche perchè in un futuro prossimo nessuno sarà garantito da questi problemi, che ci potrebbero toccare prima o poi. Lo abbiamo visto recentemente nella banlieue parigina, poi dopo le elezioni in Kenia, e lo vediamo oggi nella guerra del Kivu.

Le considerazioni di carattere esclusivamente tecnico o economico non devono prevalere sul dovere della giustizia verso chi ha fame. Ciò rende necessaria una riflessione sulle radici profonde della povertà materiale, e al contempo sulla miseria spirituale che rende l’uomo indifferente alle sofferenze del suo prossimo. Bisogna allora cercare una risposta prima di tutto nella conversione del cuore dell’uomo al Dio della carità, per conquistare così la povertà di spirito.

Ho incontrato la comunità di Sant’Egidio quando ero uno studente universitario alla facoltà di Fisica. E l’inizio della mia conversione quando attraverso la preghiera e il servizio ai poveri ho incontrato i bambini di quella che noi chiamiamo « scuola della pace ». Infatti è l’incontro vivo con il Vangelo che fa di noi uomini e donne universali, fratelli e sorelle nel Signore. Impariamo così a non restare indifferenti alle sofferenze degli altri. Spesso uno pensa solo a se stesso. E il Vangelo del mondo che dice « salva te stesso », ma quando incontro un bambino abbandonato, come un fratello io devo assolutamente aiutarlo.

Attraverso la comunità imparo che, se vogliamo vivere secondo il Vangelo, insieme possiamo essere medici per i feriti della vita, padri e madri per i bambini abbandonati, compagni di viaggio per i viaggiatori solitari.

L’orientamento del Vangelo verso i poveri ci ha aiutato molto, nel senso che cappiamo molte volte che la nostra vita ha un senso proprio guardando il modo di vivere dei poveri. I poveri ci insegnano a capire il Vangelo e gli appuntamenti regolari con loro ci  aiutano a diventare migliori.

I primi poveri che abbiamo incontrato sono stati proprio i bambini degli orfanotrofi, insieme ai bambini di strada. Cos’è la scuola della pace? Si tratta di un aiuto per i bambini che non hanno avuto la possibilità di andare a scuola, non come specialisti dell’educazione, ma come fratelli e sorelle. I bambini che crescono alla scuola della pace imparano i valori della vita e sono capaci di proteggerla. Quando vanno alla scuola pubblica, sono i primi a difendere i più deboli e a dire loro che « questo non si fa, questo va bene », e quando gli insegnanti gli domandano dove hanno imparato queste cose, loro rispondono “alla scuola della pace”. Ci sono anche i bambini soldato che passano alla scuola della pace e ci parlano delle loro sofferenze, e piano piano ci rendiamo conto che anche loro sono come gli altri bambini e possono riacquistare la normale gioia di vivere, possono ancora sorridere alla vita. C’è chi dice, con semplicità, “noi siamo usciti dall’inferno”.

La scuola della pace è anche la scuola del perdono, e questo avviene gradualmente. Le testimonianze dei bambini delle scuole della pace ci danno la speranza che il domani sarà migliore perché l’incontro con fratelli e sorelle che li amano gli restituisce la gioia di vivere. Noi abbiamo incontrato e continuiamo ad incontrare  bambini orfani del genocidio, altri i cui genitori sono in carcere. Incontrando la comunità, essi ritrovano un senso nella vita, perchè almeno sono amati da persone che non fanno parte della loro famiglia e li amano disinteressatamente. In breve, incontrando i fratelli e le sorelle, incontrando il Vangelo, si ritrova la gioia di vivere, di perdonare, di amare e di essere amati. Quelli che partecipano a questa attività sono giovani universitari, giovani lavoratori con le loro difficoltà quotidiane ma sono convinti di una cosa, che c’è più gioia nel dare che nel ricevere e che nessuno è così povero da non poter amare.

Scoprendosi amato da Dio, l’uomo comprende la propria dignità trascendente, impara a non accontentarsi di sé e a incontrare l’altro in un tessuto di relazioni sempre più autenticamente umane. Degli uomini rinnovati dall’amore di Dio sono in grado di cambiare le regole e la qualità delle relazioni, come anche le strutture sociali: sono persone capaci di portare la pace là dove ci sono conflitti, di costruire e di coltivare rapporti fraterni dove c’è odio, di cercare la giustizia dove predomina lo sfruttamento dell’uomo da parte di un altro uomo. Solo l’amore è capace di trasformare in modo radicale i rapporti che gli essere umani stringono tra di loro. Inserito in questa prospettiva, ogni uomo di buona volontà può contemplare i vasti orizzonti della giustizia e dello sviluppo umano nella verità e nel bene.