Vice-President of the Community of Sant’Egidio
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Eminenze, eccellenze, signori e signore, cari amici tutti
Il tema dell’Europa è ricorrente nelle nostre assise interreligiose, nello Spirito di Assisi. In effetti, come Sant’Egidio crediamo che l’unificazione europea sia un progetto di riconciliazione e di collaborazione, in un continente che ha visto le sue guerre per due volte nel secolo scorso diventare mondiali. Quindi un’Europa più unita è un progetto di pace, un modello di integrazione tra le nazioni, di superamento della miopia nazionalistica, insomma, è il sogno di una pace europea che possa diventare pace mondiale.
Ovviamente, è un progetto, un sogno, e vediamo anche che molte cose possono migliorare, assistiamo alla crisi dell’idea europea, al declino di un certo euro-entusiasmo, ad un successo dei populismi nazionalistici, alla chiusura delle mentalità e delle frontiere; vogliamo chiederci per questo, che cosa sia l’apporto e l’aiuto delle tradizioni religiose e spirituali alla costruzione di un’Europa più unita, più pacifica, più umana.
A sessant’anni dai Trattati di Roma, che gettarono le basi del progetto europeo di cooperazione economica e energetica, ma in fondo anche politica, è utile rifare il punto sul progetto europeo. Da dove veniamo? Dove siamo? E soprattutto: dove vogliamo andare?
E’ chiaro che alcuni sviluppi internazionali recenti hanno alquanto messo in luce la fragilità europea. Il continente è circondato, ad est e a sud, da quello che Herman van Rompuy, già presidente del Consiglio europeo, chiamava ‘the ring of fire’, ‘l’anello di fuoco’: una serie di conflitti armati, dall’Ucraina all’Armenia, dalla Siria all’Iraq alla Libia, che sono fonti di grande instabilità e di flussi migratori, che dividono anche i popoli europei. Il ‘soft power’ europeo, quel potere stabilizzatore grazie alla sua attrattività della quale si vantava, un pò troppo autolusingata, l’Unione Europea– che ha funzionato per stabilizzare alcuni conflitti soprattutto balcanici, ma non solo – pare ora poco convincente e debole, rispetto al ‘hard power’, il potere duro – che decenni dopo Stalin – sembra sempre ancora venire soltanto dai cannoni, fucili e missili.
Inoltre, il ritorno di poteri esecutivi ‘forti’, come vediamo nella Russia di Putin, nella Turchia di Erdogan e nell’Egitto di Al-Sisi, per non parlare di altri come l’Ungheria di Orban, sembra mettere in evidenza una certa ‘debolezza’, alcuni direbbero addirittura una certa “decadenza”, delle democrazie liberal-democratiche europee.
Soprattutto, la scelta del popolo brittannico di lasciare, dopo più di quarant’anni, l’Unione Europea, rafforzato dall’elezione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti, per la prima volta dopo i Trattati di Roma ha privato il progetto di unificazione europea del sostegno, che sembrava naturale, di Washington, e di Londra, che sempre aveva avuto un’atteggiamento più pragmatico.
Questi sviluppi lasciano il progetto di un’Europa democratica, prospera, libera e pacificata, più isolato, con tutti i rischi che questo comporta. Non tutto però è negativo: le elezioni recenti in Austria, in Olanda e soprattutto in Francia – con l’elezione dell’unico candidato che osava parlare positivamente di Europa, Emmanuel Macron – hanno fatto vedere che il ritorno e la vittoria dei populismi e dell’anti-europeismo non è una fatalità, e che le popolazioni possono anche essere convinte dal valore della collaborazione europea. In tutto questo processo, conviene lodare la stabilità politica e pro-europea del gigante europeo, la Germania, che ci ospita oggi: dove la pro-Europea cancelliera Merkel per la sua terza ri-elezione viene soltanto sfidata da un candidato socialista pro-Europeo anche lui, in quanto ex-presidente del Parlamento Europeo.
C’è attualmente però un grande test per la solidarietà europea, che è l’arrivo di decine di migliaia di migranti sulle coste italiane e spagnole (dopo la chiusura della rotta detta dei Balcani). Nonostante il fatto che ‘Bruxelles’ - Commissione e Parlamento europei – abbia più volte chiamato ad una maggiore solidarietà europea tra i vari paesi membri, per condividere e gestire insieme i flussi, vediamo poca solidarietà tra le capitali e vediamo che l’Italia e altri paesi del Sud Europa attualmente vengono lasciati da soli, con la finzione che la frontiera sud non sia la frontiera di tutti i paesi Schengen e talvolta con l’illusione che muri di filo spinato e di telecamere sempre più alti possano essere sufficienti a proteggere l’Europa.
Papa Francesco, più volte, ha chiamato gli stati europei ad una maggiore responsabilità nell’accoglienza dei rifugiati. Lui, figlio di una famiglia di migranti in Argentina, ha sottolineato come l’Europa ha anche bisogno di forze giovani, se non vuole essere come una ‘nonna’, come ha detto al Parlamento Europeo a Strasburgo, il 25 novembre 2014. E nel suo discorso al conferimento del Premio Carlomagno, il 6 maggio 2016, ha esaltato le qualità dell’Europa, che sono secondo lui la capacità di integrare, di dialogare e di generare. L’Europa è ancora in grado di vivere una nuova utopia? L’Europa è ancora in grado di generare una ‘nuova sintesi culturale’? Quale sarebbe allora il ruolo della Chiesa, dei cristiani, delle altre religioni, dei credenti e degli umanisti?
Sono questi i temi di questa nostra tavola rotonda, e sono molto contenta di poter introdurre gli illustri relatori
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