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11 Septiembre 2017 09:30 | Franz-Hitze-Haus, Oscar-Romero-Saal

Intervento di Adriana Gulotta



Adriana Gulotta


Community of Sant’Egidio
Ancora oggi restano difficili le condizioni dei più piccoli in molte parti del mondo. Un bambino su cinque nel mondo non riceve alcuna istruzione e conosciamo l’importanza di questo fattore nello sviluppo umano. 130 milioni di bambini non conoscono la scuola. Queste cifre drammatiche diventano volti concreti per le Comunità di Sant’Egidio che in più di 70 paesi proteggono ed aiutano a studiare e a crescere ogni anno circa 70.000 bambini nelle Scuole della Pace. Studio, attività, giochi, gite e vacanze sono il veicolo di una educazione alla pace, in tanti contesti, non solo di guerra aperta ma dove vi sono tensioni e conflitti. In molte periferie abbandonate, questi centri gratuiti, tenuti in genere da giovani volontari, si rivolgono a bambini che non hanno alternativa che la strada. Sono bambini senza famiglia, senza opportunità, senza scuola, talvolta senza nessuno che si occupi di loro. 
 
Sono, ad esempio, i piccoli guineani che si affollano a centinaia, in aule dai pochi banchi che dovrebbero contenere non più di 50 alunni, o quei bambini mozambicani che fanno scuola sotto un albero in 150, o quelli del Malawi che vivono in villaggi sperduti e devono camminare per ore per arrivare alla scuola più vicina. 
 
Bambini che lavorano –più di 350 milioni nel mondo-: come quelli aiutati dalle nostre Comunità in Asia, sfruttati fin da piccoli. Bambini vittime delle guerre: a volte reclutati come soldati -si stima siano 250.000 - coinvolti in operazioni di guerra, in conflitti, in atti terroristici, oppure profughi costretti a fuggire, senza genitori, in cerca di protezione nei campi di rifugiati. 
 
Bambini di strada -più di 150 milioni- in America Latina, in Asia, in Africa. E’ fin troppo facile finire per la strada in certe megalopoli: basta perdersi, non orizzontarsi più, senza la protezione della famiglia. 
 
Sono ancora troppo numerosi i bambini senza infanzia. Del resto, si è dovuto attendere il 20 novembre 1989 per vedere l’approvazione della Convenzione dei Diritti dell’infanzia da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Una conquista recente, che vede 196 Stati impegnati a riconoscere e tutelare i bambini e le bambine.
 
Vorrei oggi parlare del primo dei diritti e del più elementare di essi: quello senza il quale ogni altro diritto viene meno. Potremmo definirlo “la madre di tutti i diritti”: il diritto al nome, cioè ad una identità legalmente riconosciuta. L’articolo 7 della Convenzione sui diritti dell’infanzia stabilisce che: “Il bambino è registrato immediatamente al momento della nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi”. Ma su 125 milioni di bambini che nascono ogni anno nel mondo, 51 milioni (più del 40% del totale) non vengono registrati alla nascita. Circa il 70% della popolazione mondiale vive in paesi con sistemi di registrazione delle nascite incompleti o insufficienti. 230 milioni di minori al di sotto dei cinque anni non sono registrati (il 35%). In Africa sub-sahariana sono 85 milioni e nell’Asia meridionale 103. 
 
Una parte dell’infanzia cresce ma resta “invisibile”: non esiste, non conta, non rientra nella popolazione degli Stati. Non possono essere iscritti a scuola, né usufruire dei servizi sanitari. Se scompaiono, non possono essere reclamati dai genitori. Di loro non esiste nulla di scritto: un certificato di nascita né un atto di registrazione, né altro documento che possa comprovarne l’esistenza. Così, sono esposti agli abusi: allo sfruttamento, alla schiavitù, ai rapimenti, al traffico di organi, alla prostituzione, al matrimonio precoce, al lavoro forzato, all’arruolamento. Rischiano di rimanere per sempre dei non-cittadini, condannati all’illegalità, clandestini nel loro stesso paese. L’iscrizione allo stato civile vuol dire non solo possedere un certificato di nascita, ma avere un nome cui corrisponde una identità legale, vuol dire essere riconosciuti come cittadini dal proprio Stato. È un passo indispensabile per ottenere una carta d’identità e usufruire di diritti fondamentali quali l’istruzione, l’assistenza sanitaria e molto altro. Senza questo riconoscimento, da adulti non potranno essere assunti regolarmente, avere la patente, viaggiare legalmente, ereditare, sposarsi, votare né essere eletti. Saranno persone senza diritti. 
 
Questo aspetto cosi decisivo per la vita dei bambini - di cui si parla ancora troppo poco- è qualcosa che tocca particolarmente le fasce più povere delle popolazioni e coinvolge intere comunità, negli slum asiatici, nelle baraccopoli delle grandi città africane, nei campi profughi, nelle comunità indigene latinoamericane, perfino in Europa... Per questo le Comunità di Sant’Egidio in tantissimi paesi del mondo si trovano impegnate a combattere questo fenomeno, per restituire il primo dei diritti, quello di avere un nome ed una identità, condizione indispensabile per goderne poi altri. 
 
Nelle Scuole della Pace, accanto ai più poveri fra i bambini, ci siamo resi conto di questo problema. Amira è una delle tante bambine del Burkina Faso che non poteva concludere la scuola primaria -che pure aveva frequentato- perché priva di documenti. I “sans papier” infatti vengono espulsi prima della conclusione del ciclo perché non possono sostenere gli esami.  
 
Non è, però, solo un problema africano. A Jakarta, nel cuore di una delle megalopoli asiatiche, è stato necessario aprire una nuova Scuola della Pace perché i bambini della zona di Kedoya, non essendo registrati, non potevano andare a scuola. Infatti in Indonesia, se i genitori non sono regolarmente sposati, non possono registrare i loro figli, e, specie nelle zone più povere, negli slum, queste restrizioni creano enormi sacche di popolazioni marginalizzate, che per lo Stato non esistono. 
 
Nelle Filippine, l’Istituto Nazionale di Statistica stima siano circa 2,6 milioni i bambini definiti “unofficial” -la cui esistenza cioè, non è ufficiale.  Jenny, della municipalità di Cainta, a Manila, è una delle molte bambine registrate insieme alla propria famiglia, con il sostegno della nostra Scuola della Pace. Ora ha un documento, ha potuto frequentare le scuole, arrivando a conseguire un diploma di infermiera lo scorso anno.
 
Sono migliaia i bambini latino-americani, in fuga dal Centramerica per le violenze delle maras, che si incamminano verso il confine con gli USA. Nel loro drammatico esodo, essere indocumentados è un ulteriore impedimento alla regolarizzazione. Anche nell’Europa dei diritti umani, ci sono bambini della minoranza rom non registrati. Forse ricorderete, nell’ottobre del 2013, il caso di quella bambina bionda dagli occhi azzurri, ritrovata in un campo rom in Grecia, la cui immagine fece il giro del mondo. Tutti i media europei si chiesero: chi è questo piccolo angelo biondo? Una bambina rubata ai suoi veri genitori? Le polizie europee controllarono le denunce di sparizione in loro possesso. Chi sosteneva di esserne il genitore non aveva modo di dimostrarlo. Si trattava di due giovani bulgari, senza documenti, di carnagione scura ed erano rom… Si dovette ricorrere all’esame del DNA che pose fine ai dubbi: era veramente la loro bambina. Ma in nessuno dei paesi dove erano stati, era stata mai registrata allo stato civile.
 
Ma quali sono i motivi alla base di questo fenomeno? Non si registra perché troppo complicato, troppo caro, perché si è lontani dagli uffici, perché ci si trova in mezzo ai conflitti o parte di etnie marginalizzate. In alcuni paesi può registrare solo il padre, mentre la madre specie se single non può farlo; in altri, il bambino può essere registrato solo nel luogo dove è nato; in altri ancora, genitori non registrati “trasmettono” l’invisibilità alla generazione successiva. In quasi tutti i paesi, se l’iscrizione non avviene nei tempi prescritti (in genere due o tre mesi), scattano sanzioni e procedure difficili e costose. Tutte le Scuole della Pace sono impegnate a sostenere nel percorso per sanare la mancata registrazione allo stato civile, tutti i bambini che le frequentano e le loro famiglie. 
 
Abbiamo sentito di dover lottare per arrivare a far emergere dall’invisibilità milioni di persone, perché non era accettabile che esistessero vite di serie B, di seconda classe, senza diritti. Nasce così nel 2008 il programma BRAVO! (Birth Registration for All Versus Oblivion!) per aiutare gli Stati ad elaborare e a mettere in campo una strategia per il rafforzamento dello stato civile. Infatti il riconoscimento legale di una persona è un proprium dello Stato. È necessario creare, a volte dal nulla, un sistema aggiornato e sempre consultabile che censisca le nuove nascite in maniera costante. BRAVO! quindi aiuta gli Stati, formando migliaia di operatori e individuando problemi e criticità per migliorare il sistema, ma si rivolge direttamente anche alle famiglie attraverso campagne itineranti che si spingono fino alle aree più irraggiungibili.
 
In Burkina Faso, tra il 2009 e il 2010, il governo con il programma BRAVO! ha lanciato una campagna di registrazione delle nascite su tutto il territorio nazionale, concedendo la gratuità del certificato di nascita anche per chi lo avesse richiesto oltre i limiti di legge, cioè dopo i primi sessanta giorni di vita. Nel paese, infatti, ben il 30% della popolazione era sprovvisto di atto di nascita, soprattutto nelle zone rurali. La campagna, in un anno, ha prodotto la registrazione allo stato civile di più di tre milioni e mezzo di persone, di cui il 62% minori. Il motivo di questo successo è riconducibile ad alcuni elementi: universalità, perché ha raggiunto tutta la popolazione; capillarità, perché si è estesa fino alle aree più marginali del paese; rapidità perché le sessioni prevedevano la consegna immediata del documento; gratuità, perché i costi a carico dei richiedenti erano stati azzerati. Équipes formate da agenti di stato civile e giudici si sono recate in tutti i villaggi effettuando le procedure in una sola giornata. Al termine, nel paese, il tasso di registrazione dei bambini da zero a cinque anni si era innalzato al 77%, uno dei migliori dell’Africa sub-sahariana. Va sottolineato inoltre che i tassi di scolarizzazione nella scuola primaria hanno avuto negli anni a seguire un incremento considerevole.
 
BRAVO! sostiene inoltre l’apertura di nuovi centri di registrazione nelle strutture sanitarie neonatali. Nell’ultimo decennio, infatti, il numero di neonati nati o vaccinati nei centri sanitari è in costante crescita. BRAVO! ha creato in 13 centri di salute periferici, uffici appositi con la presenza di agenti di stato civile, raggiungendo così un tasso di registrazioni alla nascita del 91,7%. Un dato di “livello europeo”! Abbiamo voluto sperimentare nelle scuole della regione del Sanguié, una campagna di registrazione che permettesse ai bambini di concludere gli studi. Grazie a BRAVO! in 265 scuole primarie, lo scorso anno,  35.000 alunni sono usciti dall’invisibilità.
 
In Mozambico, dove oltre il 70% della popolazione nelle aree rurali, non ha un atto di nascita, 65.000 persone sono state registrate dalle unità mobili organizzate da BRAVO! nelle zone più isolate del nord del paese, con campagne di informazione e rappresentazioni teatrali nelle lingue locali, centrate sull’importanza della registrazione. Poiché gli uffici di stato civile sono pochi e le distanze per raggiungerli sono uno degli ostacoli più grandi, BRAVO! di concerto con l’amministrazione, ha creato ex novo anche tre uffici di stato civile nelle zone che ne erano prive. 
 
In Malawi il programma BRAVO! contribuisce a dotare di documenti una popolazione che ne è ancora quasi completamente priva. Infatti solo nel 2010 è stata sancita l’obbligatorietà dell’iscrizione anagrafica e nel 2015 sono state messe a punto le procedure attuative della norma. In questo paese, circa 120.000 bambini sono stati registrati da BRAVO! nel distretto di Balaka mentre 12 centri di salute sono stati dotati di nuovi punti di registrazione.
 
Si potrebbe pensare che popolazioni così isolate o marginali siano poco consapevoli dell’importanza della registrazione allo stato civile, ma nel corso delle campagne di BRAVO! si assiste sempre all’emersione di un bisogno molto sentito fra la gente, che specie nelle zone rurali, converge in gran numero a farsi registrare. La necessità di esistere legalmente, di avere riconosciuto il proprio nome è, infatti, molto avvertita.
 
Vorrei concludere con una breve riflessione prendendo spunto dalla tradizione ebraica che dà grande valore al nome. Il Midrash commenta quanto accade ad Abramo che, in Gen 17,5, acquista un nuovo nome, Abraham; mentre in 1 Cronache 1,27 si ribadisce che è la medesima persona. Il significato di questo cambiamento -secondo il Midrash- è quello di sottolineare che il nuovo nome non vuole soppiantare l’antico. Abramo è la stessa persona ma ha acquistato una nuova dimensione: quella di essere capostipite e parte di un popolo. Accadde lo stesso a Giacobbe, anzi, quest’ultimo assume addirittura il nome del suo popolo: Israele. Ecco, allora, il lavoro di BRAVO! : dare un nuovo nome a bambini che, seppure lo avevano perché con esso venivano chiamati, hanno bisogno di riceverlo nuovamente perché dia loro una nuova dimensione, una nuova condizione, quella di entrare a fare parte pienamente del proprio popolo, della propria nazione, come cittadini consapevoli dei propri diritti, cittadini che contribuiscono a pieno titolo alla costruzione delle società in cui vivono.

 


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