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11 Septiembre 2017 09:30 | Petrikirche

Intervento di Gennadij


Gennadij


Orthodox Bishop, Moscow Patriarchate
Nella visione della Chiesa cristiana, il martirio non è solo una vocazione, un comando di Cristo Salvatore e un imperativo morale: “Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.” (Matteo 10,38), ma è anche la testimonianza di una particolare elezione divina, della fiducia di Dio per il suo eletto. San Paolo apostolo testimonia: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Colossesi 1,24). Il martire è compartecipe delle sofferenze di Cristo, cioè del suo sacrificio compiuto per la vita del mondo. “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.” (Giovanni 15,12-13). Per questo, vi è un profondo legame del martirio cristiano con la Santa Eucarestia, il Sacramento del Corpo del Sangue di Cristo Salvatore.
 
La preghiera in punto di morte di San Policarpo di Smirne ci dà uno splendido esempio per comprendere la psicologia del martirio dei primi cristiani: “Ti rendo grazie perché mi hai fatto degno, in questo giorno e in quest’ora, di prendere parte, nel numero dei martiri, al calice del Tuo Cristo, per la resurrezione alla vita eterna dell’anima e del corpo…”. In questo modo il martire compartecipa alle sofferenze del Signore sul Golgota e prende parte alla comunione dell’eucarestia.
 
Cent’anni dopo Policarpo, San Cipriano di Cartagine scrive ai confessori che soffrivano in catene ed erano privati della possibilità di comunicare ai Santi Misteri di Cristo: “Avete celebrato l’eucarestia nei vostri corpi”. Ed ecco la testimonianza sorprendente di un confessore russo del XX secolo, l’archimandrita Tavrion (Batozckij) (+1978), sulla celebrazione dell’eucarestia in un lager sovietico: “Come celebravamo senza antimensio e senza altare? Un sacerdote si stendeva e gli altri celebravano sopra il suo petto. Al posto della prosfora c’era il pane. Il Signore nell’Ultima Cena ha detto che il pane si transustanzia nel suo Corpo. E al posto del vino c’era l’acqua. A Cana di Galilea il Signore ha trasformato l’acqua in vino. E tutti noi facevamo la comunione. Eravamo felici e allegri! Con Dio, in qualunque luogo ci si trovi, non si perde nulla!”
 
Il metropolita Iosif (Chernov) (+1975), un santo starec venerato in Kazakhstan, riferisce un racconto simile sulla celebrazione dell’eucarestia sul petto di un sacerdote morente.
 
Un altro aspetto molto importante del martirio del cristianesimo antico è testimoniato dal valente storico russo della fine del XIX secolo, Vasilij Bolotov. Egli evidenzia che il paganesimo romano di quegli anni era caratterizzato dalla superficialità e che nella società regnava l’indifferentismo religioso. Per questo, il compito dei cristiani non consisteva nel “… distruggere qualsiasi visione religiosa esistente presso i pagani con cui avevano a che fare, ma piuttosto nel risvegliare la coscienza religiosa assopita e storicamente esausta, con il proprio esempio personale di alta abnegazione”.
 
Parlando della Chiesa Ortodossa Russa, per molti secoli, per quanto ciò possa suonare paradossale, praticamente non si sono avuti martiri per Cristo al suo interno. Gli storici testimoniano in modo convincente che la conversione al cristianesimo del popolo della Rus’ di Kiev, nel X secolo, fu indolore. Un contemporaneo più giovane del principe Vladimir, il metropolita di Kiev Ilarion, scrive: “La tromba degli apostoli e il tuono del Vangelo risuonò per tutte le città; tutta la nostra terra, contemporaneamente, cominciò a rendere gloria a Cristo, con il Padre e lo Spirito Santo.” È spiegabile: dal momento che nell’antica Rus’ non esistevano né un culto pagano differenziato, né una classe di suoi ministri-sacerdoti, non c’era nessuno, in sostanza, che si opponesse alla nuova fede. Il cosiddetto periodo mongolo della storia della nostra Chiesa conosce appena singoli esempi di coraggiosa confessione della fede. Di conseguenza, l’amministrazione dei Khan mongoli sulla Rus’ mostrò tolleranza in materia di fede, sia nel periodo del paganesimo, sia, a partire dal Khan Uzbek (1313), quando già professava una versione dell’Islam alquanto tollerante.
 
Le persecuzioni contro la Chiesa più crudeli e senza precedenti si sono verificate nel secolo passato. La società totalitaria sovietica, con il solo fatto della sua esistenza, ha emesso la sentenza contro l’ideologia del progresso a lungo dominante in Europa, basata sul riconoscimento dell’autosufficienza dell’uomo e sulla fede nel carattere illimitato delle sue forze e possibilità. Ahimé, come dice un poeta: “Tutti i progressi sono reazionari se crolla l’uomo…” (…) E l’uomo “crolla” quando perde il legame con Dio.
 
Il teologo russo Vladimir Losskij scrive: “Tutta la gerarchia si è capovolta nell’uomo, che prima era aperto alla grazia… Se lo spirito dell’uomo doveva vivere di Dio, l’anima dello spirito, il corpo dell’anima, ora invece lo spirito comincia a comportarsi da parassita dell’anima, nutrendosi di valori non divini. L’anima, a propria volta, diventa parassita del corpo e suscita le passioni. E infine il corpo diventa parassita della terra…”
 
Non si può dire che la catastrofe russa del 1917 fu imprevedibile e improvvisa. Nel 1865 san Filaret (Drozdov) di Mosca diceva al suo vicario, il vescovo Leonid: “Il futuro è coperto da una nube oscura; quando si scatenerà la tempesta, gli uomini, scossi dai colpi di tuono, dimenticheranno tutto quello che c’era prima della tempesta”. Nel 1872 uscì il profetico romanzo di Dostoevskij “I demoni”, in cui l’autore esemplificò in modo geniale i caratteri di alcuni rivoluzionari organizzatisi in gruppo terroristico in una cittadina di provincia; l’anatomia e la patogenesi dell’odio come possessione, come malattia spirituale dell’uomo privato della fede in Cristo e sottoposto all’azione del male. Per bocca di uno dei demoni-terroristi, egli predice non solo il numero di vittime che la Russia presto porterà, 100 milioni, ma anche l’intervallo di tempo nel corso del quale queste vittime saranno prodotte: trent’anni (Parte seconda, cap. 7).
 
Prima di vivere la passione, i nostri martiri sostennero la lotta con l’ideologia atea che aveva in odio l’uomo. Tutti i delitti nascono nella coscienza. Ha ragione Alexandr Solzhenicyn : “È l’ideologia a dare all’azione malvagia una giustificazione ricercata e al malfattore la necessaria prolungata durezza…” Prima di fucilare, prima di richiudere nei lager e nelle prigioni, prima di far saltare in aria le chiese e distruggere i santuari, gli ideologi dell’ateismo militante, già all’inizio del XX secolo, organizzavano la persecuzione della Chiesa e dei ministri del culto sulla stampa per così dire libera; orchestravano campagne calunniose accompagnate dal dileggio di tutto ciò che era prezioso e santo per un cristiano. Per questo, l’esempio del martirio del secolo scorso ci chiama a stare all’erta, ad opporci al momento opportuno, a reagire non solo alle azioni, ma anche alle parole dei propagandisti di visioni ideologiche distruttive, di ideologie estremiste, comprese quelle a tinte religiose.
 
Il martirio cristiano del secolo scorso ha i propri tratti distintivi. Anche qui il fatto fondamentale è l’enormità. Il potere cercò di annientare la Chiesa in quanto tale. In tali condizioni, centinaia di migliaia di cristiani morirono sconosciuti, senza speranza di essere ricordati o che qualcuno avrebbe scritto di loro. Il loro eroismo della fede rimase nascosto agli sguardi degli uomini ma tanto più fu gradito a Dio.
 
Spesso i martiri lasciarono la vita terrena calunniati; i carnefici cercarono di insozzare la loro memoria. Oggi vengono alla luce i particolari dell’azione di quella macchina infernale che portò alla fucilazione di migliaia di persone assolutamente innocenti. In particolare, gli inquisitori compilavano in anticipo i verbali degli interrogatori dei testimoni secondo uno schema precostituito, scrivendo storie false, e proponevano alle persone solamente di firmare i corrispondenti documenti, come se si fosse trattato di normale routine burocratica. Agì in questo modo il giudice istruttore della città di Mytisha, durante l’interrogatorio del santo martire padre Sergej Lebedev. A volte ottenevano le firme con l’inganno. Molto è stato scritto sul metodo preferito dell’NKVD, gli interrogatori a catena di montaggio, con la privazione del sonno, dopo i quali,  con la mente confusa, l’inquisito poteva firmare qualsiasi cosa. Tutte queste circostanze ci spingono a considerare ciascun dossier relativo ad un confessore della fede con attenzione e in modo equilibrato.
 
Ma è anche evidente la prontezza dell’eroismo della fede dei nuovi confessori. Il metropolita di Pietrogrado Veniamin, condannato alla fucilazione nel 1922, diceva: “Quando ero bambino e adolescente, leggevo con passione le vite dei santi e mi dolevo con tutto il cuore che i tempi non fossero quelli, che non toccasse vivere quello che loro avevano vissuto. I tempi sono cambiati. Si apre la possibilità di partire per Cristo, da parte dei nostri e degli estranei. Soffrire è pesante e difficile, ma nella misura delle nostre sofferenze, sovrabbonda la consolazione da Dio… Le sofferenze hanno raggiunto il culmine; ma è aumentata anche la consolazione. Io sono gioioso e sereno, Cristo è la nostra vita, la nostra luce, la nostra pace.”
 
Anche oggi, nel XXI secolo, quando l’umanità ha raggiunto risultati colossali nelle tecnologie dell’informazione, nelle tecniche di lavoro, nella medicina, il fantasma medioevale dell’oscurantismo, nutrito dall’ideologia di correnti religiose distruttive, si aggira per il mondo e raccoglie il suo tributo di sangue tra i cristiani. Attualmente il Presidente del Dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa Ortodossa Russa, il metropolita Ilarion di Volokalamsk, riporta nei suoi interventi cifre impressionanti: oggi nel mondo un cristiano su quattro subisce discriminazioni di tipo religioso. Ogni giorno, ogni ora, nel mondo muoiono cristiani unicamente a causa della loro appartenenza alla fine.
 
Tutto ciò testimonia come il male si sia radicato profondamente nella natura umana. I tempi cambiano, ma il diavolo, lo spirito della malvagità terrena, continua ugualmente ad odiare quelli che cercano di vivere secondo i comandamenti di Cristo. Ma, come anche nei tempi antichi, un cristiano che muore non è un perdente, ma è un vincitore. Non è uno che vive passivamente la sofferenza, ma è uno che vive attivamente l’eroismo della fede. I giorni di memoria dei martiri per la Chiesa antica e contemporanea sono giorni di festa solenne di gioia.
 
Un altro aspetto del martirio cristiano contemporaneo consiste in questo: nella sofferenza i rappresentanti delle diverse chiese e tendenze cristiane ottengono l’unità. È la comunione del sangue versato per Cristo. Quando veniamo a sapere che in qualche paese lontano, all’improvviso, qualcuno che è divenuto credente in Cristo come Dio e Salvatore, è stato condannato a subire tormenti, non ci viene in mente di dubitare della purezza e della giustizia del suo sacrificio.
 
Meno di tre settimane fa, celebrando la Divina Liturgia nel monastero delle Solovki, nell’estremo Nord, dove subito dopo la rivoluzione fu organizzato il tristemente famoso primo campo di lavoro correzionale, il santissimo Patriarca Kirill, ricordando il centenario dei fatti rivoluzionari ha detto: “Ricordiamo il nostro percorso storico! Non diamo a nessuno la possibilità di ingannarci ancora, non permettiamo a nessuno di legare la felicità umana all’ateismo, non permettiamo a nessuno di distruggere la grande tradizione religiosa del nostro popolo, perché noi sappiamo come va a finire tutto questo”.

 


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