Rabbino, Germania
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Signore e Signori, lo dico malvolentieri, e spero che quanto sto per dire non rovini l’immagine che l’uno o l’altro di noi ha del mondo, ma devo dire che viviamo in un mondo malato. Viviamo in un mondo caratterizzato dalle guerre, dall’odio e dalla violenza.
Sarebbe una grossa semplificazione sostenere che la salvezza del mondo possa venire unicamente attraverso la preghiera, tuttavia la preghiera, la preghiera autentica, è un passo importante nella direzione giusta.
Il Talmud dice: “Grande è la pace, poiché tutte le nostre preghiere finiscono con la parola Shalom, pace”. Ed effettivamente è proprio così: nell’ebraismo tutte le preghiere più importanti, come l’Amidah, la preghiera principale che recitiamo tre volte al giorno, la Birkath Hammazon, recitata dopo i pasti, la benedizione di Aronne, usata dai Kohanim, i sacerdoti, per benedire il popolo e con la quale benediciamo i nostri figli ogni sabato, come altre preghiere, terminano con la parola “Shalom”.
Il Talmud si chiede perché tutte le preghiere terminano proprio con questa parola. La risposta è che D-o era alla ricerca di un vaso, in cui potesse riporre tutte le benedizioni. Tale vaso è la pace. In altre parole, se si rompe tale vaso, tutte le altre benedizioni, come la salute, il benessere, il successo, possono facilmente fuoriuscire da esso. Senza la pace tutte le altre benedizioni non possono esistere. In questo senso, la benedizione per impetrare la pace è la benedizione più importante, e, affinché ciò sia evidente, essa viene sempre messa alla fine.
In ebraico la parola Shalom deriva da Schlemut. Schlemut significa completezza, interezza, perché soltanto in una situazione in cui vi è pace possiamo raggiungere la completezza, possiamo sfruttare appieno le nostre potenzialità e, in ultima analisi, raggiungere ciò che è la nostra meta in questo mondo.
Questi valori vengono insegnati ai nostri figli fin da piccoli, affinché li interiorizzino prima possibile. Solo così è possibile dare un contributo alla pace nel mondo: insegnare ai bambini, fin da piccoli, che la pace è il bene più prezioso, che ha la massima priorità; infatti, senza la pace, tutto il resto non ha valore. Ai miei occhi ciò è uno dei compiti più importanti delle religioni.
Il Talmud dice: “Disse Hillel: Annoverati tra gli studenti di Aronne: ama la pace e persegui la pace”. Riguardo a questa doppia esortazione, i commentatori spiegano: amare la pace è qualcosa di passivo. Significa non fare il male a nessuno e non cercare la controversia. Ma l’assenza di guerra non rappresenta la pace ideale. Perciò, amare la pace soltanto in maniera passiva non è abbastanza, bisogna anche perseguire la pace attivamente, darsi da fare perché ci sia la pace. Perciò, se vi era un litigio, Aronne cercava sempre di agire, e di mediare tra le parti. Non è sufficiente assicurarsi che sia stabilita la pace, essa deve sempre essere preservata, mediante molto lavoro. Tali principi sono validi a livello personale, cioè per quanto riguarda la pace interiore, a livello della famiglia, a livello comunitario, a livello di comunità religiosa, e, in ultima analisi, per il mondo intero.
La preghiera costante, tuttavia, ne è la base. Tutto ciò che chiediamo nell’Amidah, la nostra preghiera principale, è espresso al plurale. Quindi, quando preghiamo per la salute, per il benessere, per la prosperità e per la pace, non preghiamo solo per noi stessi, ma anche per tutti gli altri. Ciò è un insegnamento importante riguardante il rapporto con gli altri e l’amore per il prossimo: io non sono responsabile soltanto per me, ma, persino nel momento della massima intimità con l’Onnipotente, nella preghiera, nel momento in cui tiro fuori tutto ciò che è nel mio cuore e prego per le mie intenzioni personali, non posso dimenticare che non sono responsabile soltanto per me stesso, e che devo includere anche altri esseri umani nella mia preghiera.
Una volta mi è stata raccontata una similitudine, in cui gli esseri umani erano paragonati a dei bastoni. Quando ognuno desidera qualcosa di diverso da ciò che desiderano gli altri, ed è inclinato in una direzione diversa dagli altri, tutti i bastoni si incrociano, si sfregano l’uno contro l’altro, e non c’è posto per tutti. Ma se tutti i bastoni sono orientati verso l’alto e stanno ritti in piedi, allora nessuno si sfrega contro l’altro, e c’è posto per tutti. Così avviene per noi esseri umani: se ognuno vuole qualcosa di diverso dagli altri e persegue obiettivi diversi, allora spesso siamo di ostacolo l’uno con l’altro e ci diamo impedimento. Ma se tutti perseguiamo lo stesso obiettivo, allora siamo molto più efficienti ed efficaci. Le nostre religioni sono tutte accomunate dalla fede in D-o, e quindi, quando i nostri sguardi sono tutti orientati verso l’alto, verso l’onnipotente, e quando riconosciamo che siamo tutti creature di D-o, ci rendiamo conto che su questo mondo c’è spazio per tutti, e che i tanti esseri umani, diversi tra di loro, non si danno fastidio o impedimento, ma sono complementari l’uno con l’altro.
Molti si lamentano del fatto che la presenza di D-o sulla terra non può essere percepita. Ma forse il motivo di ciò è da cercare in noi stessi. Il Midrash narra come D-o scelse il luogo della sua presenza perenne, cioè il tempio. Un uomo benestante aveva due figli. Uno dei figli si sposò e diede inizio ad una famiglia con molti figli. L’altro non ebbe come il primo la fortuna di trovare una compagna di vita e di dar inizio ad una famiglia. Quando il padre morì, lasciò in eredità ad ognuno dei due figli un sacco pieno d’oro. Quella notte nessuno dei due fratelle riuscì a dormire. Il primo pensò a quanto era stato benedetto dalla sua famiglia e dal gran numero di figli, e di come stava messo male suo fratello. “Egli ha bisogno dell’oro più di me, perché, non avendo famiglia, almeno l’oro gli porterà felicità”. L’altro fratello pensò: “Io sono solo, a cosa mi serve tutto quest’oro? Mio fratello ha una famiglia numerosa e molte spese, ha bisogno dell’oro più di me”. Ambedue presero contemporaneamente la decisione di lasciare l’oro al fratello. Quando stavano per portare l’oro l’uno all’altro, si incontrarono esattamente a metà strada e si abbracciarono.
Quando l’Onnipotente lo vide, disse: “Qui, in questo luogo voglio dimorare. Qui deve sorgere il mio tempio. Questo è il luogo della pace.” In questo modo il tempio divenne anche un luogo di pace e di preghiera per tutti i popoli, come sta scritto: “Ki Bejti Bejt Tfila lekol Haamim”, “perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli".
Voglia D-o dimorare in un luogo di pace, ma sta a noi far sì che il mondo diventi tale.
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