È un grande piacere partecipare ancora una volta a un incontro di Sant’Egidio dopo tanti anni di amicizia con questa magnifica comunità. E sono particolarmente orgogliosa di rappresentare qui la mia organizzazione Search for Common Ground (Ricerca di un terreno comune) in qualità di sua prima direttrice globale per l’impegno religioso.
Come alcuni di voi sanno, Search è la più importante organizzazione al mondo per la mutazione dei conflitti. Opera in 45 paesi con programmi che coinvolgono 4 milioni di persone ogni anno. Search sostiene la diversità e allo stesso tempo promuove la ricerca di interessi e bisogni comuni da parte di gruppi e società in conflitto al fine di ridurre la violenza. Lavoriamo per costruire società sane e giuste e in questo modo porre fine ai conflitti. Non siamo un gruppo confessionale ma spesso ci troviamo coinvolti in iniziative con una dimensione religiosa. Il mio compito è di trovare strategie per costruire sentieri di pace mettendo insieme l’abilità nella ricerca di “terreno comune” con l’impegno religioso.
Ho vissuto 35 anni a Gerusalemme - luogo tra i più spirituali al mondo - e tra i più conflittuali. Nessuno, fra le persone di qualsiasi gruppo etnico o religioso con cui ho parlato in quella città meravigliosa, mi ha mai detto di non volere la pace. “Basta guerre, basta sangue - PACE” è stato un ritornello trasmesso per anni dalla radio israeliana.
Tutti hanno gli stessi bisogni primari -affetto, cibo, protezione, sicurezza, dignità e i mezzi per una vita che abbia un significato. Il problema è che, mentre aspiriamo alla pace - e troviamo messaggi di pace in TUTTI i testi religiosi - non sappiamo COME arrivarci. Non dimenticherò mai la saggia preside di una scuola israeliana che mi disse che le tecniche di meditazione, di comunicazione e di risoluzione dei conflitti incluse nel suo programma per la scuola elementare sarebbero state più utili ai suoi alunni di qualunque altra cosa appresa a scuola. Purtroppo educatori come quella preside sono rari.
In questa presentazione mi concentrerò su come noi di Search abbiamo coinvolto esponenti religiosi di ogni confessione nel processo di pace. Parlerò dei metodi che abbiamo usato e fornirò esempi di come abbiamo lavorato. Sono casi di successo, ma naturalmente ci sono stati alti e bassi e anche fallimenti. Spero che questa condivisione di esperienze possa esservi d'aiuto.
Per inciso vorrei ricordare come siano da evitare generalizzazioni sui leader religiosi e ancor più sulle iniziative multireligiose. Sono diverse le situazioni nei diversi paesi. Le religioni stesse differiscono fra loro nonostante i tratti comuni. Nei paesi dove non c'è una chiara distinzione fra stato e religione il clero tende ad assumere posizioni più politiche che profetiche. In altri paesi invece vediamo leader religiosi proclamare la verità nei confronti del potere, secondo la tradizione della profezia.
Tenuto conto di tutto ciò, Search ha sperimentato che le forme di condotta illustrate di seguito si sono dimostrate particolarmente efficaci per coinvolgere i leader di religioni diverse in un processo di pace.
Abbiamo realizzato che è importante trovare aree di interesse o di preoccupazione comuni. È molto più facile far sì che le persone collaborino per risolvere un problema comune piuttosto che portarle a incontrarsi regolarmente solo per dialogare. Negli ultimi dieci anni ho preso parte a una iniziativa con tre altre ONG internazionali per la salvaguardia dei luoghi sacri. È una cosa concreta, spinge al dialogo rivolto all’azione, è un terreno su cui la maggior parte degli esponenti religiosi è disposta a collaborare. Tutti vedono che proteggere i luoghi sacri delle altre religioni aiuta a proteggere i propri.
Il Codice di condotta universale dei Luoghi Sacri che è il risultato di questa attività è stato applicato nei paesi più diversi, dalla Bosnia-Erzegovina all’Indonesia, alla Nigeria, allo Sri Lanka, all’India, alla Terra Santa. Abbiamo lanciato una meravigliosa iniziativa, usando il Codice come fonte di ispirazione, sul monte Sion a Gerusalemme, coinvolgendo non solo i religiosi ebraici e cristiani del Monte, ma anche la polizia, il governo locale, vari ministeri, i giovani e le guide turistiche.
Immaginate la scena: volontari ebrei e cristiani che portano via immondizia accumulata da anni nel cimitero mussulmano Dajani sul monte Sion mentre dal seminario ultra-ortodosso e di estrema destra che si affaccia sul cimitero vengono offerte loro bevande rinfrescanti. Il fatto è che il municipio di Gerusalemme cercava disperatamente di far pulire il cimitero, che è contiguo ai luoghi sacri condivisi del Cenacolo e della tomba di Davide, visitati da due milioni di pellegrini ogni anno, ma la famiglia Dajani-Daoudi non voleva avere alcun contatto con loro. Dopo alcune mosse per creare fiducia reciproca la famiglia accettò di aprire i cancelli del cimitero e con l’assenso del municipio i volontari poterono iniziare il lavoro.
Secondo punto: è importante coinvolgere non solo le massime autorità religiose ma anche altre persone che talvolta hanno più influenza nelle comunità locali o le rappresentano meglio.
Me ne sono accorta un paio di mesi fa in Nigeria, incontrando personalità religiose, uomini e donne, mussulmani e cristiani, capi di comunità che hanno avuto incontri periodici nell’ultimo anno e hanno formulato un piano in dieci punti per la protezione dei luoghi sacri nella Nigeria del Nord. I punti erano tutti ragionevoli e fattibili, ma uno mi ha colpito in particolare: la Responsabilità collettiva per gli attacchi ai luoghi sacri. “Pochi sono colpevoli ma tutti sono responsabili”. Possono essere pochi quelli che danneggiano o distruggono luoghi sacri ed esasperano le tensioni religiose, ma tutti sono responsabili per la protezione dei luoghi e il contenimento delle tensioni. Aggiungevano che “leader responsabili devono guardare nello specchio più che fuori della finestra”. In altre parole devono riflettere su se stessi piuttosto che accusare gli altri quando le cose vanno storte.
Coinvolgere le personalità religiose significa anche gettare la rete più ampia che si può, cioè essere inclusivi al massimo. Se vogliamo costruire la pace dobbiamo incontrare anche quelli con cui non ci verrebbe spontaneo di andare a cena.
Terzo punto: il concetto di personalità religiose include le donne. Troppo spesso le autorità religiose tradizionali non considerano le donne come leader e le donne stesse non riescono a immaginarsi come leader religiosi. Ne viene il perpetuarsi di un ciclo di leadership maschile che di fatto rende invisibile metà della popolazione mondiale. Le donne sono fortemente sottorappresentate negli incontri inter-religiosi che si occupano di conflitti e questo va a detrimento di tutti, inclusi gli uomini, anche se non se ne rendono conto!
Nell’ultimo anno ho presieduto una iniziativa di leader religiosi in Israele che unisce tre comunità, gli Haredi/ultra-ortodossi, i religiosi nazionali e i mussulmani. Quando abbiamo chiesto ai tre consulenti che lavorano con noi di selezionare partecipanti di entrambi i sessi per ciascun gruppo ci siamo sentiti dire categoricamente da due di loro che non c'erano donne da inserire. Il terzo pensava che sarebbe stato difficile trovarne. Lascio a voi di indovinare chi abbia detto cosa! Comunque, abbiamo insistito e ora abbiamo non solo un ugual numero di uomini e donne, ma anche gruppi femminili entusiasti e determinati a portare cambiamenti. Credo che ci riusciranno.
Quarto punto: è importante coinvolgere nei processi di riconciliazione, oltre ai leader religiosi, altri partecipanti, come politici nazionali o locali, la polizia, talvolta anche i mezzi di comunicazione . È ciò che ho mostrato prima con l’esempio del monte Sion. Spesso infatti le attività di riconciliazione di esponenti religiosi sono viste come qualcosa di separato e di poco utile rispetto alle politiche governative di riduzione della violenza. Il coinvolgimento della religione può addirittura suscitare timori. Questi atteggiamenti stanno cambiando, ma c’è ancora strada da fare perché le iniziative in campo religioso realizzino tutto il loro potenziale.
In Bosnia-Herzegovina il Consiglio interreligioso ha attivato una collaborazione con i municipi, la polizia, i tribunali e i mezzi di comunicazione che ha avuto il risultato di rendere di pubblico dominio le sue denunce degli attacchi ai luogo sacri e di portare a una più efficace azione di polizia, a maggiore rapidità nelle sentenze, alla riparazione dei danneggiamenti e alla diminuzione degli attacchi.
Quinto punto: è importante istituzionalizzare l’impegno degli esponenti religiosi. In altre parole, evitare eventi una tantum, il cui effetto positivo svanisce rapidamente. Creare relazioni di fiducia richiede tempo e continuità.
E infine, in linea col punto precedente, per creare fiducia è utile imparare a conoscere le altre religioni e mostrare rispetto nei confronti loro e dei loro seguaci. La religione è al cuore dell’identità della gente. Mostrare rispetto per la religione è dare dignità alla gente. E questo è il miglior fondamento di ogni impegno multireligioso.
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