Corte Suprema, Pakistan
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Ringrazio la Comunità di Sant’Egidio per avermi dato l’opportunità di condividere alcuni pensieri in questo Incontro Internazionale molto importante su “Strade di pace, religioni e culture in dialogo”. Vorrei dire come lo Spirito di Assisi vive in questo dialogo.
Lasciate che cominci dicendo che – come partecipante musulmano a questo incontro – capisco che lo Spirito di Assisi come movimento dinamico per il dialogo e la pace non appartiene ad una sola cultura o religione, poiché non rappresenta la supremazia di una religione e cultura. Piuttosto, parla per ogni religione e cultura perché la pace è religiosa nella sua natura e nel suo spirito. Il dinamismo di speranza di questo spirito si è manifestato durante le guerre tra cristiani e musulmani, ed ha portato alla strada della pace nel tredicesimo secolo, ora unisce culture e religioni per affrontare la sfida della diversità e del pluralismo religiosi nel mondo globalizzato che si ritiene sia l’arena per le guerre di dominazione oggi.
In anni recenti sono apparsi numerosi studi sulla risposta che lo Spirito di Assisi può fornire a questa sfida, sia a favore che contro. Non ho la competenza per discutere le questioni teologiche che questi studi hanno suscitato. Mi concentrerò soltanto sull’impatto che questo movimento di dialogo ha avuto nel raccogliere un gran numero di persone di diverse tradizioni religiose e culture che credono nella natura religiosa della pace. Voglio sottolineare il fatto che questo impatto è stato possibile principalmente grazie al fatto che lo spirito di religione e la natura religiosa della pace stanno costringendo i credenti ad intraprendere il cammino della pace.
L’attuale mondo globalizzato richiede rispetto per la diversità, libertà di credo ed autonomia dell’individuo. Il dialogo tra le religioni e le culture, in ogni caso, si sta rafforzando nonostante le profezie auto-appaganti sullo scontro tra civiltà di quei pensatori politici e religiosi che non riescono ad apprezzare e a rispettare la diversità nel mondo socialmente globalizzato.
Riscontro tre fasi decisive nella storia del movimento dello Spirito di Assisi, di dialogo tra religioni e culture. Il movimento è iniziato con la coraggiosa iniziativa intrapresa da San Francesco di Assisi (1182-1226) nel 1219 durante la quinta crociata (1213–1221). I crociati guidati dal Card. Pelagio avevano assediato e catturato Damietta, città portuale in Egitto. Il sultano musulmano d’Egitto, Malik al-Kamil (1180-1238), conosciuto popolarmente tra i crociati come Meledino, apparteneva alla famiglia Ayyubide di Saladino, Salah al-Din (1138-1193), che aveva ricatturato Gerusalemme nel 1187. San Francesco chiese al Cardinale il permesso di andare nel campo nemico e di invitare il Sultano alla pace accettando il Cristianesimo. Era una iniziativa di pace audace nel mezzo della guerra, ma non bizzarra poiché era una guerra in nome della religione. Il Cardinale esitò ma poi gli permise di predicare al Leader musulmano.
San Francesco rischiò la vita, attraversò il campo militare musulmano e si presentò al Sultano Al-Kamil. Gli propose la strada cristiana per la pace per allontanarsi dalla strada della guerra. Il Sultano lo ascoltò con attenzione e lo rimandò indietro indenne al campo cristiano. Il Sultano al Kamil fu pronto a negoziare la pace e a cedere Gerusalemme nel 1219 ma i crociati non furono d’accordo poiché avevano preso Damietta e speravano di conquistare l’Egitto. Nel 1221 la situazione si capovolse: i crociati furono sconfitti e dovettero ritirarsi da Damietta dopo aver negoziato una ritirata sicura con l’Egitto. Durante la sesta crociata nel 1229 Al-Kamil negoziò un trattato di 10 anni di pace e cedette Gerusalemme ai crociati.
È significativo studiare come lo spirito di Assisi prevalse e cristiani e musulmani optarono per la pace. Qui vorrei sottolineare l’enfasi continua sulla natura religiosa della pace ed il permesso condizionato alla guerra nelle tradizioni religiose e culturali musulmane e cristiane nel tredicesimo secolo. Tra i musulmani, la guerra era concessa solo come difesa e contro l’oppressione (Corano 22:39), era proibita nei confronti di persone pacifiche, che dovevano piuttosto essere trattate gentilmente e giustamente (60:8), e l’odio degli altri non costituiva giustificazione per l’ingiustizia, giacché la giustizia è più vicina alla pietà e al timor di Dio (5:8). Perfino durante la guerra, se il nemico è incline alla pace, anche i musulmani devono essere inclini alla pace anche se dubitano della buona fede del nemico, poiché la pace richiede fiducia in Dio (8:61-2).
Maometto, il Profeta dell’islam ha negoziato trattati di pace più di quanto abbia combattuto battaglie con il nemico. Queste battaglie sono terminate con il trattato di 10 anni di pace di Hudaybiya con i nemici della Mecca. Durante questo periodo di pace, ha scritto lettere e mandato emissari a tutti i regni confinanti per negoziare la pace. Gli storici musulmani la descrivono come un invito a convertirsi all’islam per stabilire la pace. Il Corano invita le altre religioni a prendersi per mano per il comune valore della fede in un unico Dio (3:64). Saggezza, gentilezza e attenzione sono i principi richiesti per il dialogo; il modo in cui si portano aventi le discussioni deve essere il migliore (16:125). La maggior parte dei giuristi musulmani come al Ghazali (1058-1111) ha parlato delle leggi di guerra chiarendo che il terreno per la guerra è l’oppressione e l’ingiustizia, non la mancanza di fede. Allo stesso modo, tra i cristiani, S. Agostino (354-430) e san Tommaso d’Aquino (1225-1274) hanno discusso i principi teologici della ragione, dell’autorità, e della fine della guerra. Hanno sottolineato come la pace sia l’obiettivo della guerra ed hanno esposto la dottrina della guerra giusta. Secondo recenti studi (Rout, Paul. "St Francis of Assisi and Islam: A Theological Perspective on a Christian-Muslim Encounter." Al-Masaq 23.3 (2011): 205-215), al-Kamil ha esemplificato le leggi islamiche della Guerra dando cibo ai crociati sconfitti che stavano morendo di fame. Fu in questo momento che tutti loro riconobbero la natura religiosa della pace.
E’ significativo notare che al di là delle esigenze del tempo, i firmatari del trattato di pace: l’imperatore romano Federico II Re di Sicilia (1194-1250), Papa Gregorio IX, il Sultano al-Kamil e i suoi fratelli in Siria, tutti credevano nella necessità religiosa della pace. L’imperatore Federico II parlava arabo e conosceva molto bene la cultura e la tradizione islamica. Fu questo spirito di dialogo e di discorso sulla pace che riunì i credenti in questo periodo delle Crociate. Si raccontano con compassione storie di reciproca comprensione e apprezzamento della cultura e della religione l’uno dell’altro.
La seconda manifestazione del movimento di dialogo dello Spirito di Assisi ha avuto luogo nel 19° secolo quando il significato ecumenico del dialogo spinse cristiani appartenenti a chiese diverse ad esplorare la natura inclusiva del dialogo religioso che ha pavimentato la strada della pace. Questo ha portato a fondare diversi forum di dialogo religioso, di cui il più antico è probabilmente il Parlamento delle religioni mondiali, fondato nel 1893 a Chicago, USA. Oltre alle relazioni ecumeniche e alla preghiera comune dei cristiani, esso ha esteso il dialogo al livello interreligioso tra religioni abramitiche ed altre. Altri forum come il Consiglio ecumenico delle Chiese (1937) lo hanno portato avanti più sistematicamente.
Questo fu un periodo in cui le diverse sfumature teologiche tra termini come conversazione, conversione, dialogo, ecumenico, interreligioso, e sincretismo divennero dissertazione comune. Tra queste dissertazioni, la semantica del termine dialogo si spostò da “conversione” a “comprensione reciproca”, da denominazioni religiose e sette al significato e fine della religione e religiosità, e da separazione tra fede e pratica a inclusione della pratica. Il suo impatto fu testimoniato nelle università dove gli studi sulla religione si spostarono dal significato ristretto di cristianesimo a religione comparativa a storia delle religioni a studi religiosi, e da teologia e filosofia a fenomenologia, antropologia e sociologia della religione.
Muhammad Iqbal (1877-1938) di Lahore Pakistan, rispose a ciò che egli considerò “la domanda di una forma scientifica di conoscenza religiosa” e disse che era possibile esaminare l’esperienza religiosa filosoficamente e scientificamente perché “l’ambizione religiosa vola più in alto dell’ambizione della filosofia”. La religione cerca una più intima associazione attraverso il culto o la preghiera culminante nell’illuminazione spirituale. (Reconstruction of Religious Thought in Islam, 1934). L’atto della preghiera si eleva più in alto del pensiero per catturare la Realtà stessa.
Jalal al-Din Rumi (1207-1273) Paragonava la ricerca religiosa della relatà con quella di un cacciatore che segue le tracce di un mosco (animale simile ad un cervo, n.d.t.) prima attraverso le impronte e poi attraverso l’odore del suo muschio. Secondo Iqbal, “il reale oggetto della preghiera, tuttavia, è raggiunto meglio quando l’atto della preghiera diventa congregazionale. Una congregazione è un’associazione di uomini che, animati dalla stessa aspirazione, si concentrano su un singolo oggetto ed aprono il loro intimo al lavoro di un semplice impulso. Con l’islam, tuttavia, questa socializzazione dell’illuminazione spirituale attraverso la preghiera associativa è un punto di interesse particolare. Nell’Hajj, il pellegrinaggio alla Mecca, l’istituzione del culto gradualmente si allarga alla sfera dell’associazione umana. La preghiera è l’anelito interiore dell’uomo ad una risposta nel terribile silenzio dell’universo (Iqbal, 74).
Come atto interiore, la preghiera trova espressione in una varietà di forme. Il Corano dice: “A ogni nazione destinammo riti che essa osserva. Non discutano dunque con te sull’Ordine. Appellati al tuo Signore, che certo tu sei rettamente guidato! E se essi disputano con te, dì loro: “Dio sa meglio quello che voi fate. Dio giudicherà fra voi il dì della resurrezione, deciderà queste discordie vostre” .
La divisione dell’umanità in razze, nazioni e tribù ha come unico scopo secondo il Corano l’identificazione (Corano 49:13). “la forma islamica essenziale dell’associazione in preghiera, pertanto, oltre al suo valore cognitivo, è anche indicativa dell’aspirazione a realizzare l’unità essenziale dell’umanità come un fattore di vita demolendo tutte le barriere che si ergono tra uomo e uomo (Iqbal 75).
Nel diciannovesimo secolo l’Andalusia, la Spagna musulmana, fu ricordata con nostalgia da poeti, romanzieri e storiografi cristiani e musulmani come un esempio di pacifica alleanza di islam, cristianesimo ed ebraismo nel dialogo religioso e culturale.
Gli storici moderni si riferiscono a questa nostalgia come al culto della Spagna, come simbolo di islam europeo e per gli storici cristiani ed ebrei fu un esempio da seguire per il cristianesimo.
La terza fase critica nel movimento dello Spirito di Assisi iniziò il 27 ottobre 1986. Papa Giovanni Paolo II guidò la “Giornata mondiale di preghiera per la pace” ad Assisi in Italia, la città natale di San Francesco. Dopo un breve scroscio di pioggia la mattina, apparve un arcobaleno nel cielo di Assisi. Giovanni Paolo II vi vide un segno visibile di concordia tra Dio ed i discendenti di Noè, ed una chiamata pressante alla fraternità. Chiamò questa fase dell’incontro interreligioso “Spirito di Assisi”. L’arcobaleno simboleggiò l’inclusività, l’unità nella diversità, l’armonia di colori, lo stare insieme senza perdere l’autonomia individuale e l’ecumenismo senza sincretismo.
Un secondo incontro della “Giornata mondiale di preghiera per la pace” si tenne con Giovanni Paolo II il 24 gennaio 2002. Lo Spirito di Assisi continua a dare speranza all’umanità ferita dalle guerre, addolorata dalla violenza, stravolto d paura e sfiducia, perso in un’epoca di post-verità, sconcertato dalla diversità e perplesso dai muri creati dai politici e dalle teologie di supremazia.
In tutte le 3 fasi, è stato lo Spirito di Assisi ad aver richiamato alla pace, al dialogo e al rispetto reciproco. Sono sicuro che con il dialogo tra diverse culture e religioni potremo raggiungere il destino comune della pace. Lasciate che concluda con una citazione pertinente di Iqbal.. Una unità vivente si manifesta veramente in una molteplicità di libere unità indipendenti armonizzate dal legame unificante della comune aspirazione spirituale (Iqbal, 126). Grazie per l’attenzione.
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