“Che cosa sarebbe il mondo senza il perdono? Saremmo tutti drogati di violenza”. Lo chiedono insieme a Barcellona, al meeting di Sant’Egidio alcuni testimoni dei grandi drammi della storia del ‘900: la Shoah, l’apartheid, la pena di morte, il genocidio ruandese.
In Sudafica si poteva cercare una “punizione dura per i responsabili della segregazione razziale”, dice il vice ministro sudafricano Andries Carl Nel.
Ad Auscwitz, Liliana Segre, allora poco più che bambina, poteva vendicarsi sul suo aguzzino, ma “è stato allora – ha raccontato – che ho capito che io ero meglio di lui”.
Tamara Chikunova, protagonista della lotta alla pena di morte in Asia centrale, poteva chiudersi nel suo dolore dopo l’uccisione del figlio, ma “questo – ha affermato - è il tempo di lottare per l’anima delle persone, altrimenti il vuoto delle idee si riempie di violenza”.
È stato quindi un giovane rwandese a spiegare il valore dell’abolizione della pena di morte in un paese schiacciato da una guerra terribile: “si pensa che per fermare la violenza bisogna utilizzarne una uguale e contraria – ha affermato Celestin Twizere, della Comunità di Sant'Egidio del Rwanda - ma la violenza è come una droga: più la si usa e più se ne diventa dipendenti”. |