Ministro della Salute, Germania
|
Sono molto lieto di prendere parte all’incontro per la pace della Comunità di Sant’Egidio. Ho avuto il piacere di conoscere la Comunità e il suo pionieristico impegno sociale a Roma. Ho intenzione di tornare a visitarli anche quest’anno.
La preghiera per la pace ci offre un’ottima possibilità di parlare insieme, invece di parlare gli uni sopra gli altri.
Troppo spesso, infatti, il rapporto tra le diverse religioni e culture è caratterizzato dall’incomunicabilità, dall’ignoranza e dal fastidio.
Oltre a ciò ci sono drammatici esempi dell’abuso che viene fatto delle religioni per giustificare l’odio e la violenza.
Penso all’Irlanda del Nord e al jihad. Ma il terrorismo, di cui tanti uomini di religione sono vittime, non ha religione. Questo vale anche oggi, a 10 anni dagli attentati dell’11 settembre, che non sono stati altro che un’espressione di un abissale sacrilegio.
Il dialogo è l’unico principio umano della comunicazione e della risoluzione dei conflitti, come è stato formulato nel Concilio Vaticano II. L’introspezione è la migliore protezione contro l’abuso delle religioni.
Noi oggi vogliamo guardare avanti. Il titolo della preghiera per la pace ci indica la direzione: “Destinati a vivere insieme”. (Bound to live together).
Sono proprio le religioni ad essere predestinate a impegnarsi nel dialogo sul convivere. Perchè le religioni sostengono, insegnano l’attenzione e la solidarietà e creano solidarietà. Si potrebbero fare molti esempi del fatto che la fede ispira al bene.
Ma i motivi per convivere non sono solo di natura morale. Il papa Benedetto lo ha espresso con queste parole: “Stiamo assistendo alla costruzione di una comunità mondiale in cui le singole forze politiche, economiche e culturali fanno sempre più riferimento l’una all’altra, si incontrano e si contaminano a vicenda nei loro diversi ambienti di vita”.
Globalizzazione, commercio, migrazione e mobilità: nei fatti quasi non esistono più Stati autonomi e completamente indipendenti dal mondo esterno. Società omogenee dal punto di vista religioso o etnico sono oggi l’eccezione, non la regola.
Il mondo diventa sempre più piccolo. I problemi e le preoccupazioni degli altri diventano sempre più importanti per noi. Abbiamo bisogno gli uni degli altri per gestire sfide globali.
Questo richiede una maggior dose di tolleranza sia da parte nostra che da parte degli altri. Ciò vale anche per la libertà di religione.
Penso alle persecuzioni e alle discriminazioni subite dalle minoranze religiose, come ad es. i tibetani, i musulmani, i cristiani fedeli a Roma o le chiese domestiche evangeliche in Cina. Penso all’antisemitismo o ai 200 milioni di cristiani che nel mondo non godono della libertà di professare la loro fede. Penso anche ai conflitti e alle guerre, come quella nei Balcani, in Irlanda del Nord, in Ruanda o in Iraq. Terribili esempi di cosa possa accadere quando non vengono rispettate le regole basilari della convivenza pacifica. La dignità dell’uomo viene calpestata. Nessuno che creda ad un Dio giusto può volere una cosa simile. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte a ciò.
Abbiamo esempi suggestivi del fatto che il dialogo può essere il primo passo del convivere. Penso agli studenti di teologia cattolici, musulmani e serbo-ortodossi che si sono incontrati in una serie di iniziative che la fondazione Konrad Adenauer ha organizzato nel 2010 presso la comunità ebraica di Sarajevo.
Ma quali sono le regole per un fruttuoso convivere?e come devono essere trasmesse e interpretate, perché possa realizzarsi un’interazione buona e naturale? Il filosofo Epitteto ha riconosciuto una difficoltà: “non la realtà, ma le interpretazioni della realtà determinano il convivere”. Sono necessarie la conoscenza, la comprensione, l’accordo su e con gli altri - dialoghi come quelli che avvengono qui alla preghiera per la pace - perché i pregiudizi non trovino un terreno fertile. Ma per convivere è necessario anche accordarsi su standard internazionali che diano l’orientamento e stabiliscano dei criteri, primo fra tutti il rispetto dei diritti umani universali. Queste sono le basi della convivenza pacifica.
Allo stesso tempo dobbiamo avere la forza di evitare che venga distorto il senso delle culture e delle religioni nell’esaltazione di ciò che ci divide. Ci dovremmo piuttosto impegnare a far sì che il convivere sia improntato alla “regola d’oro”: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”, che si ritrova con una straordinaria convergenza anche terminologica nei filosofi greci e nell’Illuminismo, nel Confucianesimo, nel Buddhismo, nell’Induismo, nel Talmud, nei Vangeli cristiani e nella raccolta degli Hadith islamici.
La fiducia nella ragion pura e l’auspicio di una convivenza pacifica non possono dare garanzie sulla pace. Noi dobbiamo costruire insieme il convivere, sia a livello nazionale che internazionale, tra culture e stati, ma anche all’interno di un paese tra i suoi cittadini. Questo è vero in maniera tutta particolare per i paesi di immigrazione come la Germania, dove vivono più di 15 milioni di persone che provengono dall’immigrazione. La loro integrazione è per noi un compito fondamentale, perché la pluralità nella società è un valore solo se ci unisce, non se ci divide. In questo senso spero che nel futuro non dovremo discutere di regole per la convivenza, ma che i nostri figli e i figli dei nostri figli la vivano in maniera naturale ed intuitiva.
Grazie |