Gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 a New York e a Washington sono stati tra gli eventi più orribili nelle relazioni internazionali contemporanee. Gli autori di questo massacro hanno cercato di minare la sicurezza globale e di muovere il mondo in direzione di uno "scontro di civiltà", come Samuel P. Huntington ha evidenziato nei suoi famosi scritti.
Il drammatico corso degli eventi che ha sconvolto il mondo è stato un campanello d'allarme che ha provocato un cambiamento fondamentale nel concetto di sicurezza. La conseguente revisione completa del concetto di sicurezza ha fatto sì che tutti divenissero più vigili, più attenti e più impegnati nelle regioni di instabilità in tutto il mondo. Gli attacchi terroristici dell´11 settembre hanno portato a casa il messaggio che la gestione della sicurezza non conosce confini.
Nel mondo del post-guerra fredda le preoccupazioni per una sicurezza tradizionale, concentrata esclusivamente le minacce militari, sono state integrate dai rischi e dalle minacce per la sicurezza sociale. In questa categoria, tra le sfide alla sicurezza sono comprese il crimine organizzato, il traffico di droga, l'immigrazione clandestina, il terrorismo e il cambiamento climatico. La revisione del concetto di sicurezza che ha avuto luogo nel corso degli ultimi dieci anni si basa su tre pilastri principali.
In primo luogo, si è prestata più attenzione alla prevenzione delle crisi. La guerra globale contro il terrorismo (GWOT) e le campagne militari in Afghanistan e Iraq hanno visto centinaia di miliardi di dollari spesi ogni anno per l'eliminazione dei terroristi quale obiettivo strategico principale. Questa campagna è culminata quest'anno con l'assassinio di Bin Laden e la continua soppressione di agenti di Al Qaeda.
In secondo luogo, l'attuale mondo basato sull´intelligence e la sicurezza è più che mai un villaggio globale. Attori statali e non statali sono molto più disposti a condividere il compito di raccolta di informazioni e di monitoraggio e ciò ha portato alla creazione di un sistema di sicurezza più interdipendente. Questa agenda della sicurezza stabilisce un collegamento più diretto tra sicurezza nazionale e sicurezza personale, in cui la salvaguardia di civili innocenti è una priorità assoluta.
In terzo luogo, al fine di creare una più forte rete di sicurezza in tutto il mondo, è diventato evidente che più di uno sforzo è stato richiesto per favorire una migliore comprensione tra culture e religioni. Questo ripensamento sulla sicurezza va oltre l'introduzione di un atteggiamento di tolleranza. Si è sottolineata la necessità di rispettare tutte le culture e le religioni, in particolare nella regione mediterranea dove si trovano le tre principali religioni, il cristianesimo, l´islam e l´ebraismo.
La natura molto fluida delle relazioni internazionali nel primo decennio del nuovo millennio ha così portato ad un panorama della sicurezza globale sempre mutevole. I cambiamenti di percezione che si svolgono nell'ambito della sicurezza nell´area euro-mediterranea hanno richiesto un ripensamento strategico, poiché si tratta di affrontare e gestire più efficacemente le fonti di instabilità.
La Strategia Europea per la Sicurezza, adottata nel 2003 e rivista nel 2008, in gran parte riprende la prospettiva della Strategia di Sicurezza Americana che ha fatto seguito agli attentati dell'11 settembre. Terrorismo e armi di distruzione di massa sono le sfide principali che essa evidenzia, mentre un discorso sul crescente divario nord-sud è in gran parte assente nelle strategie proposte.
Il Mediterraneo è già un’area geo-politica in cui numerose fonti di insicurezza minacciano di intensificarsi e di mettere a repentaglio la stabilità regionale e internazionale. Le sfide alla sicurezza che devono essere affrontate con urgenza sono il collasso economico degli stati, l'incremento delle attività terroristiche, il conflitto israelo-palestinese, la proliferazione di tutti i tipi di armi, la sicurezza energetica, il degrado ambientale e il sempre crescente stato di disparità economica tra le sponde nord e sud del Mediterraneo.
Data la natura fluida della sicurezza dopo il primo decennio del nuovo millennio, quale strategia politica deve essere attuata per ridurre al minimo il livello di turbolenza tra i diversi stati in tutta l'area del Mediterraneo? Può essere stabilito un accordo regionale sulla sicurezza mediterranea per affrontare le minacce alla sicurezza in modo più consistente e coerente? Data l'eterogeneità del sistema politico mediterraneo, è forse più fattibile affrontare le sfide alla sicurezza attraverso piccoli raggruppamenti sub regionali di stati? La diversità degli interessi relativi alla sicurezza, soprattutto lungo l´asse nord-sud delle relazioni mediterranee, implica che la problematica della sicurezza non possa che essere affrontata in modo efficace solo attraverso l'impegno attivo di più attori esterni alla regione, come gli Stati Uniti, l´Unione Europea, le Nazioni Unite e il G-20. Se si intende stabilire una maggiore sicurezza in tutta l'area mediterranea è essenziale affrontare queste questioni.
Dopo la guerra fredda l'attore principale che ha cercato di accrescere la propria influenza nel programma di sicurezza del Mediterraneo è l'Unione europea. Dal lancio del partenariato euro-mediterraneo nel novembre del 1995 gli Stati partecipanti, europei e mediterranei, hanno sempre accettato di introdurre e sviluppare misure di fiducia, nel tentativo di ridurre le tensioni già esistenti e come strumento per prevenire ulteriori scontri emergenti. Pur riconoscendo le diverse percezioni che esistono a causa di conflitti in corso nella regione, in particolare il conflitto israelo-palestinese, dal processo di dialogo euro-mediterraneo è sorta una comune cultura della sicurezza, mirata alla prevenzione di un'escalation delle ostilità.
Dalla fine della guerra fredda e soprattutto dopo gli attentati dell'11 settembre 2001, in Europa vi è stata una costante percezione di una minaccia proveniente dal Medio Oriente. Il flusso di notizie provenienti dal Medio Oriente presenta prevalentemente immagini minacciose come estremisti che predicano odio contro l'Occidente, o terroristi sprezzanti dei diritti umani, o brutali dittatori che cercano di acquisire armi di distruzione di massa.
Queste immagini ritraggono il Medio Oriente come una regione aliena, ostile e retriva. Aiutano anche a concentrare l'attenzione sulle grandi comunità provenienti da questi paesi che emigrano in tutta Europa. La xenofobia nei confronti delle comunità di migranti in tutta Europa ha rafforzato e dato vita a grandi movimenti politici di estrema destra in Francia, Gran Bretagna e Paesi Bassi.
In realtà la ricchezza economica di cui gode l'Europa e la sua superiorità militare, soprattutto se paragonata ai suoi vicini meridionali, mostra come sia priva di senso l'idea che il Medio Oriente possa costituire una minaccia per l'Europa. Tuttavia, dalla fine della guerra fredda c'è stata una percezione crescente in Europa e nel Nord America che il nuovo nemico, dopo il comunismo, sarebbe venuto dal Medio Oriente. Una propaganda allarmista, alimentata dai media, si è concentrata sulla nascita di una jihad islamica contro l'Occidente, in particolare dopo gli attacchi dell 11 settembre contro gli Stati Uniti.
Anche la risposta inadeguata dell'Unione europea al flusso di un gran numero di persone che chiedono asilo politico o lo status di rifugiato ha evidenziato i limiti dell’impegno dei paesi occidentali quando si tratta di politiche umanitarie e di risorse assistenziali. Il calo del tasso di natalità in Europa, insieme al gran numero di arrivi dalle sponde sud del Mediterraneo, ha portato molti esperti ad aprire un dibatto sul l'impatto che tale fenomeno avrebbe sulla futura identità dei diversi stati nazionali d'Europa.
Durante il primo decennio del nuovo millennio la percezione negativa del Medio Oriente è stata ulteriormente alimentata da continue immagini di violenza e di terrore, compreso estremisti islamici che predicano l'odio verso l'Occidente (Iran, Libano), terroristi che mostrano disprezzo per i diritti umani, brutali dittatori pieni di soldi derivanti dal petrolio che tentano di acquistare ogni sorta di armi, leader musulmani e masse determinati a stabilire Stati islamici con leggi che vanno contro gli standard occidentali laici di civiltà.
Un tale bombardamento di immagini 24 ore su 24 da parte dei media ha portato il pubblico europeo a sviluppare negli ultimi dieci anni più di un atteggiamento razzista e xenofobo verso il Medio Oriente.
La rinascita dell'estremismo islamico genera facilmente in tutta Europa il timore che il risorgere della fede islamica sia legata al tentativo di rivincita per le battaglie perse nel passato. La preoccupazione della politica per le comunità di immigrati è facilmente amplificata a causa degli alti livelli di disoccupazione di lungo corso in Europa. Se non si tratta in modo concertato questa problematica, la teoria di Huntington di uno scontro tra civiltà potrebbe diventare nei decenni a venire una prospettiva più realistica nell’ambito della sicurezza nell’area euro-mediterranea. Questo è un risultato che avrebbe conseguenze catastrofiche per tutti i popoli del Mediterraneo ed è quindi uno scenario che deve essere respinto con veemenza.
Dopo i tragici eventi dell'11 settembre 2001 e le conseguenti guerre in Afghanistan e in Iraq, è interesse della comunità internazionale evitare l'emergere di nuove fratture, come l’abisso che divide le sponde nord e sud del Mediterraneo a causa della povertà. Il miglioramento delle condizioni di vita di milioni di persone lungo la sponda meridionale del Mediterraneo deve emergere come un obiettivo concertato di politica estera d’oltreoceano se non si vuole che tale divisione divenga una caratteristica permanente della regione mediterranea.
Se si vuole evitare che si realizzi lo scenario di uno scontro di civiltà, con decine di migliaia di reclute, nei prossimi anni l'Occidente deve trovare il modo di aprire ulteriori canali di comunicazione con tutti i governi del Mediterraneo, compresi gli eventuali regimi islamici. In caso contrario, il lento processo di democratizzazione nel Maghreb e nel Mashreq subirà una battuta d'arresto e l'ondata di radicalizzazione anti-occidentale potrebbe aumentare.
Alcune stime prevedono che nei prossimi anni ben venti milioni di persone dal Nord Africa potrebbero optare per l'emigrazione in Europa, dove gli stipendi sono tra le otto le dieci volte superiori a quelli del sud. L'emergere di una "Fortezza Europa", dove i confini sono sigillati, nel tentativo di scoraggiare i possibili migranti, non farebbe che aggravare ulteriormente questo problema. I politici europei dovrebbero ricordare che le grandi comunità di lavoratori originari di regioni del Mediterraneo quali ad esempio il Maghreb, hanno già dato un contributo significativo al successo dell'industria europea.
Mentre il partenariato euro-mediterraneo e l'Unione per il Mediterraneo hanno cercato di arrestare il processo di polarizzazione tra le sponde nord e sud del Mediterraneo, il periodo successivo alla guerra fredda non ha finora visto una significativa inversione di questa tendenza. Questo sviluppo strutturale è ciò che sta soffocando la costituzione di una cooperazione nella regione del Mediterraneo.
Più di mezzo secolo fa, un pensatore cristiano, filosofo e uomo politico, Giorgio La Pira, di fronte al primo risveglio del nazionalismo arabo, alimentato dalla lotta per l'indipendenza dei paesi del Nord Africa, convocò a Firenze i cosiddetti Colloqui Mediterranei nell'ottobre del 1958.
Lo scopo di quegli incontri, che ebbero luogo nella città toscana in quattro sessioni nel 1958, 1960, 1961 e 1964, era la creazione di un asse di nazioni basato sulle tre religioni monoteistiche, il cristianesimo, l’islam e l’ebraismo, tre religioni profondamente legate al patriarca Abramo. In una lettera datata 4 maggio 1958 indirizzata a Papa Pio XII, di fronte a questo risveglio arabo, La Pira scriveva: Il colloquio mediterraneo di Firenze…ha proprio questo scopo: co-operare alla edificazione di questo asse delle nazioni. Poesia? no; realta` politica profonda….. Anche se le intenzioni di La Pira erano indirizzate prevalentemente all’ambito religioso, con l'asse delle nazioni basato su tre diverse religioni volto a combattere l'ateismo, i Colloqui furono un momento significativo che ha anticipato la successiva cooperazione mediterranea .
Di fronte a questo secondo risveglio arabo nato dalla sete di libertà, giustizia e democrazia, l'Europa non può rimanere passiva. Questa è una opportunità unica per costruire ponti come fece La Pira. La Comunita’ di Sant’Egidio può fungere da stimolo, in collaborazione con i governi europei che sono d'accordo con questa idea, per organizzare, ora che l'onda araba della libertà si è cristallizzata in progressi concreti con la creazione di nuovi governi, un convegno di dialogo interreligioso sulla stessa linea d’onda dei Colloqui Mediterranei di La Pira, ma adattato alla realtà, alla peculiarità e al linguaggio dell'epoca moderna .... una sorta di Incontro di Assisi focalizzato sul Mediterraneo, sulle tre religioni monoteisteche, con la partecipazione di tutti gli stati del Mediterraneo.
Si potrebbe organizzare questo incontro anche in collaborazione con l’Unione per il Mediterraneo forse rivitalizzando e rilanciando questa Unione che trova difficoltà a stare in piedi e a iniziare a funzionare correttamente.
Malta è stata in prima linea nella promozione della sicurezza e della cooperazione nel Mediterraneo. E’ stata presente fin dall’inizio alla creazione di forum in tutto il Mediterraneo, una serie di cerchi concentrici alcune volte sovrapposti gli uni sugli altri, cercando di creare ponti e punti di contatto.
Ha sostenuto la nascita dell'Unione per il Mediterraneo con una co-presidenza tra Nord e Sud e la creazione di un segretariato composto per la prima volta da Stati del Mediterraneo.
Si è anche riusciti a costituire a Malta un ufficio di collegamento tra la Commissione europea e la LAS guidato da un comitato direttivo con un rappresentante permanente della Lega degli Stati Arabi (LAS).
Ma perché non sviluppare questo piccolo, embrionale segretariato in un dialogo permanente tra gli Stati europei ed arabi? Mi spiego meglio.
L'Unione europea ha l'abitudine di organizzare incontri a livello di capi di Stato e di governo tra i suoi Stati membri e gli stati di particolari regioni del mondo. Ogni due anni, incontri di questo genere si svolgono in America centrale e latina, e nei paesi asiatici. Perché non estendere questa struttura in una regione vicina, il mondo arabo? Ciò sarebbe utile sia sul piano politico che economico.
Lo svolgimento regolare di tali vertici ogni due anni, una volta in Europa e una volta in uno stato membro della Lega degli Stati Arabi, trasformerebbe il dialogo che attualmente è fortuito e si svolge solo in seguito a a situazioni di crisi, in un dialogo permanente con i paesi, i popoli e con una regione geograficamente e culturalmente vicina all'Unione.
Un nuovo Partenariato Strategico Euro-Mediterraneo
La ventata di cambiamento che ha soffiato sulla sponda sud del Mediterrano nel 2011 ha portato a un cambiamento radicale del paradigma geopolitico, che determinerà un panorama politico nuovo in questa regione del mondo.
La piazza araba ha parlato. Se le legittime richieste che da essa salgono non troveranno presto risposte credibili, una transizione finora ordinata verrà sostituita da un futuro ben più caotico, se non anarchico.
La “Primavera Araba” del 2011 rappresenta per l’Unione Europea un’eccellente opportunità per riconsiderare le sue politiche verso i suoi vicini della sponda sud! L’UE deve dispiegare un nuovo quadro strategico che abbia l’obiettivo di consolidare la transizione verso la democrazia, il rispetto delle libertà fondamentali, lo stato di diritto e l’economia di mercato.
Per sostenere i venti di cambiamento nel Mediterraneo l’Unione Europea dovrebbe focalizzarsi su quei paesi che sono pienamente determinati nell’intraprendere riforme politiche ed economiche basilari, ma senza interferire nei loro affari interni. Si tratta di raccomandazioni concrete; vi sono policies che possono essere introdotte in un tempo relativamente breve.
1) l’UE dovrebbe concentrarsi su quei paesi che sono pienamente determinati nell’intraprendere riforme politiche ed economiche basilari, ma senza interferire nei loro affari interni. Dovrebbe intraprendere un dialogo sulle riforme in modo continuativo e mettere a disposizione i necessari finanziamenti. La parola chiave è l’efficacia dell’azione. Ciò appare possibile solo in un quadro di relazioni bilaterali che permettano soluzioni modellate sul caso specifico.
2) la regione [della sponda sud del mediterraneo] dovrebbe affrontare il tema della drammatica scarsità di una forza-lavoro qualificata, soprattutto nel campo dell’istruzione elementare, tecnico-professionale e magistrale. L’istruzione dovrebbe rappresentare una priorità a lungo termine della cooperazione. Per essere efficace nella sua azione, l’UE dovrebbe impegnarsi un programma pluriennale di sostegno all’istruzione elementare, tecnico-professionale e magistrale, che includa anche i metodi d’insegnamento e i curriculum. Il compito è improbo. L’UE non dovrebbe esistare a investire un terzo delle risorse disponibili fino al 2013, circa 2 miliardi di euro. E dovrebbe chiedere alla Banca Mondiale di partecipare a quest’impresa.
La regione avrà altresì bisogno di un numero consistente di giovani con formazione tecnico-scientifica. Attraverso il suo programma Erasmus Mundi, l’UE dovrebbe offrire fino al 4.000 borse di studio a giovani dell’Algeria, dell’Egitto, della Giordania, del Marocco e della Tunisia negli anni a venire.
3) per incrementare in modo sostanziale l’occupazione nel settore agricolo l’UE dovrebbe portare a termine i negoziati in corso sulla liberalizzazione del commercio di prodotti agricoli, e nel frattempo esentare i prodotti agricoli importati da Egitto, Marocco e Tunisia da dazi e quote di importazione, negli anni a venire.
4) nella prospettiva del 2050, l’Africa del Nord diventerà il maggior fornitore di energia solare all’Europa. L’UE dovrebbe offrire subito un sostegno a quei paesi interessati ad una futura cooperazione nel campo dell’energia solare. Tre paesi del Maghreb – Tunisia, Egitto e Libia - sono i candidati più probabili per questo tipo di cooperazione.
5) motivi socio-economici impediscono all’UE di aprire i suoi contrafforti e ricevere una pioggia umana di milioni di arabi provenienti dalla sponda sud del Mediterraneo. L’Europa deve mettere in chiaro questo punto. Tuttavia l’UE dovrebbe mostrarsi più flessibile, per esempio quando si tratta di concedere visti a uomini d’affari, ricercatori, scienziati.
Le riforme politiche ed economiche compatibili con tale scala di necessità richiederanno molte risorse in termini di denaro e coordinamento. Nel breve termine, andrebbe costituito un Fondo di Sviluppo Euro-Mediterraneo dotato di diversi miliardi di euro e aperto alla partecipazione di tutti i donatori. Tale Fondo fornirebbe aiuti a coloro che saranno in prima fila nell’intraprendere quelle riforme democratiche fondamentali indicate in modo sistematico dai Rapporti sullo Sviluppo Umano nei Paesi Arabi dell’ONU, e che comprendano la costruzione di istituzioni basate sul diritto, l’istruzione, e l’empowerment delle donne.
Sono la prossimità geografica e gli interessi geopolitici a dettare all’UE la necessità di rivedere il suo approccio verso il Mediterraneo e di mettere sul piatto un’agenda diplomatica concreta che dimostri la serietà del suo impegno per una zona mediterranea più aperta e libera. I termini d’impegno della Dichiarazione di Barcellona del novembre 1995, che si concentra sulle dimensioni politiche, della sicurezza, economico-finanziarie e umane delle relazioni tra partner è un quadro di riferimento che è una piattaforma di partenza per una visione onnicomprensiva dei rapporti futuri.
Per l’Unione Europea, che per più di quindici anni è stata la principale promotrice del concetto di partenariato, è venuto il tempo di dimostrare la propria credibilità nel mettere al primo posto dell’agenda la riforma politica, le istituzioni democratiche, lo sviluppo economico e il rispetto dei diritti umani fondamentali. La possibile revisione futura della politica mediterranea dell’UE avrà successo solo se riuscirà a contemperare gli interessi della realpolitik con i principi e i valori che a tutti noi stanno a cuore. Altrimenti, saremo giudicati per non essere stati dal lato giusto della storia.
La partecipazione attiva di Malta nelle iniziative Euro-Mediterranee, fin dal momento della sua indipendenza, la mette in una posizione privilegiata nel perseguire gli obiettivi generali dell’aumento della stabilità e della promozione della prosperità nel Mediterraneo. Il rafforzamento della cooperazione pan-Mediterranea è un imperativo fondamentale nella misura in cui si vogliano coltivare e rafforzare le opportunità derivanti dal quadro regionale, intergovernativo e trasnazionale.
Le relazioni Euro-Mediterranee sono pervenute a un punto critico: per questo è essenziale identificare una griglia di misure concrete di costruzione della fiducia, al fine di creare il clima propizio all’interno del quale una regione del Mediterraneo sicura, stabile e prospera possa essere creata.
Un cambiamento epocale sta avvenendo nel Mediterraneo. L’essenziale è che il mutamento del paradigma geopolitico non porti alla fine ad una nuova Guerra Fredda tra il mondo arabo e l’Occidente. I giochi politici e le scorciatoie non sono la soluzione per trasformare i paesi dell’Africa del Nord in democrazie, dove vi sia il rispetto pieno dello stato di diritto ed un’economia di mercato funzionante. Sarà la sfida delle prossime decadi. L’Europa ha tutto l’interesse per una transizione che sia “morbida”. Dovrà mettere in campo tutto il capitale politico, economico e umano che ha a disposizione per assicurarsi che questa impresa termini con il meritato successo.
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