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11 Сентября 2012 09:30 | Muslim Madresa (Gazi Husrev-begova medresa)

Il valore della vita



Virgil Bercea


Greek Catholic Bishop, Romania

La vita dalla prospettiva della scienza e della religione è il più grande miracolo dell’Universo. Per quanto immaginino i pensatori o gli scienziati e cerchino con metodi empirici segni di vita extraterrestre, per il momento, la vita è un fenomeno unico, che esiste solamente sul nostro pianeta azzurro…

    Al momento attuale, gli studiosi di astrofisica ed i cosmologi hanno delineato lo scenario scientifico dell’apparizione dell’Universo materiale, giungendo all’“istante” in cui “ex nihilo” nasce il mondo, poi all’“istante” in cui accade quel miracoloso “fiat lux”  ed il mondo diviene trasparente, presentandoci poi le tappe attraverso le quali la materia “fabbricata” nel crogiuolo delle stelle primarie sulla via di fusioni nucleari, arriva ad essere “polvere di stelle” che generano in seguito stelle come il nostro Sole e pianeti, come la Terra. In un angolo dell’Universo, al margine della nostra galassia - la Via Lattea - in un minuscolo pianeta, la materia riceve un soffio di vita (bios) ed inizia l’avventura della vita, gli esseri vivi si dirigono verso un altro momento cruciale della storia naturale- ossia l’apparizione dell’uomo, in altre parole, verso il momento in cui la materia del corpo (soma), ravvivata dal soffio della vita (psihé) è avvolta da un altro soffio (pneuma), dando nascita ad un essere unico nel cosmo, capace di riflessione razionale e di porsi domande metafisiche. Da questa prospettiva, la dignità della vita e dell’essere umano consegue dalla posizione che la vita biologica e la fenomenologia dell’umano occupano nella storia dell’Universo.

    La rivelazione divina, rivolgendosi ad un altro livello di conoscenza - la conoscenza della fede - ci mostra un’altra sorgente di vita, perché il “tutto” esce dalle mani del Creatore. E se il mondo visibile o invisibile, ha un valore questo è dato solamente dal senso dell’esistenza di tutte le cose stabilite da Dio-il Creatore eterno. Sul piano di Dio c’è anche l’uomo, un essere in cui lo spirito e la materia si riuniscono cosicché “ l’immagine e la somiglianza” di Dio pongono la nobile traccia offrendo all’uomo una nuova sorgente della dignità che proviene dalla posizione unica che occupa nel quadro della Creazione.

    Giungendo alla problematica degli inizi, le scienze positive sono messe dinnanzi ad alcune riflessioni che ineriscono all’ambito della filosofia e della teologia; non a caso Leon Lederman, vincitore del premio Nobel per la fisica, ha “battezzato” il bosone di Higgs “la particella di Dio” , paragonando le fluttuazioni delle radiazioni cosmiche con l’“immagine di Dio”, mentre lo scienziato britannico Stephen Hawking sosteneva che “attraverso l’astrofisica possiamo penetrare nella mente di Dio” .

    Però la problematica assiologica dei valori della vita è di pertinenza della filosofia e della teologia; e se la filosofia contemporanea si batte contro i limiti della metodologia che non possono superare il discorso su un principium o sui valori etici, troveremo la sola risposta esaustiva sulla autorità della Rivelazione divina e sulla via della riflessione teologica.


    La Sacra Scrittura

    La Bibbia inizia con la descrizione dell’atto della creazione. Dal “nulla”, dal non-essere, all’essere, Dio ha fatto tutte le cose , un luogo particolare nell’economia della creazione è occupato dall’apparizione della vita . Dalla sapienza ed attraverso l’onnipotenza di Dio, ciò che è stato concepito a livello intellettuale come logos si materializza attraverso l’atto della creazione, così quel “fiat”, “sia” traspone un’“informazione” che esce dall’“onniscienza” divina nella realtà immanente e storica del mondo. Da quello l’uomo scopre con le “leggi della natura” il carattere “logico” della creazione ed un’ombra della sapienza assoluta del creatore che si riflette nel mondo visibile.
 
    Il mondo minerale conferisce all’Universo la base su cui si poggerà la vita essendo alla base della catena trofica: le sostanze chimiche garantiscono la sussistenza della vita vegetale, le piante divengono cibo per gli animali erbivori etc. tutto in armonia ed in equilibrio naturale che riconosce anche il salmista: “Quanto sono grandi, Signore, le Tue opere, Tutto hai fatto con saggezza, la Terra è piena delle Tue creature” (Sal 103,25). L’apparizione della vita e la sussistenza di ciascuna creatura vivente è opera della Provvidenza divina perché Dio è il Padrone della vita: “Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, Tu apri la mano, si saziano di beni” (Sal 103,28-29). Ma Lui ha il diritto di togliere la vita: “Ma se distogli il Tuo volto, saranno sconvolti; toglierai il loro spirito e alla loro polvere ritorneranno” (Sal 103,30). Così, il soffio della vita, il soffio biologico è donato a tutte le creature viventi, secondo il piano di Dio.

     A differenza della vita delle piante e degli animali, osserviamo “il posto” speciale dell’uomo nell’economia della creazione. Papa Giovanni Paolo II affermava nella sua lettera enciclica Evangelium Vitae (25 marzo 1995): “La vita che Dio dà all’uomo è diversa ed originale rispetto a quella di ogni altra creatura viva, perché anche se è imparentato con la polvere della terra (cfr Gen 2,7; 3,19; Gb 34,15; Sal 103/102,14; 104/103,29), l’uomo è nel mondo la manifestazione di Dio, segno della Sua presenza, traccia della sua gloria (cfr Gen 1,26-27; Sal 8,6). È ciò che ha voluto sottolineare anche Sant’Ireneo di Lione con la sua celebre definizione: «La Gloria di Dio è l’uomo vivo». All’uomo è elargita un’altissima dignità che affonda le sue radici nel legame intimo che lo unisce al suo Creatore: nell’uomo rifulge un riflesso della stessa realtà di Dio” .

La dignità della vita umana ha la sua fonte nella creazione creaturale che gli è stata affidata nell’economia della creazione l’uomo è immagine e somiglianza di Dio; questa è la “base immutabile dell’intera antropologia cristiana” . L’anima dell’uomo non è più un semplice “soffio di vita” che lo apre in modo radicale verso Dio e lo trasforma in un essere nostalgico, perché essendo cosciente del suo stato di creatura tende senza posa verso l’assoluto . Ma in virtù delle sue potenze volitive, l’uomo è nello stesso tempo a ”immagine e la somiglianza di Dio”, “l’uomo è un essere libero”. Questa libertà gli permette di scegliere la propria via da seguire, lo trasforma in un essere morale e gli dà la facoltà di amare (l’uomo è un ens amans). Grazie a questo, una volta ancora, l’uomo rivela un riflesso della sua dignità divina .

La Sacra Scrittura ci rivela anche un altro aspetto: la sacralità della vita: La sacralità è il risultato del legame speciale tra il mondo vivo e Dio: Dio dà il soffio della vita (Gen. 12,7), lo riceve indietro al momento della morte (Gb 34,14; Qoh 12,7), vieta l’uccisione (Gen 9,5; Es 20,13). La Bibbia ci rivela ciò che la storia delle religioni scopre come un’idea universale che ha la sua origine nella storia dell’umanità: la vita è sacra e simbolo della vita ed, implicitamente della sacralità è il “sangue”. “Poiché la vita della carne è nel sangue” (Lev 17,11), per questo ogni rituale arcaico implica il segno sacramentale del sangue per marcare il legame tra l’uomo e Dio, tra il mondo materiale sacralizzato con il dono divino e la realtà “tre volte santa” del Dio Creatore.

Il Nuovo Testamento ci offre una nuova fonte del valore della vita umana: l’uomo è capace di divenire figlio di Dio nel Figlio. Per quello ogni relazione interumana deve essere realizzata alla luce della dignità cristica che traspare in ogni persona, perché dopo il momento dell’Incarnazione, che riunisce in Gesù Cristo la divinità all’umanità, ogni bene o male che è stato compiuto “al più piccolo” lo facciamo al Signore (Mt 15,31-46). La vita spirituale, segno della trascendenza dell’uomo nei confronti delle altre creature, diviene una condizione di vita nella pienezza della dignità di creatura, perché il destino dell’uomo è di vivere in legame con i valori universali che hanno la loro origine in Dio. Per questo Sant’Ireneo di Lione, citato nell’Evangelium Vitae, diceva che: “la Gloria di Dio è l’uomo vivente, ma la vita dell’uomo è la visione di Dio” .


Il valore della vita nella teologia cristiana e le derive della società secolarizzata

Con Ireneo di Lione passiamo dagli aspetti biblici al patrimonio della teologia cristiana. Il valore della vita è dato da Dio, fonte della vita. Il Nuovo Testamento e la Teologia cristiana si muovono da un’altra realtà storica che segna la condizione umana e, in virtù della sua posizione, nell’Universo, si riflette su tutte le creature: il peccato avito, la decadenza dallo stato della giustizia originale e l’opera salvifica di Gesù Cristo. San Gregorio di Nazanzio ci offre una prima sintesi antropologica cristiana: l’uomo è il mediatore tra Dio Creatore e il mondo vivo, la sua posizione particolare nel quadro della creazione è data dalle sue capacità intellettive-volitive, completate dal dono divino della libertà .

Iniziando dal periodo patristico, e, soprattutto nell’ambiente monastico, il rispetto nei confronti dei beni della creazione è messo in relazione con il piano universale di salvezza e con il senso escatologico della storia: il mondo è un progetto divino perfetto, essendo il cosmo, all’ora attuale, un’ombra dell’armonia originale, distrutta dal peccato. La storia non è altro che la via di ritorno dell’uomo verso Dio e della restaurazione dell’immagine iniziale della creazione, volgendosi la tensione escatologica verso la pienezza del regno di Dio. Nell’economia divina, la vita è un dono, perché il valore ed anche il senso di tutte le cose è dato dalla finalità stabilita dall’eternità da Dio. Per questo la teologia scolastica osserva che omne agens agit propter finem, che l’intera creazione, dal mondo inanimato alle piante, agli animali, agli uomini, ha ciascuna una finalità nella prospettiva del divenire di questo mondo. La vita, dono di Dio, quanto più riceve dalla fonte dell’essere, tanto più si rivela preziosa nella gerarchia dei valori, nel mondo visibile, l’uomo.

Una volta ancora l’“immagine e la somiglianza di Dio” nell’uomo diviene la sorgente della dignità e del valore della vita umana. E il segno della trascendenza umana nei confronti del mondo vivo e nello stesso tempo il solo mezzo di autotrascendenza con il superamento dei propri condizionamenti storici, rimane la vita spirituale. Essa conferisce all’individuo uno slancio con il quale si può avvicinare alla santità, a Dio assoluto. Da qui la superiorità della vita umana, con lo slancio dell’autotrascendenza dato dal dinamismo della vita spirituale, si situa al limite tra la materia e lo spirito.

Nella cultura dell’umanità si è conservato uno stretto legame nei confronti della natura. L’uomo può godere della bellezza della natura, può contemplare al di là della materia le forme in rilievo o la potenza del mare o delle acque che sgorgano da Colui che tiene tutto nelle sue mani con le leggi che governano l’Universo. Nel momento in cui interviene il ciclo naturale della vegetazione, l’uomo gioisce per i momenti del raccolto, dal momento che “coglie” i doni della terra. La coabitazione uomo-natura e la “sovranità” sulla natura nel limite di un ordine cosmico è saldata nell’uomo: Dio ordina all’uomo di essere padrone della terra (cfr Gen 1,28). Da allora in poi interviene l’uomo “trasformando” gradualmente il paesaggio “selvaggio” in un paesaggio antropico: l’aratura modifica con il tempo l’inclinazione dei declivi, il terrazzamento dei colli scoscesi, le irrigazioni, i laghi di accumulo, i canali adduttori delle acque, gli spazi coltivati, le opere tecnologiche e le città etc. Esiste tuttavia un limite fragile tra questo tipo di intervento e la rottura di un equilibrio naturale, in generale l’eccessivo sfruttamento che esaurisce le risorse naturali e il potere di rigenerazione della natura.

Questo limite è stato superato iniziando dall’Epoca Moderna. L’industrializzazione ha finito per portare il cambiamento del rapporto tra l’uomo e la natura, cambiando il modo in cui la vita nel suo assieme è vista. L’umanità è entrata in una corsa frenetica di ricerca delle risorse per svilupparsi esclusivamente sulla linea della tecnologia, molte volte a detrimento dello spirito. Il rapporto uomo-natura si è disumanizzato sino alla distruzione dell’ambiente circostante, lo sfruttamento ingiusto delle creature con l’industrializzazione della produzione di uova, carne, o lette, o della pesca industriale, arrivano - e questo nell’“Epoca Moderna” - all’uso di alcuni uomini come schiavi, servendosi come scusa ideologica di falsi modelli antropologici attraverso i quali si cercavano dei modelli aleatori per stabilire la superiorità di alcune razze sulle altre.

Ma la desacralizzazione della cultura dell’uomo moderno portò a derive maggiori nell’ambito della propria società. Il relativizzare i valori della vita è iniziato con la contestazione della relazione uomo-Dio, con l’interpretazione dell’evoluzionismo nel senso della riduzione dell’uomo ad un semplice prodotto dell’organizzazione della materia, senza alcuna finalità prestabilita, poi con la produzione delle dottrine politiche che sostengono l’ateismo a livello dottrinario o, ciò che è più grave, l’indifferentismo che porta ad un “ateismo pragmatico”, specifico dell’uomo della società dei consumi. La rottura con Dio ha portato al disprezzo della dignità della vita, in generale, e della vita umana in particolare. Nella mancanza del senso del sacro della vita, l’uomo agisce in modo caotico, perdendo ogni misura. Ed alla fine giunge con l’esacerbare l’edonismo e un bien-être legato strettamente al corpo, al consumo ed alla materia.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II si riferiva alle derive della società contemporanea in questi termini: “Inoltre tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l’integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, le costrizioni psicologiche; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili: tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose. Mentre guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora di quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore” .

Giovanni Paolo II osservava nuovi altr attentati alla dignità dell’essere umano che provengono, paradossalmente, dal processo scientifico e tecnologico: “Purtroppo, questo inquietante panorama, lungi dal restringersi, si va piuttosto dilatando: con le nuove prospettive aperte dal progresso scientifico e tecnologico nascono nuove forme di attentati alla dignità dell’essere umano, mentre si delinea e consolida una nuova situazione culturale, che dà ai delitti contro la vita un aspetto inedito e - se possibile - ancora più iniquo suscitando ulteriori gravi preoccupazioni: larghi strati dell’opinione pubblica giustificano alcuni delitti contro la vita in nome dei diritti della libertà individuale e, su tale presupposto, ne pretendono non solo l’impunità, ma persino l’autorizzazione da parte dello Stato, al fine di praticarli in assoluta libertà ed anzi con l’intervento gratuito delle strutture sanitarie” .

Tutto questo si deve allo snaturamento del senso della libertà umana, alla diminuzione del concetto di persona solo agli aspetti della personalità e soprattutto sono il risultato dall’allontanamento da Dio. In nome della libertà, l’uomo si sostituisce al vero Signore della vita e della morte. Desiderando decidere - con l’aborto - se un essere umano “abbia il diritto” di nascere poi in nome di un falso umanesimo, decide di stabilire il momento della morte - con l’eutanasia. Per ciò che riguarda la vita biologica, l’uomo contemporaneo cerca di manipolare geneticamente le piante e gli animali per il solo motivo dello sfruttamento, ingrandendo in modo artificiale quello che producono o alcune caratteristiche genetiche. Ogni miglioramento genetico di una specie che supera i limiti della selezione delle razze per via naturale, diviene un’immistione nell’equilibrio della creazione che potrà, in futuro, avere conseguenze negative, scompigliando l’equilibrio della creazione. Ancora più gravi sono le esperienze sugli embrioni umani, l’uomo giocando con la vita, nonostante che dal punto di vista fenomenologico esista una continuità incontestabile tra il materiale genetico costituito nel momento della concezione e la manifestazione storica di un individuo fino alla morte: l’eredità genetica di un individuo, accanto al dono della vita, costituisce il patrimonio inalienabile di ogni uomo in particolare, per questa ragione, ogni intervento a livello genetico o sulla vita lede l’intimità della dignità della persona, indifferentemente se è nella vita intrauterina, nella vita attiva o ha raggiunto, con la malattia o la vecchiaia, la diminuzione delle sue capacità intellettivo-cognitive ovvero (o) somatiche.

 La causa maggiore della deriva della società dei consumi è costituita dal materialismo, l’individualismo, l’edonismo, l’utilitarismo e al di sopra di tutto dall’ateismo. Ma come afferma Benedetto XVI: “Per quanto grande sia l’oscurità di Dio al mondo, Dio non si è ritirato totalmente nell’inconoscibile, non è disperso mai dalla memoria dell’uomo. Esiste un elemento fondamentale di conoscenza di Dio e di autoconoscenza dell’uomo, che non può essere totalmente distrutto nel nostro cuore. In realtà, la coscienza della santità della vita umana, che ci è data non come una cosa di cui disponiamo in modo libero, ma come dono da serbare con fedeltà, appartiene all’eredità morale dell’umanità […]. Siamo qui alla presenza di ciò che Dio ha scritto nel cuore di ciascun uomo (Rm 2,15). L’etica della fede e l’etica della ragione qui coincidono: la fede desta solo la ragione che dorme. Da questo punto di vista nulla viene imposto dall’interno, ma solo richiamato in se stessi .

    La Teologia contemporanea deve ritornare ai fondamenti antropologici rivelati e la promozione del vero personalismo deve ritornare al vero personalismo che valorizza alla posizione dell’uomo nell’economia della creazione. Presentando l’Enciclica Evangelium Vitae, l’allora cardinale Joseph Ratzinger, diceva: “Il rispetto verso la vita umana, la proibizione di disporre di essa con la manipolazione, il divieto di distruggere riflette la percezione originaria presente nel cuore dell’uomo per cui l’altro è un soggetto e non un oggetto, una persona, non una cosa. Si è affermato con chiarezza che proprio dal riconoscimento di questa originaria ed irriducibile dignità dell’altro dipende anche la dignità del soggetto del primo interlocutore. Nella misura in cui giudicate sarete giudicati” (Mt 7,2). “L’altro è il custode della mia dignità. Ecco perché l’etica - quella che inizia da questo sguardo verso l’altro - serba la dignità e la dignità dell’uomo: l’uomo ha bisogno di essa per essere se stesso e per non perdere la sua identità nel mondo delle cose” .

   
    Conclusioni: Riscoperta della sacralità della vita

In virtù della dignità creaturale: “Nel piano di Dio l’uomo e la donna hanno la vocazione di dominare la terra (Gen 1,28), quali amministratori di Dio. Questa signoria non significa un potere arbitrario e distruttivo. Secondo l’immagine del Creatore che ama tutto quello che c’è (Sap 11,24), l’uomo e la donna sono chiamati a partecipare alla Provvidenza divina verso le altre creature. Da qui la responsabilità verso il mondo che Dio ha loro affidato” .

L’evoluzione culturale dell’umanità però si è allontanata dal modello biblico. Il pensiero contemporaneo ha rinunciato alle definizioni sostanziali, oggettive, sulla natura umana , soffermandosi piuttosto sull’aspetto fenomenologico. Attualmente, l’uomo è visto come un soggetto autonomo, capace di relazionarsi con l’ambiente circostante, naturale e socio-culturale. L’uomo si manifesta come uomo soltanto nel legame con l’“altro”, in questo senso è un essere relazionale, un soggetto autonomo che serba l’identità ma si afferma ed agisce solo “assieme”, umanizzandosi nella misura in cui si coinvolge in ciò che definiamo interpersonale. In questo senso, nella prospettiva teologica la relazione tra l’uomo come persona e la persona assoluta di Dio, diviene la piena espressione dell’essere relazionale specifico della realtà personale, l’uomo ha una posizione unica rispetto alle altre creature. Da qui anche un’altra dimensione della dignità dell’essere umano, perché l’uomo acquisisce una posizione unica verso le altre creature dovuta al dinamismo spirituale che gli imprime la relazione con un Dio personale ed assoluto.

Il mondo contemporaneo ci offre un altro tipo di “uomo nuovo”, un pezzo che in qualsiasi momento è intercambiabile di un ingranaggio economico che tende alla globalizzazione, sempre più isolato in un mondo della spersonalizzazione delle relazioni inter-umane e sociali, ridotto al numero di identificazione o a un codice numerico personale ogni qual volta cerca di rivolgersi alle istituzioni che lo rappresentano sul piano sociale. Il mondo moderno ci offre l’utopia di una rivoluzione della modernità, della scienza e della tecnologia che porti al cambiamento essenziale dell’essere umano, al controllo ed al perfezionamento artificiale del genoma umano (della coscienza del comportamento, delle capacità fisiche) attraverso la genetica e la biotecnologia, di un umanesimo olistico e di una cultura umana universale al di sopra delle frontiere, degli interessi di gruppo, delle convinzioni religiose; è il mondo dell’accelerazione della storia  e l’uomo non si accorge che tende a superare una certa frontiera al di là della quale la disumanizzazione che gli è propria lo conduce verso una barriera dietro cui l’individuo concreto scompare davanti all’informatica ed al virtuale. L’uomo rigetta l’idea che Dio mantenga la creazione nell’esistenza ed in nome della libertà contesta la via della dignità e della salvezza offerta dal Creatore, ma in virtù di questo tipo di libertà diviene schiavo delle dipendenze di ogni tipo, cadendo nella schiavitù delle dipendenze alimentari, sociali e culturali “alla moda”, vuole essere un soggetto autonomo, libero ed indipendente, ma in mancanza di relazioni con il prossimo e con la persona assoluta di Dio, perde sia l’autonomia sia, soprattutto, la sua soggettività specifica. Detto in altre parole, desacralizzando il suo mondo, l’uomo si snatura e si disumanizza. La libertà assoluta non può essere toccata se non “in” Dio.

Il problema fondamentale consiste nella capacità della teologia cristiana di riportare dinnanzi al mondo contemporaneo la Verità sulla sorgente della vita e, in particolare, il valore della vita umana. Una possibile via di dialogo è costituita dalla riscoperta della sacralità della vita.
Il Cardinale Julien Ries (n. 1920-), teologo e ricercatore delle religioni, proponeva una “nuova antropologia fondamentale”  che parta dalla definizione di uomo data dall’uomo di scienza romeno Mircea Eliade: l’uomo è in modo fondamentale homo religiosus. Questo significa che la manifestazione umana, indifferentemente dall’ambiente geo-culturale in cui si svolge, è legata - in modo cosciente oppure no - dalla percezione del sacro, da quello che rivela il legame della Realtà Ultima, Trascendente ed Assoluta che conferisce un senso a tutte le cose. Noi, teologi, riconosciamo in questo la realtà personale di Dio.

 Mircea Eliade osserva che anche negli aspetti secolarizzati della cultura il sacro è presente, però camuffato nelle realtà profane del mondo moderno . Gli stessi segni archetipi che svelano la sacralità della vita gli stessi sentimenti e travagli esistenziali dinnanzi alla vita ed alla morte, gli stessi gesti rituali a livello individuale e sociale dinnanzi alla nascita, alla vita, alla sepoltura sono onnipresenti lungo la storia dell’umanità, a prescindere dal modo in cui l’uomo cerca di interpretare “diversamente” o ad allontanarsi dal suo Creatore. Questo significa che l’uomo, essendo homo religiosus, non può non percepire almeno un’ombra di quello che è sacro, essendo capace in modo ontologico di un siffatto tipo di conoscenza. Queste sono le basi antropologiche di una nuova ri-evangelizzazione e ri-cristianizzazione della cultura europea e, in generale, della cultura dell’uomo moderno.
 
La dichiarazione ufficiale di alcuni nuovi peccati capitali, ha generato, nella società civile, una forte reazione alla banalizzazione della posizione della Chiesa, nonostante che ciascun problema sia stato discusso nell’ambiente politico o nelle associazioni civiche e professionali di ogni luogo.  Il fatto che la Chiesa - costituita in fondo da uomini dei nostri giorni - si riveli come una realtà del mondo contemporaneo e non come un’istituzione anacronistica, inerte dinnanzi ai cambiamenti, sorprende coloro che si sono abituati all’idea della separazione della vita pratica dalla fede. L’uomo contemporaneo manifesta di più un secolarismo e un anticlericalismo come segno di un’eredità di un certo tipo di modernità, egli manifesta ostilità verso ciò che gli rammenta la sua condizione di creatura e soprattutto nei confronti di ogni affermazione basata sulla sapienza e sull’esperienza dei suoi avi che gli pronosticano l’insuccesso delle azioni contrarie all’equilibrio ed all’armonia dell’Universo, di cui fa parte integrante anche l’uomo.
Le dichiarazioni fatte non sono nuove, essendo presenti in ogni trattato di teologia morale, soprattutto allorquando si parla del decalogo. La novità consta nell’elevazione di alcuni peccati al rango di peccati capitali. Il peccato è un errore contro la ragione, la verità, la coscienza, contro Dio, un insulto rivolto contro Dio ed il prossimo, un atto che lede alla fine l’uomo nella sua intimità .
 
Il ripetere le azioni peccaminose crea uno stato permanente che caratterizza l’uomo, degrada l’individuo, ferendolo nella sua umanità, e quando questa degradazione diviene sempre più generalizzata e profonda: si instaura il vizio. I vizi sono generati dai peccati capitali che sono la fonte di comportamenti che generano nuovi e più profondi turbamenti. I sette peccati capitali definiti nella teologia classica sono: la superbia, l’avarizia, l’impudicizia, l’invidia, l’ingordigia, l’ira e la pigrizia. Le tendenze del mondo attuale generano altri vizi, disordini profondi che inducono la rottura verso il Creatore e distruggono l’armonia della creazione, e così gracile (indebolita) dal peccato atavico.

 Una dipendenza dalle droghe rappresenta un siffatto peccato capitale. Ogni azione soggioga l’uomo come persona e lo conduce lungo la via dell’autodistruzione e della disumanizzazione. L’uomo pecca contro il V comandamento, manifestando una mancanza di rispetto verso la vita, distruggendo la propria salute; la dipendenza dai narcotici genera, alla fine, un comportamento sociale aberrante, portando con sé infrazioni di ogni tipo, soprattutto il furto e la rapina al fine di procurare i soldi necessari per il consumo sempre più radicato, dovuto alla reazione sempre più tarda dell’organismo. Si tende subito a superare i limiti verso la superdose ed il suicidio. Il consumo di droghe è anche il peccato dei produttori e dei trafficanti che incoraggiano una vera e propria industria clandestina, cercando l’arricchimento sullo sfondo dello sfruttamento della debolezza e della dipendenza dei consumatori di droghe. Si distruggono le famiglie, vi sono delle tragedie di alcuni uomini per cui la vita nella schiavitù della droga è divenuta un inferno: droga, povertà rapina, danneggiamento della salute, prostituzione e crimine.

Le deviazioni sessuali rappresentano un altro peccato capitale, tra di esse v’è la pedofilia. La sessualità fa parte della natura umana, perché l’uomo è un essere sessuato, creato come uomo o donna. Segna l’intimità dell’essere umano, nella misura in cui ci salviamo soltanto attualizzando la nostra paternità e la nostra maternità. La sessualità ci integra nel mondo in un modo specifico e ci aiuta a materializzare l’amore spirituale con il dono reciproco e l’offerta di sé all’altro, un atto di amore umano che è il celibato consacrato attraverso il quale l’uomo si dona in modo intimo a Dio. La perversione del senso della sessualità umana trascina dietro di sé ogni disordine legato alla relazione tra gli uomini e conduce alla desacralizzazione, scivolando sul piano della vita animale.
 
Atri peccati sono commessi dall’uomo in nome del cosiddetto “progresso”, quando le esperienze scientifiche divengono immorali, colpendo l’uomo, come persona nella sua dignità. Pure qui entrano le manipolazioni genetiche, intervenendo l’uomo brutalmente nell’armonia della creazione quando cerca di imporre le pretese di intelligenza dinnanzi all’Intelligenza assoluta che fa sì che il nostro mondo sia “cosmos” e non un “caos”. Sempre peccato capitale è la distruzione dell’ambiente circostante con l’inquinamento, perché invece di amministrare con saggezza la creazione che gli è stata affidata, l’uomo interviene in modo distruttivo nell’equilibrio e nell’armonia stabilita da Dio con le leggi della natura: l’inquinamento che produce alla crescita accentuata della temperatura globale, l’inquinamento chimico e la contaminazione biologica, ma soprattutto le scorie radioattive e l’inquinamento prodotto come conseguenza delle esperienze nucleari o degli incidenti come quello di Cernobil, tutti si oppongono all’uomo, all’armonia delle creazione e del Creatore.
 
L’ingiustizia sociale è un altro peccato capitale perché genera una serie di altri comportamenti sbagliati in quello che concerne un rapporto giusto nella società. Osserviamo una desacralizzazione e una disumanizzazione della società industriale sullo sfondo della promozione di interessi economici a sfavore di una solidarietà umana e un aumento dello scarto tra ricchi e poveri. Le finanze governano seguendo leggi impietose, la politica internazionale accetta l’esistenza di un “terzo mondo”, mentre in ogni sistema socio economico si tiene conto della presenza di una disoccupazione strutturale  ed in modo tacito appaiono veri i ghetti urbani dove si svolge una vita oscura di un mondo isolato, lontano dai benefizi della civilizzazione.

Tutti questi peccati del mondo contemporaneo altro non fanno che compiere attentati contro la dignità umana, perché si calpesta ogni norma etica e morale, mettendo la Chiesa in una nuova situazione. Ma, la Chiesa è anche una terapia che scuoterà l’umanità da questa complicazione: la storia dell’umanità è una storia di salvezza, e la chiesa storica è il Regno dei cieli in costruzione, in divenire.

Partendo dalla sacralità della vita, l’etica, la medicina e tutte le scienze umane possono trovare un punto comune con la teologia. La vita, sotto tutte le sue forme di manifestazione, è sacra ed ogni uomo, anche nelle condizioni in cui il sentimento religioso sia pervertito dal peccato o da false ideologie di emancipazione, percepisce almeno un’”ombra” della sacralità della vita. Ma la terapia al fine di guarire il mondo contemporaneo consta nel ritorno a Dio.
 
La «riscoperta del sacro» che intravvedeva Eliade passa attraverso la Chiesa cristiana e attraverso l’attività missionaria della Chiesa cattolica. La concezione antropologica eladiana e soprattutto il riconoscimento dell’essenza dell’essere umano nell’ «essere» homo religiosus sono piattaforme comuni dell’incontro delle scienze religiose, delle scienze umane in generale, con la filosofia e la teologia. Eliade parlava dell’ideale di un “nuovo umanesimo” che non si può delineare se non scoprendo nuovamente quello che il Cristianesimo trasmette da duemila anni: divenire uomo e vivere in una storia a misura d’uomo è possibile solamente soltanto ritornando a Dio.
 
La riscoperta del sacro conduce alla scoperta della verità, perché Dio occupi di nuovo il luogo in un mondo in cui gli uomini saranno creatori di una vera cultura. La ricerca di un senso, il trovare una risposta dinnanzi al mistero, la possibilità di un’esistenza umana piena e inquadrare il corso della storia nella Storia significa il ritorno a Dio, perché: “si Dieu n’existe pas, tout est cendre” – “se Dio non esistesse, tutto sarebbe cenere”.