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11 Сентября 2012 09:30 | National Theatre

Contributo di Serafim



Serafim


Orthodox Metropolitan Bishop, Romanian Patriarchate

So del Concilio Vaticano II un po’ quello che sanno tutti: è stato per la Chiesa Cattolica un evento profetico, necessario per aprire la Chiesa al mondo con la ridefinizione della Chiesa come comunità locale con a capo un vescovo, con l’adozione delle lingue vernacolari (moderne) nelle liturgie, con la promozione del dialogo  interconfessionale e interreligioso,  con il coinvolgimento della Chiesa nel mondo al servizio dei poveri, della pace e della giustizia sociale... Con un ritorno alle fonti della Tradizione, il Concilio Vaticano II ha posto le condizioni per ripristinare l’unità cristiana. Per la prima volta dopo lo scisma del 1054, un Concilio della Chiesa Cattolica ha invitato, come osservatori, dei rappresentanti di altre Chiese, tra cui la Chiesa Ortodossa a cui essa è teologicamente più vicina. Così l’Istituto ortodosso Saint-Serge di Parigi vi mandò i suoi grandi teologi, come Alexis Kniazeff, Alexandre Schmemann, Paul Evdokimov, Nicolas Afanasieff ; vi partecipò attivamente anche un grande pastore come Mons. Emilianos Timiadis, in quanto rappresentante ortodosso  del Consiglio ecumenico delle Chiese. D’altra parte i Padri Conciliari si sono ispirati alla teologia ortodossa nel loro Decreto sulla Chiesa come « popolo di Dio » o comunione locale formata da laici e preti con a capo il vescovo, successore degli apostoli. Prima di essere universale, in senso geografico, la Chiesa è una realtà locale. Si parte sempre dal locale per arrivare all’universale. Bisogna anche dire che teologicamente, la Chiesa locale è allo stesso tempo universale per il semplice fatto di celebrare l’Eucaristia in cui il Cristo, e con Lui, tutta la Chiesa è presente.  Da questo punto di vista, la Chiesa universale è la comunione delle Chiese locali che confessano la stessa fede e celebrano gli stessi sacramenti. Anche la conciliarità fu valorizzata dal Concilio, seguendo l’esempio della Chiesa Ortodossa. La Chiesa vive della conciliarità,  cioè del dialogo a tutti i livelli: locale, regionale e universale. Se nell’organizzazione della Chiesa primitiva e della Chiesa Ortodossa fino ad oggi la conciliarità funziona a tutti questi livelli, nella Chiesa Cattolica la conciliarità è tuttavia limitata dal primato universale del papa.

Un Concilio della Chiesa è definito dal dialogo tra i partecipanti. Secondo il modello del primo concilio della Chiesa, il cosiddetto « Concilio degli apostoli » (Atti 15), i membri di ogni Concilio sono « in ascolto dello Spirito » che parla attraverso di loro per l’edificazione della Chiesa – popolo di Dio. Essere « in ascolto dello Spirito » vuol dire essere cosciente che lo Spirito Santo è colui che ispira le decisioni, senza annullare tuttavia la libertà delle persone riunite.  In un Concilio, come in ogni dialogo, lo Spirito Santo spesso ispira i partecipanti attraverso lunghe discussioni, anche contraddittorie. L’importante è credere alla presenza e all’azione dello Spirito, riconoscere in tutta umiltà i propri limiti e non imporre ad ogni costo la propria volontà. Perché lo Spirito Santo è una presenza estremamente delicata e molto rispettosa della libertà umana. Si ritira dalla persona orgogliosa che vuole imporre la propria volontà, senza tener conto degli altri. Allora il dialogo fallisce. Conosciamo nella storia della Chiesa anche Concili che sono falliti proprio a causa di un dialogo difettoso.

Senza dubbio, quando gli organizzatori di questa tavola si chiedono se il dialogo ha ancora un futuro, pensano al dialogo tra cristiani e interreligioso o anche sociale e politico. In generale, bisogna dire che il dialogo si colloca al centro della vita che è proprio comunione delle persone  in dialogo. Essendo per sua stessa natura un essere di dialogo, l’uomo si realizza solo attraverso il dialogo con Dio (la preghiera) e con gli altri. La vita è dunque impossibile senza il dialogo a tutti i livelli: personale, familiare, ecclesiale, sociale, politico… Se il mondo soffre tanto è anche a causa della mancanza di dialogo, o di un dialogo pervertito in cui ciascuno vuole imporre la propria volontà agli altri. Invece, in un vero dialogo ognuno ascolta l’altro e si sforza di comprenderlo. Anzi, ognuno ascolta lo Spirito, è attento a ciò che Dio vuole da noi: la pace, l’intesa, l’armonia, l’unità tra gli uomini, valori che rendono l’uomo felice.  In verità non possiamo essere felici senza quelle virtù fondamentali della vita  che sono la pace, l’armonia, l’unità… Spesso questi valori si acquistano solo con la rinuncia alla propria giustizia, ai propri ideali fino alla rinuncia a se stessi. Abbiamo a proposito l’esempio supremo del Cristo che ha dato la sua vita per la salvezza del mondo. E il Cristo comunica anche a noi, attraverso la sua Chiesa, la forza di donarci agli altri.

Oggi, quando i rapporti tra gli uomini si degradano sempre più a tutti i livelli abbiamo bisogno di una vera cultura del dialogo fondata sulla fede. Tuttavia non su una fede tiepida o una fede trasformata in ideologia, che è peggio ancora dell’incredulità, ma su una fede semplice e umile ispirata sempre dalla preghiera e dall’ascesi.
A livello ecclesiale, il dialogo teologico per l’unità dei cristiani, promosso dal Concilio Vaticano II, deve proseguire senza sosta, malgrado tutte le difficoltà. Compiacersi nella divisione o rifiutare il dialogo è un peccato contro lo Spirito Santo, lo Spirito di comunione e di unità. E’ anche un peccato contro lo stesso Cristo che soffre delle nostre divisioni. Non bisogna mai stancarsi di dialogare! Anche se in alcuni momenti il dialogo fallisce. Al contrario, bisogna credere al dialogo e avere sempre un atteggiamento umile perché lo Spirito Santo possa agire nei nostri cuori secondo la propria volontà. « Il vero ecumenismo, dice un autore ortodosso (Vladimir Zielinsky), comincerà il giorno in cui le Chiese verranno agli incontri e colloqui senza le loro vesti fastose e senza pompa, ma invece andranno con le loro piaghe da guarire, con i loro problemi e le loro crisi da risolvere ». Questo atteggiamento di umiltà che ci fa vedere il nostro peccato prima di vedere il peccato dell’altro corrisponde all’imperativo paolino: « Portate i pesi gli uni degli altri, e così adempirete la legge di Cristo » (Galati 6, 2).  Solo l’umiltà del Cristo in noi (cf. Matteo 11, 29) può distruggere i blocchi interiori per andare verso l’altro nella libertà dello Spirito, senza alcun pregiudizio. L’umiltà sola può guarire la memoria del male accumulato attraverso il tempo, sia tra persone che tra Chiese o nazioni. Penso qui soprattutto al contenzioso storico : culturale, politico, sociale o giuridico tra l’Oriente e l’Occidente cristiani, che appesantisce il dialogo teologico per l’unità. Penso anche a quella realtà ancor più triste che fa scivolare la fede verso l’ideologia. E’ una tentazione che non cessa, la quale ci riguarda tutti. Così ciascuno, senza rendersene nemmeno conto, diventa prigioniero della propria tradizione, della propria identità che assolutizza per vedere negli altri solo dei traditori o degli eretici. Lo ripeto: in ogni dialogo, non c’è niente di peggio che trasformare la fede o la religione in ideologia. Allora il dialogo diventa impossibile, perché ogni ideologia è inflessibile e irriducibile.

Per quanto riguarda noi qui, uomini e donne di fede, dobbiamo cercare e perseguire senza sosta il dialogo fin tanto che ci sono problemi nelle nostre famiglie, nelle nostre parrocchie, là dove lavoriamo, nella società... E questo con la convinzione che « siamo in tutto collaboratori di Dio » (I Corinzi 3, 9) e che il dialogo è proprio la forma di collaborazione con Dio per appianare ogni conflitto, ogni malinteso e ristabilire la pace.

E dobbiamo anche sostenere con la nostra preghiera il dialogo dei nostri responsabili religiosi e politici. « La preghiera può tutto, quando è unita al digiuno e alla pazienza » dicono i Padri ascetici, « specialisti » della preghiera. Si tratta certo, di una preghiera umile slegata da ogni interesse e da ogni volontà propria. « Sia fatta la Tua volontà », è la principale di tutte le nostre domande davanti a Dio!  

Come conclusione possiamo fare nostra questa parola di Paolo VI agli osservatori delegati al concilio Vaticano II nel 1963 : « La speranza è la nostra guida, la preghiera la nostra forza, la carità il nostro metodo, al servizio della verità divina che è la nostra fede e la nostra salvezza ».


Metropolita Serafim

Sarajevo, 11 settembre, 2012