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8 Maggio 2017 | FIRENZE, ITALIA

A Firenze per l'anniversario della Comunità il card. Betori richiama il legame tra Vangelo e gioia nell'esperienza di Sant'Egidio

 
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''Andare oltre ogni frontiera, abbattere ogni esclusione, perché non esistono persone escluse dall'incontro con la fede'', quest'obiettivo è nell'identità stessa della Comunità di Sant'Egidio, ha detto il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, celebrando giovedì 4 maggio una liturgia per il 49° anniversario della Comunità di Sant’Egidio nella chiesa di Santa Maria Maddalena dei Pazzi, in Borgo Pinti, alla presenza di molti amici della Comunità, della Chiesa Greco-Ortodossa e Luterana, dei rappresentanti delle comunità ebraica e musulmana di Firenze.

Omelia del Card. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze
per il 49° anniversario della Comunità di Sant'Egidio

Atti 8, 26-40
Salmo 65
Gv 6, 44-51

Il racconto degli Atti degli Apostoli, sull'annuncio del Vangelo a questo etiope che se ne va da Gerusalemme verso il suo Paese, rappresenta una delle narrazioni più vive di quello che fu l'atteggiamento dei primi annunciatori di Cristo nella prima generazione cristiana.
Uno degli aspetti che colpisce è che essi non ci vengono presentati come persone di iniziativa – a volte noi ci lamentiamo di non avere l'iniziativa giusta o il metodo giusto per fare le cose – perché è tutto sotto la guida dello Spirito. “L'angelo dice... lo Spirito dice...” e così via... Fino al momento del distacco tutta l'azione di Filippo è sotto la guida dello Spirito. Lo Spirito porta verso quest'uomo, rappresentante di un popolo lontano, il popolo dell'Etiopia – sarebbe l'odierno Sudan, non è l'Etiopia di oggi – quindi popolo, etnia, mondo culturale lontanissimo, per di più un eunuco – di un ceto sociale elevato, visto che è l'amministratore del tesoro dell'impero anche se, essendo eunuco, è considerato un uomo incompleto, a cui non è consentito entrare nel Tempio: un escluso diremmo noi oggi.
Lo Spirito invita Filippo a superare ogni esclusione, ad accostarci a quest'uomo “impuro” ed abbattere ogni separazione. Questo mi sembra già il primo messaggio che dobbiamo cogliere nella Parola di Dio. Lo Spirito ci invita oltre ogni frontiera: frontiere umane non esistono per l'incontro di Dio con l'uomo; non esistono persone, categorie, situazioni umane, che si negano dall'incontro con la fede. Abbattere ogni esclusione, quindi, rappresenta un primo obiettivo che la Parola di Dio oggi ci propone, un obiettivo peraltro – occorre riconoscerlo – che è nell'identità stessa di questa Comunità di Sant'Egidio che oggi festeggiamo nel suo anniversario. Quest'apertura a tutti, ai poveri, nonché alle persone di cultura, di religione  diverse... Non c'è frontiera che non debba essere superata nell'esperienza della Comunità proprio in aderenza a questa spinta che lo Spirito dà verso ogni condizione umana.
 
Quest'uomo è colto -  sta leggendo, quindi sta cercando. Attraverso le letture egli cerca un significato, un senso, un messaggio per la propria vita. Prescindiamo adesso da quali letture egli stia facendo e soffermiamoci semplicemente sul fatto che questo è un uomo che cerca e questa è la condizione dell'uomo in quanto tale, di essere un cercatore di senso. Questo è un uomo che sta coltivando la condizione umana che è appunto condizione di ricerca. Altri uomini questo lo fanno assai di meno. C'è allora bisogno di risvegliare questa spinta verso una ricerca del senso della vita che pur urge dentro il cuore e l'esigenza della nostra umanità.
Cercatori di senso: questi sono gli uomini, le donne di sempre: dobbiamo aiutare gli uomini e le donne ad essere concretamente cercatori di senso nella loro esistenza.
 
Questo senso l'eunuco etiope lo sta ricercando nella lettura della Parola di Dio, in un testo del profeta Isaia. La Parola di Dio è un luogo privilegiato della ricerca del senso della vita, delle risposte che dobbiamo attenderci su come orientare la nostra esistenza. Lì Dio ha parlato agli uomini e lì dobbiamo quindi ricercare anzitutto questa risposta alla ricerca, agli interrogativi che sono nel nostro cuore. E anche su questo fronte, nel confronto con la Parola di Dio, mi piace sottolineare una vocazione specifica dell'esperienza della Comunità di Sant'Egidio come un'esperienza esemplare che ha aiutato la diffusione della Parola di Dio all'interno della comunità cristiana tutta.
 
E' una Parola, concretamente, quella che viene letta dall'Etiope, che presenta un testo dei Canti del servo del profeta Isaia che esalta questa figura misteriosa che attraverso la sofferenza trova redenzione per sé e per il popolo. Filippo aiuta l'eunuco a vedere in Gesù il compimento di quella Parola. Mi piace qui sottolineare ciò che quella Parola vuol essere: anche se nella sua pienezza per noi cristiani trova spiegazione soltanto nella vicenda umana e storica di Gesù di Nazareth, non cessa però di essere una Parola detta anzitutto al popolo di Israele che è questa pecora spesso condotta al macello, tante volte  umiliata, a cui il giudizio è negato, che nella sofferenza trova la strada della propria vocazione come  popolo. Ma riguarda anche ogni uomo di qualsiasi esperienza religiosa, di qualsiasi esperienza umana. Ogni uomo nella sofferenza è rappresentato da questo servo che viene condotto al macello senza aprire la sua bocca.
 
Quanti sofferenti ci sono oggi nel mondo a causa di guerre, a causa di persecuzioni, a causa della fame, condividono questa condizione del servo! Sì, ripeto, noi credenti in Cristo vediamo la pienezza di questa figura in Gesù, ma non dimentichiamo il popolo da cui Gesù viene, né i popoli che oggi con Gesù condividono questa condizione di sofferenza e di umiliazione.
L'esegesi che Filippo fa del testo del profeta Isaia, porta l'eunuco a una decisione: quella di aderire completamente a Gesù. E quindi chiede il battesimo:  “Qui c'è dell'acqua, che cosa impedisce che io sia battezzato?”. Nella esperienza cristiana l'incontro con Gesù è anche un incontro concreto col rito sacramentale, con i segni del legame vitale con Gesù ci egli ha lasciato: il segno del battesimo, di cui ci parla appunto qui il testo degli Atti, e poi – ascolteremo nel Vangelo – il segno della Eucarestia.
 
Prima di passare però alla Parola del Vangelo mi piace ancora sottolineare come in alcuni elementi di questo racconto dell'incontro con l'etiope - la Parola, Filippo che gliela spiega, Gesù che Filippo annuncia, il battesimo con cui l'etiope si lega alla vita di Cristo – ci sia l'esperienza della gioia: “E pieno di gioia proseguiva la sua strada”.  Questo legame strettissimo tra il Vangelo e la gioia che così fortemente Papa Francesco ci ripropone, appartiene alle esperienze più autentiche di annuncio che la Chiesa dei primi tempi ci propone come esemplari.
 
L'incontro con Gesù di questo etiope è sotto la guida dello Spirito che illumina Filippo all'incontro con Lui.
Gesù nel Vangelo di Giovanni ci ha detto però che lo stesso intero cammino di fede è un dono del  Padre. Arriviamo a riconoscere  Dio solo perché attirati da Dio. Sì, c'è una ricerca, come abbiamo visto, nel cuore dell'uomo, ma prima ancora della ricerca dell'uomo c'è Dio che ci cerca. Non siamo noi per primi a cercare Dio, ma è Dio che cerca noi, che ci attira a sé.  Siamo stati tutti attirati dal Padre, dice Gesù.
 
Chi ascolta il Padre – dice Gesù - “viene a me perché solo in me il Padre rivela pienamente il suo volto”.
La persona di Gesù, la sua esistenza, sono la pienezza della rivelazione di Dio. In che senso? Nel senso che nella vita di Gesù si rivela quella natura di Dio che è l'amore come dono, che appunto Gesù sperimenta e propone a noi nella sua vita. Accogliendo infatti Gesù che si dona, noi scopriamo Dio come dono e noi stessi condividiamo la vita di Gesù e la vita di Dio.
Il dono di Gesù  - ci dice Egli – è il dono della sua carne e del suo sangue, cioè la sua croce, la croce attraverso la quale Egli ci rende partecipi della sua esperienza umana; quella croce che si rinnova per noi nella realtà dell'Eucarestia, per cui cibandoci della carne di Cristo noi ci assimiliamo a lui per farci anche noi dono ai fratelli. Entriamo nella vita di Dio in quanto noi diventiamo capaci di dono agli altri.
 
L'esistenza donata è un'esistenza divinizzata, è una manifestazione del divino attraverso l'esperienza dell'amore come dono.  E anche qui mi piace sottolineare l'esperienza della Comunità di Sant'Egidio nella sua attenzione soprattutto verso gli emarginati  e i poveri verso i quali esprimere un servizio che non è solo un dono di cose, ma dono da persona a persona, incontro comunitario che accoglie tutti come fratelli.