Un pomeriggio di canti, di balli e soprattutto amicizia. Così è trascorso il ferragosto per un gruppo di giovani africani, composto da trenta nigeriani e ghanesi, provenienti da Lampedusa e ora ospitati in un ex-ospedale in una località dell’appennino ligure, in provincia di Genova.
Sono arrivati in Italia nel mese di luglio dopo una durissima traversata nel canale di Sicilia, durata per alcuni anche quattro giorni a causa delle avverse condizioni del mare.
I racconti che molti hanno fatto dopo la festa parlano di fughe da scontri tribali, di viaggi interminabili e rischiosi: dalla Nigeria e dal Ghana verso nord, attraversando con i pick-up il deserto – ma qualcuno ha fatto anche lunghi tratti a piedi -, spesso in balia di sfruttatori senza scrupolo, per raggiungere la Libia dove tutti sono rimasti per più di un anno prima di partire per l’Italia.
l periodo trascorso nelle periferie libiche è stato segnato da episodi di violenza e soprusi, da lavori spesso precari, mal pagati e duri, per poter sopravvivere e guadagnare il necessario a compiere l’ultima parte del viaggio. E poi la guerra, che si è aggiunta negli ultimi tempi con il suo carico di incertezza e violenza diffusa e che ha reso ancora più difficili le condizioni di chi, nelle oscure periferie delle città libiche, era già vessato e sfruttato.
Ora finalmente hanno raggiunto un luogo accogliente e tranquillo. Il sogno di tutti è quello di trovare un lavoro e una nuova condizione di vita che consenta anche di aiutare le famiglie rimaste in Africa. Nessuno di loro ha familiari in Europa e nemmeno una meta precisa, una città o un Paese che ha progettato di raggiungere. Il futuro, per il momento, è rappresentato dall’accoglienza dell’Italia e nutrito dalle aspettative di poter trovare aiuto, documenti e una sistemazione sicura.
Alla fine della festa tutti hanno ringraziato con parole calorose: «Vi ringraziamo per queste ore passate con noi, per la vostra amicizia – ha detto in inglese Richard – Dio benedica la vostra vita in ogni momento della giornata. Noi contiamo sul vostro Paese per poter risolvere i nostri problemi, per trovare una sistemazione, un lavoro, per ricominciare la vita».
Il gruppo è composto in maggioranza da cristiani e da una decina di musulmani. La richiesta più pressante è stata quella di ricevere una Bibbia in inglese o il Corano. Tutti, poi, hanno chiesto di incontrare un ministro del culto, di celebrare una messa o concludere una giornata di Ramadan con la preghiera comune, per ringraziare Dio di avere salva la vita e pregare perché si realizzi il sogno di un futuro migliore.
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