Rettore Seminario Rabbinico Marshall T.Meyer, Argentina
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Devo affrontare il tema a partire dalle fonti considerate sacre dalle religioni abramitiche completando successivamente la visione a partire dalle fonti rabbiniche. La Bibbia Ebraica è considerata testo sacro e fondamentale da ebrei, cristiani e musulmani. La sua lettura pura e semplice ci permetterà di addentrarci nell’etica da essa proposta.
Dalla narrazione della creazione del cosmo e di tutto ciò che abita in esso da parte di Dio, così com’è descritta nei primi capitoli della Genesi, risulta che tutti gli esseri umani sono discendenti di un unico uomo primigenio. Non c’è spazio per una concezione di superiorità razziale né di nessun’altra indole in questo racconto costitutivo della Weltanschaung (visione, concezione del mondo n.d.t.) biblica.
Il versetto 2,7 della Genesi racconta sobriamente la creazione dell’uomo dicendo: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita (nishmat hayim) e l’uomo divenne un essere vivente (nefesh hayiah)”
La caratteristica di possedere “un alito di vita nelle narici” non definisce una qualità esclusiva dell’essere umano, ma l’attività cardio-respiratoria degli esseri viventi del regno animale che possiedono polmoni. Neshamah ha la stessa radice di linshom, che indica l’azione di respirare. E in tale modo questa espressione è usata per designare l’uomo insieme alle bestie e agli animali in Genesi 7,22.
L’espressione nefesh hayiah, nella Genesi si applica anche agli altri esseri viventi , da cui si deduce che l’essere umano condivide la sua condizione di specie all’interno della classificazione del regno animale. Tuttavia, il versetto citato afferma che, a differenza delle altre specie, è stato Dio stesso a soffiare l’alito di vita nell’uomo. Allo stesso modo, nella descrizione della creazione in Genesi 1,26 troviamo che, a differenza degli altri elementi del Cosmo creati da Dio mediante un imperativo verbale, l’essere umano fu creato mediante un’azione diretta del Creatore. “Facciamo l’uomo”, recita il versetto. Da ciò si deduce che l’uomo è una creatura speciale nell’Universo. Dato l’intervento così intimo di Dio stesso nella creazione dell’uomo e il fatto che l’abbia creato a Sua immagine e somiglianza (1,26-27) è possibile interpretare che un alito del Divino si trova nell’umano, in ogni umano. E’ per questo che Dio si dirige in dialogo solo all’uomo (1,28).
D’altra parte, appare chiaro che l’essere umano è possessore del libero arbitrio. Dio gli ordina di non mangiare dall’albero della conoscenza del bene e del male (2,17). Tuttavia trasgredisce, cosa che dimostra la sua capacità decisionale di accettare o rifiutare persino i decreti divini.
Resta pertanto nelle mani dell’uomo la decisione sulle proprie azioni di vita.
Il libro del Deuteronomio –il quinto dei primi cinque della Bibbia che compongono la Torah, il Pentateuco, considerata la parola rivelata da Dio – descrive l’insegnamento di Mosè prima della sua morte. Al termine della grande lezione che ha dato il più grande tra i Profeti, in nome di Dio, troviamo uno dei versetti più drammatici di tutta la Bibbia. Leggiamo in 30,19: “Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza”. E’ l’esclamazione di chi è stato vicino a Dio, affinché i suoi discepoli, il suo popolo, ricordino di scegliere per sempre il sentiero della vita, perché in esso si trova la benedizione. Il sentiero della vita, esplicitano i versetti del paragrafo citato, significa: “Amare il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità . . . ”(20). Aderire a Lui, si deve intendere come l’attitudine a scegliere la giustizia, l’equità, la misericordia e la pietà come valori che ispirano le azioni della vita. L’amore per Dio a cui fa riferimento il versetto si deve intendere, attraverso il confronto con altri versetti della Torah come lo sviluppo della capacità affettiva verso sé stessi, verso il prossimo e, solo allora, verso Dio.
La vita stessa insegna all’uomo che ciascuno dei momenti che formano l’esistenza dell’individuo richiede una scelta. I fattori determinanti di tali scelte sono materia di studio e di analisi da secoli. Forse, in ultima istanza, questo tema dà forma all’indagare perenne dell’essere umano pensante insieme alla ricerca del senso della vita.
Il racconto della Genesi insegna, attraverso il racconto della trasgressione dell’uomo primigenio e della sua donna nell’Eden, come questi giunga a scegliere di ribellarsi contro il comando del suo Creatore. Appare nel racconto un fattore che separa l’uomo da Dio, che lo incita a trasgredire l’unica proibizione, restrizione, che Dio ha imposto all’uomo dopo avergli conferito la signoria su tutto il creato (1,28), quel serpente primigenio, e l’argomento basilare per incitare l’uomo primigenio e la sua donna fu: “sareste come Dio, conoscendo il bene e il male” (3,5).
Gli esegeti, fin dall’antichità, cercarono di decifrare i misteri che si celano nel capitolo 3 della Genesi. Chi fu o che cosa rappresenta il serpente? Cosa imparò l’uomo assaggiando il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male? La semplice lettura del testo permette la seguente approssimazione esegetica: l’inquadratura del racconto ha a che fare con l’impulso sessuale. Inizia riferendoci che Adamo ed Eva erano nudi e non provavano vergogna (2,25), e conobbero di essere nudi solo dopo aver assaggiato il frutto proibito e si coprirono (3,7). Risulta interessante far notare che per definire l’astuzia del serpente (3,1), con la quale sedusse Eva affinché trasgredisse, la Bibbia utilizza un aggettivo (‘arum) che è omonimo dell’aggettivo utilizzato per descrivere la nudità.
Il risultato di aver mangiato il frutto che conferiva la conoscenza del bene e del male sembra, da una semplice lettura del racconto, non aver provocato alcun cambiamento nocivo nell’uomo e nella donna. Si deve dire il contrario: presero coscienza della loro nudità, per cui raccolsero foglie da un fico, le intrecciarono e si coprirono con esse. Espellendoli dall’Eden, fu Dio stesso che fece tuniche perché potessero coprirsi e li vestì con esse (3,21). Il testo suggerirebbe che l’ira di Dio sia stata provocata dall’aver mangiato il frutto, dal non aver osservato il suo comando e che il frutto in sé non fosse nocivo né causasse qualcosa di speciale o singolare nell’essere umano. Il risultato dannoso dell’azione fu che l’essere umano si nascose dal suo Creatore. Sembrerebbe che l’unica funzione dell’albero che generava il frutto proibito fosse meramente ricordare all’uomo che c’è qualcun altro al di sopra di lui e insieme a lui nella vita.
Al di là del caleidoscopio di immagini che si genera nella nostra mente quando si tratta di dar forma a un’esegesi coerente che spieghi i molteplici aspetti del racconto, appare chiaro che oltre alla trasgressione del decreto divino, la nudità che ha scoperto l’uomo, per la quale si è nascosto al suo Creatore, e la scena finale del dramma in cui Dio stesso prepara abiti all’uomo perché si copra, definiscono con chiarezza un’idea. La nudità, credo, che si debba comprendere nel senso della libido freudiana, e gli abiti fatti dall’uomo e poi da Dio, debbono essere visti come la capacità di sublimare le pulsioni che possiede l’essere umano e le norme rivelate da Dio a questi per raggiungere le sue massime dimensioni spirituali .
Risulta interessante sottolineare il fatto che solo in due occasioni Dio sollecita il popolo di Israele ad acquisire una dimensione di santità: quando enuncia le leggi sugli alimenti proibiti e sulla condotta sessuale proibita . La santità è una delle qualità di Dio e si definisce con lo stesso termine l’elevazione spirituale dell’uomo, come dice il versetto: “Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo.” . Il dominio dell’uomo sulle sue pulsioni e sui suoi istinti, a cominciare dai più primari, quello dell’ingestione e quello sessuale, è ciò che gli permette di elevarsi al di sopra della sua condizione animale e manifestare l’alito divino che giace in lui e nella sua condizione umana.
Nel capitolo 15 del libro dei Numeri (32-41) si trova la prescrizione di Dio al popolo di Israele di mettere delle frange speciali circondate da un filo di color “tkhelet” alle estremità delle loro vesti, affinché, avendole permanentemente davanti alla loro vista non vadano vagando dietro il proprio cuore e i propri occhi, seguendo i quali l’uomo si prostituisce. Tali frange li indurranno a ricordare i comandi che Dio ha ordinato loro e allora, conclude il versetto, saranno consacrati davanti a Dio. La forza spirituale avrà dominato l’istinto e sublimato le sue pulsioni distruttive.
Questa è la proposta di vita di Dio al popolo di Israele, che secondo l’interpretazione dei saggi del Talmud si riassume in 613 precetti. Tali saggi enumerano inoltre un numero minore di norme che devono essere rispettate da ogni individuo nella sua condizione di essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, le sette leggi di Noè .
Quando l’uomo comprende che raggiungerà la sua grandezza solo mettendo un limite alle proprie pulsioni, scopre il limite massimo alle proprie ambizioni: non occuperà mai il posto di Dio; non sarà mai come Dio, così come gli propone il serpente, in cui più di un esegeta vede il simbolo della pulsione del male, di Satana .
Se questa è la proposta biblica per l’uomo, come mai nel nome del Dio biblico sono state commesse nel passato e si continuano a commettere nel presente tante azioni che distano in maniera abissale da essa? Che spiegazione è possibile trovare nelle stesse Scritture sul fenomeno della religione che si professa mediante atti di violenza?
La lettura attenta della Bibbia rivela che ciò che più risveglia l’ira di Dio non è la mancanza di fede in lui ma la distorsione della sua immagine. Il peccato più grande che commise Israele nel deserto non fu la mancanza di fede, che si manifestò in molteplici forme, ma il vitello d’oro che adorarono.
Il versetto da cui si deduce il precetto di credere in un solo Dio è il primo dei comandamenti (Esodo 20,2-3) , quello di non credere negli idoli è il secondo (Esodo 20,3-4) . L’uno è indissolubilmente legato all’altro, poiché può raggiungere la fede nel Dio biblico solo colui che è riuscito a espellere ogni idolatria dalla sua mente e dal suo cuore.
La fede distorta del pagano si basa sul fatto che costui adduce di possedere una conoscenza speciale del divino. Il divino è accessibile alle sue mani e al suo intelletto. Sente che qualcosa di Dio si trova soggiogato alla sua volontà. In Isaia 55,8 leggiamo che il profeta dice in nome di Dio: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie”. Gli amici di Giobbe, che pretesero di giustificare le sue sofferenze dicendo che con esse espiava le sue colpe e i suoi errori, come se fossero stati alla presenza di Dio mentre emetteva il suo verdetto, sono peccatori agli occhi del Signore per tale atteggiamento e Giobbe deve sacrificare offerte di espiazione per espiare il loro errore (42:7-8). L’unica cosa che ci è stata rivelata è che si onora Dio mediante la rettitudine e la giustizia che professiamo e la verità e la pietà che proferiamo, come leggiamo nel libro dei Salmi: “Giustizia e diritto sono la base del tuo trono, amore e fedeltà precedono il tuo volto”
Credere di conoscere la volontà di Dio senza esitare è un errore e perfino un profeta sincero come Anania, figlio di Azzur sbagliò in questo davanti a Geremia (capitolo 28). Geremia dubitò della propria profezia davanti ad Anania, dovette tornare a dialogare con Dio, forse Lui cambiò opinione. Anania provocò l’ira di Dio con il suo atteggiamento.
Tutte le manifestazioni violente incitate da leader religiosi o da partiti politici basati su una ideologia considerata come verità unica e assoluta, sono espressioni del più abietto paganesimo. Hannah Arendt, analizzando i rituali del nazismo e dello stalinismo, li definisce idolatrici. Dissente con coloro che vedono in essi tendenze pseudoreligiose o pseudo eretiche, ma tutti concordano sul paganesimo di quei rituali che tanto aiutano l’espansione di regimi totalitari nefasti, e hanno molto in comune con le religioni pure che si sono paganizzate
Nella visione dei saggi del Talmud la parola di Dio nella Torah contiene molteplici accezioni e forme interpretative , è necessario un dialogo costante per trovare la visione comune che si definisce democraticamente.
In tal senso leggiamo in B. Bava Metzi’a 59, a, b:
“Si è insegnato nella Mishnah (Kelim 2:6; ’Eduiot 7:7) che un forno di anelli separabili (n. d. A.: di argilla) tra i quali è stata collocata sabbia non è suscettibile di essere reso impuro secondo il criterio del Rabbi Eliezer (n. d. A.: tanita della seconda generazione, seconda metà del secolo I e.c. – prima del secolo II) mentre gli altri saggi pensano il contrario…
Si è insegnato: in quel giorni (n.d.A.: in cui si discusse l’argomento) il Rabbi Eli’ezer presentò tutti gli argomenti possibili (n.d. A.: per sostenere la sua tesi) ma non furono accettati. Disse loro: se la legge è come dico io che questo carrubo lo provi. Il carrubo si allontanò cento cubiti dal suo posto… Gli risposero: non si può presentare il carrubo come prova. Tornò per dire loro: se la legge è come dico io che il corso dell’acqua lo provi. L’acqua iniziò a retrocedere. Gli dissero: il corso dell’acqua non si può presentare come prova. Insistette dicendo: se la giurisprudenza è come dico io che le mura di questa casa di studio lo provino, iniziarono le mura ad inclinarsi come per cadere. Li riprese il Rabbi Yehoshu’a (n. d. A.: contemporaneo del Rabbi Eli’ezer) dicendo: perché vi intromettete nelle discussioni dei saggi! Non caddero onorando il Rabbi Yehoshu’a né si raddrizzarono onorando il Rabbi Eli’ezer, e ancora sono inclinate.
Tornò (il Rabi Eli’ezer) dicendo: se la legge è come dico io che il cielo lo provi! Si udì un eco celestiale dicendo: perché discutete con il Rabbi Eli’ezer se la legge è in tutti i casi come dice lui? Si alzò il Rabbi Yehoshu’a ed esclamò: “non è nel cielo” (Deuteronomio 30,12).
Che ha voluto dire citando il versetto: “non è nel cielo”? Disse il Rabbi Irmiha: Ciò che ha voluto dire è che già è stata consegnata la Torà nel monte Sinai (n. d. A.: cioè che non si troverà più nel cielo), per cui non si deve prestare attenzione a nessun eco celestiale, come ha già scritto Dio nella Torà che ci ha rivelato sul monte Sinai: “non seguirai la maggioranza”(Esodo 23,2).
Il Rabbi Natan incontrò Elia (n. d. A.: il profeta che non morì, ma salì in cielo su un carro, come racconta il Libro dei Re, e che era solito apparire ai saggi, secondo la tradizione talmudica). Gli chiese: che fece in quell’ora il Santo sia benedetto? Rispose il profeta, sorrise e disse: “I miei figli mi hanno vinto, i miei figli mi hanno vinto”.
Questo è uno dei passaggi talmudici più significativi e rilevanti sulla visione ebraica della dinamica del dialogo tra gli uomini e con Dio stesso, che sa accomunare tutti gli individui e avvicinarli al loro Creatore.
Coloro che si mettono al di sopra di ogni dialogo e atteggiamento di umiltà, che considerano che la verità assoluta si trova nella loro conoscenza e nel loro essere, trasformano Dio in una divinità e i sacerdoti di tale fede nei depositari reali delle decisioni sulla vita.
Nella sua meditazione sulla Shoah a Yad VaShem, Francesco, ha chiamato alla riflessione sull’atteggiamento di coloro che sentono di avere il potere di decidere sulla vita e sul destino degli altri. Ha affrontato, in quel luogo così speciale di Gerusalemme, l’essenza che trasforma l’uomo in mostro e svuota la religione della vita di tutte le sue conoscenze, trasformandola in elemento di morte e devastazione.
La drammatica situazione attuale reclama un lavoro comune di tutti coloro che, al di là della loro fede e visione dell’esistenza, hanno la giustizia, l’amore e la misericordia come valori irrinunciabili e irriducibili con i quali, capiscono e lottano per costruire ed erigere la vita. E’ il denominatore comune di tutte le fedi che possiedono le loro radici nella purezza dell’umano. Coloro che propalano l’odio, il crimine e la distruzione si radicano nelle passioni abiette che, più che religioni dell’odio, altro non sono che mere manifestazioni della miseria umana.
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