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22 Novembre 2016

Sant'Egidio. «Quella in Centrafrica non è una guerra di religione»

Il cardinale Nzapalainga: la Piattaforma di Bangui una vera «forza di pace» dei leader religiosi. Oggi l'appello alla Moschea di Roma

 
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Leader religiosi in campo per fermare la guerra civile nella Repubblica Centrafricana. Il neocardinale Dieudonné Nzapalainga, assieme a rappresentanti locali delle comunità evangelica e musulmana, lancerà oggi un appello per la pace dalla Moschea di Roma.
«Il conflitto nel nostro Paese non è una guerra di religione», affermano insieme. «Fazioni politiche e manipolatori hanno strumentalizzato le confessioni». L'annuncio arriva dai protagonisti della Piattaforma interreligiosa per la riconciliazione nazionale, ospitati dalla Comunità di 
Sant'Egidio che in questi anni si è adoperata per trovare una soluzione alla crisi politico-militare. Sabato l'arcivescovo di Bangui - dove il Papa il 29 novembre 2015 aprì la prima Porta Santa del Giubileo - è stato accompagnato a Roma per il Concistoro, in cui è stato elevato alla porpora cardinalizia, da esponenti protestanti e islamici. Un fatto che non sembra avere precedenti. E oggi il cardinale Nzapalainga ricambierà la cortesia recandosi alla Moschea di Roma. Ad accoglierlo ci sarà il direttore del Centro islamico Abdellah Redouane. Prima di entrare in moschea il cardinale si raccoglierà in preghiera.
Il conflitto nel Paese è tra la fazione Sèlèka, principalmente composta da musulmani, e anti-Balaka, composta da cristiani. Ma la religione è - come spesso accade - solo un pretesto, sottolineano i protagonisti del dialogo. Tanto che lo stesso imam Kobine Layama, minacciato dai guerriglieri islamici per le sue posizioni pacifiste, ha vissuto per un periodo a casa dell'arcivescovo di Bangui.

Lo stesso locale che ha visto la firma nel 1992 degli accordi di pace in Mozambico e di molti altri incontri di mediazione in conflitti africani. Col cardinale Nzapalainga c'è l'imam Kobine e il pastore protestante Philippe Sing-Na. Il cardinale ringrazia Sant'Egidio per «aver favorito il processo di riconciliazione nazionale e aver mostrato la forza di pace dei leader religiosi». E ammonisce: «Se cominciamo a vedere ciò che ci divide, non andremo da nessuna parte».
La Piattaforma interreligiosa sostiene l'efficacia di un metodo che ha aperto una speranza per il Paese e soprattutto «ha sottratto tanti giovani alla propaganda manipolatrice dello scontro. I dialoghi della Piattaforma - afferma - hanno creato un'unione sacra: cattolici, musulmani e protestanti, insieme per il ritorno della pace». Come "armi", «la preghiera e il dialogo», per liberare le religioni dalla «violenza che le sfigura». In questo senso, dice il cardinale, «la crisi è stata un'opportunità per svelare il volto autentico della religione e ci ha spinto a una conversione alle ragioni della pace». «Ma il nostro - ripete l'arcivescovo di Bangui - non è uno scontro interreligioso». Per arrivare alla pace la nostra forza è la parola, noi siamo la religione della parola e non delle armi e dobbiamo usarla per responsabilizzare le coscienze e creare quel clima di fiducia che solo può far deporre le armi ai gruppi armati in lotta».
«Il nostro impegno per la Repubblica Centrafricana - spiega Mauro Garofalo, responsabile Esteri della Comunità - continuerà sia nel dialogo, sia con iniziative umanitarie per favorire lo sviluppo del Paese. La pace è giovane in Centrafrica, che è anche un Paese di giovani. Per questo c'è bisogno di una vera e propria educazione alla pace. Il messaggio di cristiani e musulmani è una narrativa del bene che va oltre il Centrafrica. Un modello di dialogo da incoraggiare e replicare».




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