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26 Enero 2015

Il vescovo di Damasco

"La comunità internazionale protegga i cristiani in Siria"

 
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«Il mondo non ha fatto niente per fermare il nostro genocidio del 1915 e anche ora rimane in silenzio su ciò che sta avvenendo in Siria». A parlare è il vescovo Armash Nalbandian, Primate armeno ortodosso di Damasco, invitato il 22 gennaio a Genova dalla Comunità di Sant’Egidio in occasione della Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani.
È il rappresentante della più antica chiesa nazionale della cristianità; tre i momenti della sua visita: la conferenza sui cent’anni dal Medz Yeghern (il “Grande Crimine”), la preghiera serale di Sant’Egidio nella Basilica dell’Annunziata e la visita alla chiesa di San Bartolomeo degli Armeni, dove ha pregato di fronte alla veneratissima icona del Santo Volto e ha incontrato i discendenti della diaspora. Il genocidio, i quattro anni della guerra in Siria e la convivenza con l’Islam sono i temi della giornata ligure del vescovo. C’è un punto a cui tiene particolarmente: i cristiani in Siria, oggi l’8% della popolazione, non sono ospiti, ma parte integrante della società. «La comunità di Damasco – ci dice – è una delle prime create dopo la Resurrezione di Cristo. Ora, di fronte al terrorismo islamista, stiamo attraversando un momento particolarmente critico. Quale il futuro per la nostra presenza? La tolleranza non è abbastanza, la vendetta non è giusta e neanche rinchiudersi in un ghetto è la soluzione. Dobbiamo prendere consapevolezza del ruolo che abbiamo avuto e che possiamo ancora avere nella convivenza con l’islam. La nostra presenza è profetica e va mantenuta, ne sentiamo la vocazione».
In Medio Oriente, cristiani e islamici vivono insieme da 1400 anni. «I cristiani – spiega il vescovo – salutarono la conquista musulmana della Penisola araba come una liberazione dai bizantini. Durante i califfi omayyadi e abbasidi, i cristiani avevano posizioni di rilievo, erano conosciuti come alti intellettuali e pionieri nella scienza e nella letteratura; l’islam fu arricchito dal confronto con questa diversità culturale. Anche nel Novecento, si trovano cristiani siriani inseriti a pieno titolo nella società, per esempio tra i fondatori dei partiti politici Syrian Social Nationalist Party e Baath».
Questa piena appartenenza alla società siriana si è intrecciata nel corso dei secoli con persecuzioni su base religiosa: «Accadde con l’invasione dei Mongoli e in alcune fasi del dominio ottomano, quando si era obbligati a convertirsi o a pagare una tassa ingente per continuare a professare la fede in Cristo». L’apice si toccò durante la Prima guerra mondiale, con il genocidio: «Il 1915 – racconta Nalbandian – è stato l’anno più atroce, ma i massacri erano già iniziati nel 1894; un milione e mezzo di armeni e cinquecentomila siriaci furono uccisi innocentemente solo perché cristiani. Con l’Impero ottomano in crisi, fummo ingiustamente accusati di essere traditori e il nostro assassinio fu legalizzato. Nell’attuale Siria e Turchia meridionale, divennero comuni saccheggi e stupri, monasteri confiscati e conversioni forzate, espulsioni e deportazioni nel deserto, torture e crocifissioni, cadaveri lasciati per giorni sulla strada o buttati nei fiumi». Il tutto avveniva nella consapevolezza delle altre potenze: «Non è un segreto che il piano previsto consiste nel distruggere la razza armena in quanto razza», disse nel luglio 1915 il console americano in Turchia Davis. E l’indifferenza che seguì permise a Hitler, quando pianificava lo sterminio degli ebrei, di dire: «Chi mai si ricorda degli armeni?». 
Quest’anno si ricordano i cent’anni: «Il genocidio è centrale nella nostra fede: la Croce armena è sempre senza il corpo di Gesù, ad indicare che i cristiani sono figli della Crocifissione e Resurrezione. Per la nostra Chiesa – continua Nalbandian – l’intero anno sarà dedicato alla commemorazione; con la liturgia del 23 aprile, canonizzeremo i morti come Santi della patria e della pace, mentre il 24 aprile sarà proclamata Giornata dei Santi Martiri». Il 12 aprile, anche papa Francesco celebrerà una Messa nella Basilica di San Pietro per ricordare le vittime. Senza spirito di vendetta ma piuttosto di giustizia, l’impegno della Chiesa armena è anche per il riconoscimento del genocidio, ancora negato dalla Turchia: «Nel mondo, solo 23 Stati lo hanno riconosciuto appieno; in Europa solo la Francia, la Grecia e il Vaticano, non l’Italia».
L’esodo dei cristiani da Siria e Iraq attualmente in corso è il più consistente dagli anni del Medz Yeghern, è difficile non cedere al pessimismo: «La crisi che stiamo vivendo – dice il vescovo – è opera di gruppi islamisti radicali che non hanno niente a che fare con l’islam con cui abbiamo convissuto pacificamente per anni. Nella nostra esperienza, l’islam, come il cristianesimo, testimonia un Dio misericordioso, che porta un messaggio di amore, pace e solidarietà. Oggi l’Isis sta abusando del suo nome, sostenendo che la morte degli infedeli è voluta da Dio; noi desideriamo convivere con i milioni di musulmani che vogliono la pace».
Tra i tanti morti, Nalbandian ha in mente i bambini delle scuole armene uccisi dalle bombe: «All’inizio delle Primavere arabe, anche noi cristiani eravamo molto felici perché con le proteste ci aspettavamo democratizzazione e riforme. Poi le cose cambiarono, con forze esterne che hanno iniziato a supportare i gruppi più radicali». Oggi, al quarto anno di guerra, i cristiani soffrono insieme a tutti i siriani: «Ottantacinque chiese e 1800 moschee distrutte, oltre 8 milioni di siriani sono rifugiati all’interno o all’esterno del paese, tra il 30 e il 40% dei cristiani ha perso la casa». 
Secondo il vescovo, «i cristiani hanno bisogno di protezione internazionale; l’Europa dovrebbe sostenere le opposizioni che vogliono la democratizzazione, senza armare nessuno, né finanziare gruppi militari». E infine, lancia un appello: «Per favore, pregate per noi e per la pace; noi cristiani crediamo alla forza della preghiera. È per noi di grande supporto spirituale sapere che tutti i giorni, nella preghiera serale, la Comunità di Sant’Egidio prega per la liberazione dei due vescovi di Aleppo, il siro-ortodosso Mar Gregorios Ibrahim e il greco-ortodosso Paul Yazigi, rapiti 640 giorni fa».


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