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10 Agosto 2017

Dalle periferie dei capoluoghi italiani a quelle del mondo ancora senza pace

Le città della cura

Comunità di Sant’Egidio: in missione nelle borgate un pasto per i dimenticati

 
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Pasta al pesto, mozzarella, pomodori, pane e susine. Tutti seduti a tavola e serviti. «Nel Vangelo non c’era mica scritto che i poveri devono mangiare a self-service», scherza Augusto D’Angelo, professore di Storia Contemporanea alla Sapienza, mentre governa le entrate e le uscite di quelle seicento persone che ieri pomeriggio, come per tutto il resto dell’anno, hanno trovato cibo e solidarietà alla mensa della Comunità di Sant’Egidio. Bisogna affacciarsi qui, in via Dandolo numero 10, nel cuore di Trastevere, mentre intorno la città è deserta, per capire il senso vero del volontariato. Augusto sembra conoscerli uno a uno gli ospiti della mensa, Marco che ancora dorme per strada e il suo amico che mostra soddisfatto le mani sporche di calce, «vuol dire che sta lavorando», il ragazzo nero che finisce velocemente il suo pasto e subito si inzia dare una mano in cucina, l’anziana che butta giù piano piano la minestra come se non se ne volesse più andare. Gruppi di giovani in vacanza a Roma arrivano per servire ai tavoli: «Siamo di Treviso, felici di aiutare». «Il senso non è soltanto offrire un pasto ma accogliere le persone. Perchè la povertà crea isolamento sociale, spezza le relazioni e rende ancora più fragili. È il dramma di chi vive per strada, ed è per questo che noi di Sant’Egidio è dai senza dimora che abbiamo cominciato, dalle povertà più estreme delle borgate romane e delle periferie del mondo».

E Augusto D’Angelo mostra il quadro che racconta la vita di Modesta Valenti, anziana che il 31 gennaio del 1993 morì da sola su un marciapiede della stazione Termini, perché puzzava ed era sporca e l’ambulanza si rifiutò di prenderla a bordo. Modesta è di fatto un po’ il simbolo della Comunità di Sant’Egidio, ogni anno nell’anniversario della sua morte i volontari del movimento fondato nel 1968 da Andrea Riccardi, celebrano una messa proprio dedicata ai senza dimora, gli ultimi degli ultimi. Un esercito che cresce, un’emergenza sociale che nessuno vuole vedere. Racconta D’Angelo: «Dal 2007 ad oggi, cioè negli anni della crisi, gli italiani che frequentano le nostre mense sono triplicati. E la vera emergenza sono i dormitori: a Roma le strutture chiudono e per molti l’unica possibilità è quella di dormire in strada...».Invece la filosofia della Comunità di Sant’Egidio (il nome deriva dal convento di Trastevere dove i giovani del gruppo di Riccardi iniziarono a riunirsi con l’idea di impegnarsi nel sociale basandosi sul Vangelo) oggi presente in 70 paesi del mondo, con 60mila volontari, e progetti enormi come “Dream” in Africa, per la cura e prevenzione gratuita dell’Aids, è che «la povertà nella vita di una persona - dice Augusto D’Angelo - è una parentesi che si può anche chiudere». Autori della pace in Mozambico siglata a Roma nel 1992, impegnati, ancora in Africa, nel programma “Bravo” per la registrazione dei bambini, sono riusciti a creare con la Tavola Valdese “corridoi umanitari” con i quali hanno accolto in Italia decine di profughi siriani.

Un mondo dell’altruismo, parole chiave gratuità e amicizia verso tutte le fragilità. I vecchi ad esempio, sempre più prigionieri della solitudine. Giancarlo Penza, coordinatore del progetto “Viva gli anziani”: «La vera salvezza è aiutarli a restare a casa loro. Noi li cerchiamo, li andiamo a trovare, attiviamo delle “reti di prossimità” che li sostengano, con i vicini, il condominio, il quartiere. Abbiamo un centralino a cui possono telefonare per ogni necessità. Ma il vero successo è stato quello spezzare vite condannate all’isolamento».

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