ROMA - La preghiera di ebrei, cristiani e musulmani, ieri, in Vaticano è un fatto rilevante sullo scenario intricato mediorientale. Ma è anche un evento significativo nella forma e espressivo della nuova presenza di papa Francesco sul terreno internazionale.
Invitati da lui si sono ritrovati per pregare il presidente israeliano, Shimon Peres, e il presidente dell'Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas. In Terra Santa non ci s'incontra mai per pregare fuori della propria cerchia confessionale. Ormai tra palestinesi e israeliani non ci s'incontra più per trattare: da aprile il governo israeliano ha sospeso i negoziati con Abbas, dopo il suo accordo con Hamas per un governo unitario e tecnico. Non sfugge quindi il valore dell'incontro di ieri.
Come evento è sorprendente. Mai si erano sentite preghiere musulmane entro le mura vaticane. Anzi quelle mura sono state erette più di un millennio fa, dopo un attacco arabo-musulmano a Roma nel lontano 846, durante il quale fu saccheggiata San Pietro. Roma papale allora si sentiva a rischio di conquista musulmana. Nel 1944, Pio XII chiese agli Alleati di non liberare Roma con le truppe musulmane, perché offensivo del carattere cristiano della città. Oggi invece le mura servono a garantire un`ospitalità imparziale, mentre il carattere cristiano si manifesta come tratto unitivo nel conflitto. È il Papa ad avvicinare due mondi che non condividono la sua fede. La presenza del Patriarca ortodosso Bartolomeo mostra come l'ecumenismo nulla tolga all'autorità del Papa, anzi la rafforzi.
D'altra parte non sono abituali in Vaticano le preghiere ebraiche, anche se forse sono state pronunciate lì, nel segreto, dagli ebrei nascosti durante l'occupazione nazista. Si vede il grande cammino fatto dallo «spirito di Assisi», iniziato da Giovanni Paolo II: pregare gli uni accanto agli altri, non più gli uni contro gli altri. Basta sentire alcuni sermoni nelle moschee palestinesi (e non solo), per rendersi conto di come si preghi gli uni contro gli altri. La preghiera può purificare l'atmosfera tra la gente, inquinata dall'odio che rende difficile il negoziato. La pace, a questo punto, sembra umanamente impossibile tra israeliani e palestinesi, tanto che non resta che pregare. La speranza di Francesco è che la preghiera generi un nuovo slancio. Anche Peres ha parlato dí «nuova speranza».
«Dio che è pace, ci benedica con la pace» così ha risuonato l'invocazione di Nahman di Breslavia, antico maestro hasidim. È il sogno di Francesco. Questi ha insistito sulla sua personale «incompetenza» politica a proposito del Medio Oriente (l'ha fatto anche per l'Europa e l'Italia). Non che i competenti abbiano avuto finora successo in Medio Oriente. L'incompetenza sapiente del Papa ha conseguito un risultato. Colpisce il suo prestigio che ha convinto i due leader a venire a Roma. Negli incontri interreligiosi, non pochi musulmani rifiutano di partecipare se ci sono ebrei d'Israele. Del resto Francesco ha colto la disponibilità umana di Peres e ha voluto la visita in Israele prima che scadesse la sua presidenza. Il potere di un presidente israeliano è ristretto, tanto che il rabbino Rosen consigliava di invitare Netanyahu. Ma la personalità di Peres rappresenta gli israeliani al di là della politica governativa. Nella cornice suggestiva dei giardini vaticani, si sono susseguite le preghiere delle tre religioni secondo il «modello di Assisi». Poi il Papa ha proposto sommessamente la via roncalliana alla pace, distillato della sapienza diplomatica cattolica: cercare quello che unisce e mettere da parte quel che divide. Ha evocato la fraternità dei figli di Abramo, quasi a dire che, come si prega insieme, così si può vivere insieme. Non un discorso politico, ma morale e concreto.
Non che il quadro negoziale cambi con l'evento di ieri, però la decisione torna ai due attori mediorientali e ai grandi. Gli attori politici s'inchineranno davanti al gesto del Papa argentino per continuare come prima? Obama, Putin, l'Europa (così divisi), sapranno intervenire con garanzie che rispondano alla mancanza di mutua fiducia e con opportune pressioni? Una svolta internazionale è avvenuta sorprendentemente dopo la preghiera per la Siria. È possibile per la Terra Santa? Ogni giorno la pace si allontana, perché la situazione diventa più intricata. C'è bisogno di fissare un limite di tempo al processo di pace, altrimenti diverrà impossibile. La preghiera di Roma è un'occasione per voltar pagina e rilanciare il negoziato. Del resto i due leader sono venuti in Vaticano per esprimere «il desiderio che i loro rispettivi popoli affidino a Dio la comune e ardente aspirazione alla pace». C'è una grande domanda di pace tra israeliani e palestinesi, a cui l'invocazione vaticana dà voce, anche se non si trova ancora come realizzarla.
Andrea Riccardi
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