Comunità di Sant'Egidio - Napoli 2007 - Per un mondo senza violenza - Religioni e Culture in dialogo Comunità di Sant'Egidio - Napoli 2007 - Per un mondo senza violenza - Religioni e Culture in dialogo
 

Agostino Marchetto - Arcivescovo, Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Santa Sede

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Comunit� di Sant'Egidio

22/10/2007 - 09:30 - Sala Italia - Castel dell�Ovo
PANEL 4 - Europa, immigrazione, futuro

Agostino Marchetto
Arcivescovo, Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Santa Sede

Una parola sul Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti�

Con richiamo alla 9� sinfonia di Beethoven, un pubblicista ha denominata la �Pacem in Terris� la �sinfonia della pace�. Infatti si nota in essa un tema fondamentale, 4 movimenti ed un finale. Il tema torna per 9 volte, come un leitmotiv: la pace fra tutti i popoli esige la verit� come fondamento, la giustizia come regola, l�amore come motore, la libert� come clima. Il tema accompagna ciascuna delle 4 parti, che formano come i 4 movimenti della sinfonia: la pace nell�armonia delle persone tra loro; tra le persone e le comunit� politiche; tra le diverse comunit� politiche; tra le persone e i gruppi politici con le comunit� umane.

Ebbene i migranti in Europa, in prospettiva di futuro, io li vorrei anzitutto presentare come fattore di pace fra le persone, i popoli e le nazioni, in favore dello sviluppo integrale. In effetti il I� Forum Mondiale sulle migrazioni, tenutosi quest�anno a Bruxelles, aveva come tema �Migrazioni e Sviluppo�. Questo abbinamento, tale binomio, fino a 2-3 anni fa era impensabile. E ora, giustamente, non lo � pi� anche perch� �La sfida dell�immigrazione e il modo in cui verr� gestita � uno dei test pi� importanti per l�Unione Europea allargata negli anni e nei decenni futuri. Se le societ� europee saranno all�altezza di questa sfida, l�immigrazione le arricchir� e le rafforzer�. In caso contrario, il risultato potr� essere una riduzione dei livelli di vita e divisione sociale�. � affermazione, di fine Gennaio 2004, dell�allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, che aggiungeva.

Tutti i Paesi hanno il diritto di decidere se ammettere o meno gli immigrati volontari (contrapposti ai rifugiati bona fide, che in base alla legge internazionale hanno diritto di protezione). Ma chiudere le porte sarebbe insensato per gli europei� Spingerebbe anche sempre pi� gente a tentare di entrare dalla porta di servizio.

L�immigrazione illegale � un problema reale, e gli Stati hanno bisogno di collaborare nei rispettivi sforzi per fermarla� Combattere l�immigrazione illegale dovrebbe per� essere parte di una strategia pi� ampia. I Paesi dovrebbero fornire veri e propri canali per 1�immigrazione legale, e cercare di coglierne i benefici nella salvaguardia dei diritti umani fondamentali degli emigrati.

� Gestire l�immigrazione non � soltanto una questione di porte aperte e di unione di forze a livello internazionale. Richiede anche che ciascun Paese faccia di pi� per integrare i nuovi arrivati. Gli immigrati devono adattarsi alle nuove societ� e le societ� devono adattarsi a loro volta. Soltanto una strategia creativa di integrazione garantir� ai vari Paesi che gli immigrati arricchiscano la societ� ospite pi� di quanto la disorientino� Gli immigrati sono parte della soluzione, non parte del problema� In questo ventunesimo secolo, gli emigranti hanno bisogno dell�Europa. Ma anche l�Europa ha bisogno degli emigranti. Un�Europa chiusa sarebbe un�Europa pi� mediocre, pi� povera, pi� debole, pi� vecchia. Un�Europa aperta sar� un�Europa pi� equa, pi� ricca, pi� forte, pi� giovane, purch� sia un�Europa che gestisce bene l�immigrazione�. Qui sta il futuro di speranza e di pace che io intravedo, e che troviamo anche nella nostra Istruzione Erga migrantes caritas Christi ( n. 101-103).

In effetti il nuovo volto dell'umanit�, oggi, ha i colori della globalizzazione, e i problemi che nascono sono ormai tutti planetari. Nessuna Nazione, per quanto potente, � in grado ad esempio, di garantire la pace, di risolvere appunto il problema delle migrazioni e delle minoranze etniche, di salvare l'equilibrio dell'ecosistema, compromesso dallo sfruttamento insensato delle risorse naturali, ecc.

Sul tema della pace Giovanni Paolo II ha richiamato pi� volte l'attenzione. Nel Messaggio per la Giornata della Pace 2001 cos� disse: "All'inizio del nuovo millennio, pi� viva si fa la speranza che i rapporti tra gli uomini siano, sempre pi�, ispirati all'ideale di una fraternit� veramente universale. Senza la condivisione di questo ideale la pace non potr� essere assicurata in modo stabile". E prosegu�: ci� "� esigito, come mai prima d'ora, dal processo di globalizzazione che unisce in modo crescente i destini dell'economia, della cultura e della societ�".

In un mondo sempre pi� globalizzato il Papa indicava poi il fenomeno migratorio come un fattore capace di assicurare la pace nel mondo e l'incontro delle culture: "Non meno pericoloso per il futuro della pace sarebbe l'incapacit� di affrontare con saggezza i problemi posti dal nuovo assetto che l'umanit�, in molti Paesi, va assumendo a causa dell'accelerazione dei processi migratori e della convivenza inedita che ne scaturisce tra persone di diverse culture e civilt�".

Unit� e diversit� in Europa, di fronte alle migrazioni

Naturalmente si pu� dire che ogni Paese d�Europa ha i suoi immigrati, dove sono ripartiti inegualmente. In valori assoluti, la Germania � in testa (7.300.000, ovvero l�8,9% della popolazione totale), seguita dalla Francia (7%), poi dal Regno Unito. Le proporzioni sono a volte pi� forti in Paesi pi� piccoli. Per esempio, il 30% nel Lussemburgo e il 19% in Svizzera. Ogni Paese ha un po� i suoi immigrati, frutto dell�eredit� coloniale, dei legami storici o della vicinanza geografica.

La caduta del Muro di Berlino, nel 1989, e l�accelerazione della globalizzazione fanno comparire naturalmente nuovi poli di migrazione nell�Europa dell�Est e in Asia. I nuovi arrivi non sono pi� solamente lavoratori poco qualificati, che aspirano a contratti a tempo indeterminato, ma membri delle classi medie istruiti, studenti, turisti, stagionali, donne o bambini isolati, rifugiati, �clandestini�, persone che arrivano per ricongiungimento familiare (la maggioranza degli ingressi) con una moltiplicazione dei canali utilizzati.

Dagli anni �90, le politiche d�ingresso e di soggiorno dei Paesi europei oscillano tra l�ammissione selettiva (si comincia a rendersi conto che l�Europa ha bisogno di lavoratori qualificati), la repressione degli ingressi illegali e la regolarizzazione. Durante gli ultimi 25 anni la Francia, il Belgio, la Grecia, l�Italia (quattro volte), il Lussemburgo, il Portogallo (due volte), il Regno Unito e la Spagna (tre volte) hanno regolarizzato 4 milioni d�immigrati, grazie a 20 programmi di regolarizzazione. Ma ovunque sono messe all�opera legislazioni dissuasive.

I Paesi d�Euopa hanno anche modi diversi di fronteggiare i problemi del � vivere insieme �, ponendo pi� o meno l�accento sull�integrazione degli individui o su quella delle comunit�.

Verso l�europeizzazione

La politica dell�immigrazione � sempre pi� chiamata a europeizzarsi. Il 1985 ha visto l�adozione, negli Stati membri della Comunit� Economica Europea, dell�Atto Unico che definisce uno spazio comunitario europeo senza frontiere. Lo stesso anno, sono firmati da un certo numero di Paesi gli Accordi di Schengen. Essi sono integrati nell�Unione Europea nel 1997 con il Trattato di Amsterdam. I suoi principali strumenti sono l�adozione di un visto unico di tre mesi per gli extra-comunitari che vogliono entrare e circolare nello Spazio Schengen, la libert� di circolazione all�interno delle frontiere europee per gli Europei e per i detentori di un visto Schengen, la solidariet� dei Paesi europei nei controlli alle frontiere esterne dell�Unione. Il Trattato di Amsterdam prevede tuttavia l�attuazione di una politica comune sull�immigrazione e si potr� vedere la creazione di una polizia delle frontiere europee. Riguardo ai Paesi d�emigrazione non europei, la comune politica sull�immigrazione rischia di rimanere tra le pi� restrittive.

Il fattore islam

Da qualche tempo un altro fattore caratterizza non solo il movimento migratorio, ma la storia stessa del mondo contemporaneo, destando preoccupazione e paura in molte persone. Il fatto, cio�, che non pochi immigrati sono musulmani e ci� fa temere addirittura una "invasione" dell'islam e della sua cultura.

Le complicazioni della storia recente e presente hanno acuito non poco la percezione per molti di una opposizione radicale o di una frattura insanabile tra "mondo cristiano" e "mondo islamico". Tenuto conto che questo conflitto, in realt�, maschera spesso contenuti di altra natura (soprattutto economica e politica), oggi � pi� che mai necessario cercare un confronto sereno, lucido e pacato tra i membri delle due religioni, senza per� superficialit� e con richiesta di reciprocit�.

Dunque, se alcuni Paesi islamici, grazie alle loro risorse, sostengono di fatto movimenti integralisti, che giungono a forme di terrorismo motivato da fanatiche considerazioni (nelle quali si mescolano citazioni del Corano ed espressioni di vendetta per "secolari soprusi subiti dai colonizzatori e sfruttatori occidentali"), non dovremmo commettere l'errore di considerare l'integralismo come espressione univoca dell'islam. Cos�, infatti, rinforzeremmo gli stessi integralisti che vogliono apparire come coscienza di tutto il mondo musulmano.

I "passi" verso la pace

"Le migrazioni - afferma ancora il Papa Giovanni Paolo II nel citato discorso - possono costituire una opportunit� se le differenze culturali vengono accolte come occasione di incontro e di dialogo e se la ripartizione disuguale delle risorse mondiali provoca una nuova coscienza della necessaria solidariet� che deve unire la famiglia umana".

In questa affermazione possiamo vedere le coordinate sulle quali � possibile tracciare un ideale "itinerario" verso la pace, oggi, anche in ambiente migratorio.

Il dialogo, anzitutto

Questa parola peraltro � diventata una delle accezioni maggiormente soggette a usura: qualcuno la confonde addirittura con una semplice conversazione. Dialogo � invece, soprattutto, confronto, interazione, capacit� di ascoltare e di entrare nella visione dell'altro, disponibilit� ad accoglierlo, senza semplicismi e superficialit�. E tutto questo non meramente a livello intellettuale, ma soprattutto in quello di vita vissuta. Il vero incontro infatti non avviene tra culture ma tra persone concrete, che pure hanno la loro cultura e la loro religione: parte dal vissuto delle persone stesse, dalla loro esperienza quotidiana nella famiglia, nel lavoro, nella scuola. In questo modo � possibile colmare quel deficit di cittadinanza e di coscienza mondiale, di responsabilit� collettiva, che � alla base, oggi, di alcuni movimenti di violenza considerata come unica soluzione di inveterati problemi.

"Lo scontro di civilt� - afferma Huntington - avviene perch� il confronto e il mescolarsi delle identit� si sviluppano all'interno di fasce culturali e di minoranze che confliggono contro le maggioranze ed esigono una maggiore visibilit�".

La tolleranza

Anche tolleranza � un'altra parola un po� erosa dall'uso, ma ancora molto importante. Si sta diffondendo oggi, di fatto, l'immagine dell'islam come "monolito intollerante", una religione di conquista, mentre la maggioranza dei musulmani si sente e si proclama tollerante. E' questa contrapposizione che rischia di compromettere gli sforzi di dialogo e provoca una reazione che pu� diventare esplosiva. Da una parte si lascia spazio al razzismo, dall'altra si spinge al ripiegamento su se stessi. Entrambe le religioni, quella cristiana e quella musulmana, hanno invece alla loro base una tradizione di ospitalit� e di accoglienza, "mutatis mutandis".

A proposito del dialogo e della tolleranza, considerati come fattori principali della pace nel mondo, Giovanni Paolo II afferm� ancora: "Lo stile e la cultura del dialogo sono particolarmente significativi rispetto alla complessa problematica delle migrazioni. L'esodo di grandi masse da una regione all'altra del pianeta, che costituisce sovente una drammatica odissea umana per quanti vi sono coinvolti, ha come conseguenza la mescolanza di tradizioni e di usi differenti, con ripercussioni notevoli nei vari Paesi di origine e in quelli di arrivo. L'accoglienza riservata ai migranti e la loro capacit� di integrarsi nel nuovo ambiente umano rappresentano altrettanti metri di valutazione della qualit� del dialogo tra differenti culture".

Accoglienza e ospitalit�

Dove lo straniero diventa ospite e viene accolto, si smonta infatti gradualmente la possibilit� di vedere l'altro come un nemico. L'ospitalit� come fratellanza, invece, � un concetto purtroppo trascurato dal lessico politico contemporaneo, che tende a privilegiare l'uguaglianza e la libert�, le quali possono poggiare su un fondamento individualista.

Accogliere lo straniero, per il cristianesimo, significa accogliere Dio stesso. Insistendo con la categoria della ospitalit�, i testi biblici, in effetti, dell'Antico e del Nuovo Testamento, pongono le basi per la costruzione di una fratellanza proprio universale.

Anche il mondo islamico ha una tradizione di ospitalit� che si ritrova nel Corano: in particolare nel mondo della medina, la citt� "illuminata", che nasce pluralista e porta agli altri. La tradizione alla apertura � quindi alla base pure della religione islamica, che per� conosce oggi frange, anche assai consistenti, purtroppo, estremiste e violente, che rigettano quanto viene dall'esterno. Il compito dei musulmani, a nostro parere, � quello di individuare nuovi processi educativi, capaci di arginare questi estremismi, di isolarli e far prevalere il dialogo vero, autentico, rispettoso della reciprocit�.

La stessa chiave di lettura universalista

La tradizione cristiana e quella musulmana hanno quindi una matrice culturale e religiosa universalista, che costituisce una chiave di lettura - e anche una fonte di contrasto - con cui leggere le nuove sfide e che contribuisce a creare una maggiore serenit� nelle relazioni internazionali, a cominciare dall�Europa.

L'11 Settembre � stato per� sicuramente uno spartiacque, una "rivelazione" che ha evidenziato grandi contraddizioni nel ruolo delle religioni nella costruzione della pace. Questa "rivelazione" comporta la necessit� di un salto di qualit� nell'incontro interreligioso: siamo tutti invitati ad ascoltare e a metterci in gioco per l'altro.

Se � vero che il tema dello scontro passa all'interno di ogni singola comunit�, � altrettanto vero che vi sono molte persone che questo scontro non vogliono, che praticano la convivenza, che si riconoscono nei valori della persona, della pace, dei diritti umani, della coesistenza, del pluralismo. Chi dunque vi si riconosce � chiamato a lavorare insieme e a testimoniare concretamente la sua opposizione legittima a ogni forma di violenza, fatte le debite distinzioni.

Qualcuno ha chiamato questa disponibilit� la "riscoperta della piazza". Piazza intesa come punto d'incontro, di scambio di idee, come luogo di composizione di una vera democrazia, in cui tutti godano piena cittadinanza e in cui tutti possano far sentire la propria voce. Papa Giovanni parlava poi della fontana della piazza del villaggio, che per noi � la Rivelazione di Dio.

Desidero chiudere con l'osservazione che la ricerca di un equilibrio soddisfacente tra un codice comune di convivenza e l'istanza della molteplicit� culturale pone problemi delicati e di grossissimo spessore. Non dobbiamo nasconderci che le domande identitarie incutono sempre paura in coloro ai quali esse vengono rivolte. Talora, queste paure prendono la via dell'annientamento o negazione dell'identit� dell'altro; talaltra, esse conducono all'adozione di pratiche meramente assistenziali, che umiliano coloro che ne sono i destinatari perch� annullano la stima che essi hanno di s�. Eppure, come ci ricorda Giovanni Paolo II nel gi� citato messaggio: "il dialogo tra le culture... emerge come un' esigenza intrinseca alla natura stessa dell'uomo e della cultura" (n. 10). Il compito da assolvere � allora quello di gettare sul tavolo del dibattito la proposta di una via capace di scongiurare la Scilla dell'imperialismo culturale, che porta all'assimilazione delle culture diverse rispetto a quella dominante, e il Cariddi del relativismo culturale, che conduce alla balcanizzazione della societ�.

Il modello di integrazione interculturale di cui ho detto brevemente � fondato sull'idea del riconoscimento del grado di verit� presente in ogni visione del mondo, un'idea che consente di fare stare assieme il principio di eguaglianza interculturale (che � declinato sui diritti universali) con il principio di differenza culturale (che si applica ai modi di traduzione nella prassi giuridica di quei diritti). L'approccio del riconoscimento veritativo, non ha altra condizione se non la "ragionevolezza civica" di cui parla W. Galston: tutti coloro che chiedono di partecipare al progetto interculturale devono poter fornire ragioni per le loro richieste politiche; nessuno � autorizzato a limitarsi ad affermare ci� che preferisce o, peggio, a fare minacce. Non solo, ma queste ragioni devono avere carattere pubblico - in ci� sta la "civicit�" -, nel senso che devono essere giustificate mediante termini che le persone di differente fede o cultura possono comprendere e accogliere come ragionevoli, e dunque tollerare, anche se non pienamente rispettabili o condivisibili. Solo cos� - penso - le differenze identitarie possono essere sottratte al conflitto e alla regressione.

Per concludere, dopo aver parlato di stranieri a casa nostra, in Europa, come rappresentazione di un�utopia, nel senso positivo della parola, vorrei leggervi una bella poesia il cui titolo �

"NON CHIAMARMI STRANIERO"

A causa del grembo materno diverso,

o perch� i racconti della tua infanzia

ti hanno forgiato in un�altra lingua,

non chiamarmi straniero.

Il tuo grano � simile al mio grano,

la tua mano, simile alla mia,

il tuo fuoco, simile al mio fuoco,

e tu mi chiami straniero!

Perch� in un altro popolo sono nato,

perch� altri mari conosco,

perch� un altro porto, un giorno, ho lasciato,

non chiamarmi straniero

E� lo stesso grido che noi portiamo

� la stessa fatica che trasciniamo,

quella che sfianca l�uomo dalla notte dei tempi,

quando non esisteva nessuna frontiera,

prima che arrivassero quelli

che dividono e uccidono,

quelli che rubano, quelli l�, gli inventori

di questa parola: straniero.

Triste parola ghiacciata, tanfo d�oblio e d�esilio.

non chiamarmi straniero.

guardami bene negli occhi,

ben al di l� dell�odio,

dell�egoismo e della paura

e vedrai che sono un uomo.

No, non posso essere straniero!