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Comunit� di Sant'Egidio

22/10/2007 - 17:30 - Ercolano - Villa Campolieto
PANEL 20 - I cristiani e la pace

Paul Grossrieder
Gi� Direttore generale del Comitato Internazionale della Croce Rossa, Svizzera

Dato il mio passato di attore umanitario, ne approfitter� per ricordare il ruolo negativo o positivo dei cristiani nelle situazioni di guerra a partire da quelle che ho conosciuto di persona. Questi esempi non rappresentano la totalit� dei coinvolgimenti dei cristiani nei conflitti armati, ma bastano a illustrare la mia profonda convinzione che non basta essere cristiani per essere �artigiani di pace�. Anche dei non cristiani ne sono ardenti promotori. Prima di tutto, la costruzione della pace � una questione di volont� e di coraggio, comuni a tutti gli uomini, come anche la fragilit� e la vilt�, questi nemici della pace. Essere �artigiani di pace� � volerlo essere nelle circostanze pi� drammatiche. E� conservare la tolleranza verso gli altri anche quando ci si trova dalla parte del pi� forte..

Nelle situazioni che ho conosciuto, i cristiani, in particolare i leaders, non hanno sempre lottato per la pace. Il primo esempio che far� � quello di Timor Est ai tempi dell�annessione indonesiana. Durante il lungo periodo di tensioni (1975-2002), la Chiesa Cattolica era divisa. Da una parte, alcuni religiosi italiani attivi per pi� di trent�anni hanno partecipato allo sviluppo e all�educazione del popolo timorense, sostenuti nella loro opera dal vicario apostolico di Dili. Dall�altra c�erano i gesuiti indonesiani, che difendevano la politica del governo di Djkarta.

Inevitabilmente, queste divisioni davano un�immagine contraddittoria del ruolo dei cristiani � dei cattolici in particolare � nella lotta per il ritorno alla pace e all�indipendenza dei Timorensi. Da parte sua , il nunzio apostolico a Jakarta cercava in primo luogo di salvaguardare, alla meno peggio, un�immagine, molto fragile, della Chiesa Indonesiana. In occasione della sua visita a Timor Est nell�ottobre 1989, Giovani Paolo II evit� di pronunciarsi sull�indipendenza, ma diede comunque un messaggio di speranza alla popolazione indigena perch� essa credesse nella fine del conflitto. La lotta per la pace e la libert� ne fu rafforzata (anche se sono stati necessari ancora pi� di dieci anni per raggiungere l�indipendenza).

Il caso pi� drammatico che ho vissuto � quello del Rwanda nel maggio 1994. Il paese era considerato come uno dei pi� bei successi dell�evangelizzazione in Africa nera. Ed ecco che nell�aprile 1994 cominciava un genocidio nel quale dei cristiani uccidevano altri cristiani, perch� tanto gli Hutu che i Tutsi sono cristiani. Invece di vedere nell�altro un proprio simile, gli Hutu vedevano dei Tutsi da eliminare. Da parte delle autorit� ecclesiastiche le posizioni erano divergenti. Alcuni vescovi, come quello di Kigali, hanno lasciato fare se non addirittura incoraggiato il massacro, mentre altri, come quello di Kabgai, hanno lottato contro i massacri. Queste differenze hanno fatto s� che la conferenza episcopale non � stata in grado di pubblicare un documento che condannasse chiaramente il genocidio. Le comunit� di religiosi (i domenicani per esempio) furono ugualmente incapaci di presentare un�immagine di unit� conforme al messaggio evangelico. So che nella provincia domenicana dei Grandi Laghi per evitare tensioni i frati Hutu e Tutsi facevano la loro ricreazione separatamente. Fra loro era impossibile approcciare la questione del genocidio.

Nel 2002, nell�Est della Repubblica Democratica del Congo (Ituri), sono stato molto impressionato dall�atteggiamento di un vescovo cattolico che si � rifiutato di aiutare i profughi civili perch� protestanti. Nel conflitto della ex-Yugoslavia, i cattolici croati hanno spesso dato prova di un odio viscerale verso i musulmani. E lo stesso � avvenuto in Bosnia da parte di una importante comunit� di religiosi. E non possiamo dimenticare il deplorevole allineamento di gran parte degli ortodossi sulla politica delle diverse autorit� politiche e militari serbe.

Per� sono stato testimone anche di atteggiamenti molto positivi da parte di cristiani. In Sudafrica, ho sentito il vescovo episcopaliano Desmond Tutu chiamare i neri al perdono verso i bianchi, anche se molti, fra i bianchi che si dichiaravano cristiani, odiavano i neri. D. Tutu ha presieduto le commissioni �verit� e riconciliazione� che, almeno fino ad oggi, hanno permesso di evitare un bagno di sangue in SudAfrica.

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Qual � l�insegnamento che per me deriva da questi pochi esempi di cristiani in situazioni di guerra o di forti tensioni?

1� Non c�� una coincidenza automatica fra essere cristiani ed essere artigiani di pace. Ci sono cristiani che non lo sono e non-cristiani che lo sono. Tanto gli uni che gli altri devono fare un atto di volont� per costruire la pace, spesso contro le correnti politiche dominanti.

2� In troppe situazioni di conflitto l�essere cristiani si trasforma in un fenomeno identitario. Sono cristiano per legarmi a una comunit� e cos� essere pi� forte contro le altre comunit�. (Non c�� pi� n� giudeo, n� greco� cfr San Paolo) Niente � pi� contrastante con la ricerca della pace.

3�. Lavorare alla pace in una situazione concreta presuppone l�adesione a una concezione universale dell�uomo. Fintanto che l�umanit� dell�uomo � considerata in relazione a una religione, un�etnia o una visione politica ideologica, il verme della guerra � nel frutto sociale (erode la societ�). Queste visioni particolaristiche dell�umanit� generano inevitabilmente delle gravi e violente contrapposizioni fra gruppi differenti. Non si pu� costruire una societ� pacifica, a qualsiasi livello, regionale, nazionale o internazionale, senza considerare che l�uomo, prima di essere legato a una comunit� religiosa, etnica o ideologica, partecipa dell�umanit� di tutti gli altri uomini. Su questa base, pu� stabilirsi un rapporto di convivenza fra gruppi o comunit� diversi.

4� Allo stesso modo l�assenza di comunicazione � nemica della pace. Una delle prime rappresentazioni di questa verit� � la storia di Caino e Abele � Caino non poteva comprendere Abele, non avendogli neanche rivolto la parola. Parlarsi � la prima tappa per conoscere e comprendere l�altro e le sue differenze. Quando s�interrompe la comunicazione, le speranze di pace svaniscono.

Essere cristiani e agire in stretta conformit� alle Beatitudini (discorso della montagna) � uno dei modi di aderire all�universalit� dell�uomo, a condizione di abbandonare le versioni ideologiche del messaggio evangelico. Solo allora il cristiano pu� divenire operatore di pace come lo sono stati la comunit� di S. Egidio e il vescovo di Qeliman in Mozambico.