Gemeinschaft Sant’Egidio
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Le migrazioni: un problema del futuro?
Inizio con il titolo della nostra conferenza di oggi, “Migrazioni e futuro”. E lo faccio provando a porre i termini della questione in questo modo: le migrazioni sono un fenomeno inevitabilmente scritto nel futuro?
Sembra di no, ed è il contrario di quello che normalmente si crede. Sembrerebbe, a vedere gli studi e le proiezioni dei prossimi decenni, che il fenomeno migratorio a livello planetario vada verso una stabilizzazione e verso un suo radicale ridimensionamento. Jeffrey Williamson, uno studioso dei processi storico-economici dell’immigrazione, assicura che già tra il 2020 e il 2030, i flussi dei lavoratori dei paesi poveri subirà una graduale riduzione fino a scomparire entro il 2050.
Questo è solo uno dei possibili scenari, ma sicuramente non è una buona notizia per economie e livelli di benessere fortemente debitori e dipendenti, dal contributo di lavoro dei cittadini immigrati. In Europa, e questo è già il dato di oggi, i flussi di ingresso negli ultimi tre anni hanno subito una flessione. E questo dato riguarda in modo particolare proprio i temuti clandestini. Se esaminiamo i dati dell’agenzia europea Frontex (l’Agenzia che ha compiti di coordinare, sorvegliare e gestire le frontiere esterne all’Unione), si rileva che tra il 2008, il 2009 e fino ai primi 3 mesi del 2010, il flusso dei nuovi ingressi nei paesi europei vede una considerevole diminuzione. Per dare il numero: hanno varcato le frontiere europee nel 2009, 106.000 persone cosiddette “irregolari” o “clandestine” e nel primo trimestre del 2010, 14.266. In tre anni si è registrata una diminuzione del 39 per cento dei nuovi ingressi. Il dato ancora più sorprendente che l’agenzia europea rende noto riguarda una diminuzione di permanenze irregolari sui territori europei del 26% nel triennio. Le cause di questo decremento possono essere diverse. La crisi economica? In parte. Le politiche d’ingresso più restrittive? Di fatto bloccano solo l’ingresso dei rifugiati. Forse, invece, bisogna considerare l’esaurimento di alcune ondate migratorie. È l’esempio delle donne ucraine (e polacche) che alla fine degli anni 90, in blocco, hanno cominciato ad arrivare in alcuni paesi europei e ora quasi anziane, raggiunto lo scopo di fare studiare i propri figli, ritornano nel loro paese. Ma sfugge forse la ragione di fondo: l’Europa ha forse smesso di essere una destinazione ambita?
Una prima conclusione: il lavoro degli immigrati non è una risorsa inesauribile e sempre disponibile. Già oggi in Italia si comincia a fare fatica a trovare delle colf o badanti regolari da inserire nelle famiglie come lavoratrici!
Il problema del futuro allora è decisivo ma è più complessivo e riguarda la visione stessa delle nostre società che patiscono proprio una mancanza di futuro e di visione.
Alla fine del 2009 alla conferenza italiana sull’immigrazione Andrea Riccardi poneva proprio questo problema all’inizio della sua riflessione: “C’è l’esigenza di dibattere sul tema migratorio, - cito Andrea Riccardi- ma anche di guardare al futuro del paese. (…) Molti oggi soffrono perché manca una visione del futuro. Sono donne e uomini spaesati in un mondo, reso largo, sconfinato dalla globalizzazione. (…). _ e poi Riccardi aggiunge- Più le identità sono deboli e più hanno bisogno, se non di nemici, almeno di antagonisti, per consolidarsi e conquistare i cuori”.
L’alleanza tra cittadini stranieri e anziani
Proprio sul tema del futuro delle nostre società è necessario porre con urgenza le questioni che aprono domande sulla nostra organizzazione sociale. Non vado fuori tema se almeno solo con un accenno sottolineo il grande tema assente, o quasi, nel dibattito pubblico, che è quello degli anziani. Tra quello dell’immigrazione e quello del’invecchiamento demografico ci sono punti di contatto, più di quanto non si direbbe a prima vista. Non solo nella novità delle dimensioni demografiche, ma soprattutto perché gli scenari futuri dipendono molto da come le società sapranno affrontare queste due sfide decisive. A ben pensare, in un certo senso, la paura dello straniero e fuggire l’età anziana sono aspetti che si somigliano, ambedue frutto di un medesimo clima etico privo di respiro.
Il dibattito pubblico risente di una sfasatura, ho parlato di una temuta onda migratoria, quando i dati sembrano raccontare una altra storia. Ma ci sono altre sfasature tra il discorso pubblico e gli elementi di realtà che permetterebbero ben altre riflessioni. Un esempio: il quartiere Esquilino, a Roma, vicino alla Stazione Termini, ha una forte presenza di immigrati, e anche una forte percentuale di anziani. Quando si vuole portare un esempio di difficile integrazione, di area problematica, di come la città stia perdendo la sua identità si dice: l’Esquilino. L’Esquilino nel linguaggio comune è divenuto sinonimo di “ghetto” non integrato con il resto della città, poveri anziani ostaggi di comunità di stranieri che hanno stravolto il contesto urbano. E’ proprio cosi? Riporto, così come me l’ha raccontata uno dei nostri giovani, qualche frase di una sua conversazione con una signora anziana che abita da sempre nel quartiere Esquilino. Racconta Maria: “Magari adesso il quartiere è cambiato, le insegne dei negozi magari non le riconosco più, ma da quando ce so’ loro (“loro” sono i cinesi) puoi girare tranquilla a tutte le ore e le strade sono pulite?”. Il giovane interlocutore: tranquilla? All’Esquilino? E Maria: Si vede che sei giovane: l’Esquilino ai miei tempi era un quartiere famoso in tutta Roma per la prostituzione e la delinquenza. Ma come, l’Esquilino non era il “quartiere- problema”?
Nelle nostre città la presenza di giovani comunità di immigrati, non è solo una risorsa economica, ma contribuiscono anche a ringiovanire e a rinsaldare gli esangui tessuti relazionali. Mi sono chiesta se questa constatazione non fosse frutto di una sorta di partigianeria, che pure sento nei confronti dei numerosi amici che vengono da tante parti del mondo e che ho incontrato negli anni con l’impegno dell’accoglienza e della scuola di Italiano della Comunità di Sant’Egidio. Ed è vero che l’esperienza della Comunità di Sant’Egidio ci ha reso più che partigiani realisti, e profondamente convinti che la convivenza non è solo possibile e necessaria ma è una vera arte che bisogna imparare e praticare per dare bellezza e profondità alle nostre esistenze.
Vedere la grande opportunità che gli immigrati rappresentano non è negare gli aspetti negativi o problematici dell’immigrazione, della convivenza, ma le sfide che il futuro pone richiede connessioni nuove. Una volta chiarito che la presenza immigrata nelle nostre città è necessaria, bisognerà tracciare i possibili percorsi per arrivare al risultato di una convivenza non subita ma costruita, pensata e voluta. Si tratta di mettere insieme dati, riflessioni, persone, idee, proposte.
Vorrei dare qualche tratto della presenza degli immigrati in Europa.
Gli immigrati sono giovani: l’età media della popolazione europea considerando i 27 paesi è di 40,6 anni, l’età media dei cittadini stranieri nell’Unione è di 34,3 anni. In alcuni paesi come l’Italia o la Spagna la differenza tra l’età media dei nazionali con gli stranieri supera anche 10 anni. I più giovani sono gli immigrati che giungono da paesi non europei, maggiormente dall’Africa e dall’Asia.
Molti dei lavori che svolgono i cittadini immigrati hanno a che fare con le persone. Gli immigrati lavorano con gli anziani, con i malati, con i bambini. In Austria il lavoro degli infermieri è appannaggio quasi esclusivo degli immigrati, donne filippine in particolare. In Gran Bretagna i maestri sono indiani. In Italia una famiglia su dieci non può fare a meno dell’aiuto di un lavoratore straniero. Anzi di una lavoratrice. E qui va almeno ricordata la dimensione femminile dell’immigrazione che rappresenta il 50 per cento.
Gli immigrati hanno un alto livello di istruzione. Porto ancora il caso italiano, ma è vero per tutti i paesi europei. Secondo i dati Istat gli immigrati adulti hanno livelli di istruzione uguali o superiori a quelli degli italiani.
La Comunità di Sant’Egidio che da molti anni insegna la lingua agli immigrati, ha analizzato il livello di studio dei propri studenti. Nelle sedi romane – dato 2009- il 44,75 % degli studenti ha tra i 10-13 anni di studio e il 38,03 % ha un titolo universitario.
L’Unione Europea, come è noto, intende introdurre un sistema a punti per l’ingresso di nuovi cittadini stranieri. Alcuni paesi lo hanno già introdotto. Tra i criteri per l’assegnazione del punteggio viene calcolato il livello di istruzione. Mi verrebbe da dire che non c’è n’è bisogno: gli immigrati che vivono in Europa, anche i clandestini, sono cittadini tra i migliori dei loro paesi, sono istruiti e arrivano con un forte desiderio di apprendimento e conoscenza. Gli immigrati desiderano essere italiani, spagnoli, francesi, tedeschi. Europei insomma. È una domanda che non va ignorata e tanto meno umiliata.
In conclusione, gli anziani e gli immigrati - coloro che nell’immaginario collettivo sono percepiti come fonte di problemi e sono la rappresentazione delle maggiori paure- sono invece il segno di un grande traguardo raggiunto (l’allungamento della vita), e di una grande risorsa e una grande opportunità per il nostro continente (i nuovi cittadini stranieri). Accanto ad una popolazione europea che invecchia c’è bisogno di un giovane, c’è bisogno di un immigrato. Accanto all’anziano e insieme allo straniero, si può costruire e ricostruire una nuova società. O se si preferisce una nuova comunità, una famiglia.
Nella Bibbia il momento di riscatto, di rinnovata fiducia verso il futuro coincide con la rinascita della città. Una città che diviene di nuovo bellissima, non più desolata, non più deserta, ma popolata capace di attrarre e non di respingere. Il Profeta Isaia – capitolo 26- descrive in questo modo una “città forte”: con le porte aperte, abitata dai giusti, accogliente verso i poveri e verso gli oppressi. C’è un grande lavoro da fare, ricostruire i tessuti umani, familiari, tessere i fili di una convivenza possibile e necessaria. Ma forse la “città forte” di cui parla il profeta Isaia non è una fantasia, è nelle nostre possibilità edificarla.
L’ultimo rapporto sui piccoli Comuni italiani dell’ANCI mostra un dato curioso ma interessante: una buona percentuale dei piccoli comuni italiani si sono rivitalizzati e sono divenuti centri di medie dimensioni grazie alla presenza di nuovi cittadini stranieri. Comuni disabitati hanno ripreso vita e attività economica, turistica etc, grazie agli immigrati. Caulonia, Riace in Calabria sono diventati esempi di best practice in tutta Europa perché i sindaci hanno aperto le case ormai disabitate dei nostri italiani emigrati tre o quattro generazioni fa, e hanno dato le chiavi ai profughi curdi giunti sulle coste calabresi. Un successo. Il regista Wim Venders ha raccontato queste nuove comunità umane, anziani e profughi, in un documentario.
Serve un nuovo slancio. Termino con l’auspicio espresso da Papa Benedetto XVI: “Serve un nuovo slancio del pensiero –dice Papa Benedetto- per comprendere meglio le implicazioni del nostro essere una famiglia; l'interazione tra i popoli del pianeta ci sollecita a questo slancio, affinché l'integrazione avvenga nel segno della solidarietà”
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