Una giornata per ricordare insieme e guardare al futuro
Tirana - Palazzo dei Congressi
Il 4 Gennaio 2003 si è svolta a Tirana una cerimonia per ricordare i 10 anni della presenza della della Comunità di Sant'Egidio in Albania.
All'incontro, nel palazzo dei Congressi, hanno preso parte autorità politiche e religiose, tra cui il ministro degli esteri, Ilir Meta, l'ex presidente Sali Berisha, il primate della chiesa ortodossa albanese, Anastasios Yanulatos e Mons. Angelo Massafra, presidente della Conferenza Episcopale albanese. Più di 700 le persone presenti, di cui 160 provenienti dall'Italia.
Nel corso della cerimonia l’ex presidente Berisha ha voluto ricordare e ringraziare Sant’Egidio per quello spirito di Assisi effuso in modo abbondante anche in Albania con frutti importanti: l'abolizione della pena capitale, la solidarietà e vicinanza con il Kossovo, l’accordo elettorale di Roma nel turbolento e minaccioso anno della crisi.
Parole riprese con diversi accenti dal vice primo ministro Illir Meta e dal democratico Tritan Sheu, testimone e firmatario degli accordi di Roma.
Anila Godo, medico pediatra, ha voluto ricordare il 'contagio' di Sant’Egidio nella sua passione per i poveri e i malati, di tanti medici albanesi.
L'arcivescovo metropolita Anastasio ha donato alla Comunità una icona della Resurrezione, segno di quella speranza ed umanità che risorgono oggi in Albania.
Il Presidente della Repubblica Moisiu ha consegnato nelle mani di mons. Vincenzo Paglia la medaglia dell’Ordine di Madre Teresa, massima onorificenza albanese.
La Cerimonia di Tirana
Intervento di don Matteo Zuppi
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FESTA ALL'OSPEDALE PSICHIATRICO DI TIRANA
E' difficile immaginare cosa sia un ospedale psichiatrico in Albania. Difficile descriverlo se non lo si è mai visto. Gironi infernali, fatiscenti lager del terzo millennio sopravvissuti al corso della storia, da due-trecento reclusi ognuno, abbandonati a se stessi. Senza tempo. Senza spazio. Finiti lì chissà quando, chissà per quale strano accidente della vita. Igiene praticamente inesistente, letti senza materassi, vestiti strappati, cibo scarso e scadentissimo. Quello di Tirana è il migliore: settanta ospiti tra uomini e donne. L'età media è abbastanza avanzata. Molti di loro da giovani erano di famiglia benestante, oppositori politici del durissimo regime staliniano di Enver Hoxha, quando pensarla diversamente dal partito significava essere condannati alla follia forzata. A lungo andare la confusione della mente e del cuore è arrivata davvero. Come potrebbe essere altrimenti dopo anche poco, pochissimo tempo in posti simili?
Un giorno però il cielo buio che stordiva, fatto di giornate vuote e sempre uguali, si è squarciato. Era il 1995. Fu allora che la Comunità di Sant'Egidio varcò il portone cigolante del nosocomio per fare amicizia con i suoi ospiti. Un'amicizia fedele negli anni, fatta di estati vissute insieme, quando finalmente si poteva uscire a passeggiare al sole, a prendere il gelato al lago, e passare pomeriggi a cantare e a ballare. Da allora si provvede ad una migliore alimentazione per i "cronici", a rischio denutrizione, alla cura di quelli affetti dalla tubercolosi, che non sono pochi. Sono stati messi su laboratori di taglio e cucito, attività di piccolo artigianato, pittura, giardinaggio, nonché sedute di ginnastica e di riabilitazione motoria. E affinché tutto ciò potesse continuare anche nelle stagioni ordinarie, la Comunità ha messo a punto training formativi per il personale ospedaliero. "La nostra presenza è una delle poche sicurezze su cui i degenti possano contare", spiega Elena Sibani, che fin dall'inizio coordina le attività con loro. "Le loro famiglie infatti sono emigrate o disperse. Da sei anni ormai assicuriamo tutti i giorni il vitto, gli abiti e in alcuni momenti dell'anno degli amici con cui parlare e svolgere attività piacevoli". L'anno scorso l'ospedale è stato ristrutturato in parte, ed è stato possibile ricavare un locale per attrezzare una lavanderia dove si possono lavare e stirare i vestiti dei malati che in questo modo possono conservare i loro indumenti e riutilizzarli. Un passo in avanti, verso una vita come tutti, verso un'ordinaria dignità. Sono stati rifatti i bagni, costruite docce, che non erano state neanche lontanamente previste dall'architettura di un tempo. Prima i pazienti dormivano su reti di ferro, girovagavano l'intero giorno a piedi nudi. Adesso ci sono i materassi e ognuno ha i suoi calzettoni. Non solo. C'erano spifferi dovunque, perché molti vetri erano rotti, oppure mancavano del tutto. Ora sono al completo.
Il 4 gennaio scorso anche qui c'e' stata festa per i 10 anni della presenza della Comunità di Sant'Egidio in Albania. E' stata addobbata una sala apposita. Niente confusione. Otto persone a tavolo per un pranzo davvero natalizio: antipasto di insalata russa, formaggi e salumi, poi tortellini, cotechino, purea, frutta, panettone. Inutile dire che sono cose che qui non si vedono mai. Specie la pizza "doc" portata dagli amici di Napoli. Un pasto festoso durato oltre un'ora. In genere si mangia in 15 minuti scarsi, in un corridoio. Dopo il caffè la festa vera e propria, in un altro salone, con musica italiana anni '60-'70, che a loro si rivela sorprendentemente familiare. Uno di loro ha imbracciato una fisarmonica e ha cominciato a suonare. La felicità si leggeva sui loro volti, diventava contagiosa e trasformava il cuore. Un'allegria infinita, di cinque -per loro- lunghissime ore. Alla fine tutti hanno ricevuto un regalo. Nessuno più anonimo, ognuno si è sentito chiamato per nome, quel nome che era scritto sul pacchetto che gli veniva dato in dono. Quei nomi che sono gli stessi di otto anni fa. E' un bene? E' un male? Sicuramente la vita non è finita per loro. Forse l' hanno ritrovata.
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