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8 Septiembre 2014 16:30 | Thomas More, Campus Carolus, Aula 109

Intervento



Laurent Ulrich


Arzobispo católico, Francia

Adotto prima di tutto il punto di vista della Chiesa cattolica, o delle Chiese cristiane, nelle città attuali, e secondo il loro stile di organizzazione e di presenza visibile nelle città, spesso ereditato da uno stile di vita rurale.

Il cristianesimo è innanzitutto, storicamente, familiare con la città; è nato nelle città dell’impero romano e il suo primo sviluppo si è verificato al loro interno. È soltanto dopo la caduta di Roma che si è sviluppato nelle campagne ed ha saputo adattarsi ad un’altra cultura, allo stile di vita rurale. È arrivato ad una sorta di maturità nello spazio rurale europeo, che ha organizzato secondo il modello della vita parrocchiale: una chiesa, un pastore (un curato) che veglia sulla vita sociale, l’educazione, la cura, dalla nascita alla morte di ciascuno, e gli fornisce il senso della vita e le ragioni di esistere, garanzia di stabilità e di pace. Il tempo moderno, che ha visto lo sviluppo industriale e urbano, non ha modificato in un primo tempo questa struttura sociale ed ecclesiale; le parrocchie urbane sono state trasposte nella città, e ogni quartiere si è sviluppato intorno ad esse. Lo si vede bene oggi; la loro influenza sull’insieme della vita sociale è declinata: la questione dell’impatto della religione cristiana, sotto le diverse denominazioni confessionali, e dunque della sua influenza sulla costruzione della pace, passa attraverso una rimessa in atto della sua visibilità nel paesaggio urbano.

Da una parte, la città è un luogo contraddittorio: rappresenta il riunirsi e l’ideale di un’umanità messa insieme; ma, dall’altra, essa si presenta anche come un luogo di minore presa in carico, di minore umanità per un certo numero di uomini e donne che sono respinti ai suoi margini. Urbanità, per lo meno in francese, significa un grado piuttosto alto di cultura, di relazioni cortesi (si dice anche “policées”, cioè “cittadine”!) e di organizzazione sociale. Ma la città può essere un inferno per alcuni: delle zone di non-diritto e dei muri, visibili o no, sbarrano l’accesso ai vantaggi del raggruppamento urbano. Una volta si poteva opporre il borgo dei ricchi e dei padroni ai sobborghi dei poveri e dei piccoli mestieri, o dei senza lavoro. Oggi, la sfida delle megapoli e delle megalopoli è proprio quella di permettere che tutte le zone dell’habitat concentrato che sono le città siano fattori di umanità, di giustizia e di pace. Le religioni devono potervi contribuire. Papa Francesco, analizzando, dopo i suoi grandi predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, le sfide delle culture urbane, nel suo grande testo del novembre 2013 (Evangelii Gaudium, n. 71-75), sottolinea che il libro dell’Apocalisse di S. Giovanni vede il compimento dell’umanità in una città santa, la nuova Gerusalemme.

1. Le reti della fede: le parrocchie cambiano aspetto, ma questo è noto?

Il precetto domenicale non è più così mobilitante; i partecipanti sono meno numerosi e le comunità che si riuniscono possono dare l’impressione di privilegiare un “tra noi” dei cristiani che si riconoscono in un messaggio specifico riservato agli iniziati. Questa percezione è accentuata dagli effetti dell’individualismo attuale che ci circonda e aumentata dalla difficoltà di realizzare l’incontro tra le generazioni.

Inizia un cambiamento che non è omogeneo nelle diverse diocesi e negli spazi rurali e urbani. La necessità di lasciare un segno in un mondo in mobilità comincia a farsi sentire. Oggi le parrocchie designano dei luoghi di incontro più che individuare un territorio.

Lo vediamo: quelli che bussano “alla porta”, allora, sono persone che chiedono che siano ascoltati i loro problemi, anche se lontani dalla vita ecclesiale.

Bisogna sottolineare anche l’apporto positivo dell’accoglienza e dell’integrazione delle popolazioni immigrate che possono trovarsi a loro agio nell’ambito delle parrocchie, arricchendole delle loro tradizioni. Queste comunità venute da lontano possono rianimare il soffio che conduce “alle periferie”, come dice Papa Francesco!

C’è una dimensione universale che si rivela più che nel passato, la mobilità e il mescolarsi delle culture possono essere percepiti positivamente.

2. Le maglie della carità

Le associazioni caritative cristiane non sono le sole ad agire nel campo della solidarietà, ma si ascrivono volentieri nel movimento generale delle nostre società, in cui si sviluppano un po’ ovunque organismi di solidarietà, attenti a situazioni locali e a situazioni drammatiche nel mondo: esse sono in rapporto con altre associazioni solidali.

Esse possono venire in aiuto in quanto sono associazioni cristiane, ma c’è anche un certo numero di cristiani che cooperano con associazioni pubbliche e non confessionali, come membri a titolo personale.

Queste pratiche nuove contribuiscono a portare con sé ogni tipo di contatto che supera largamente gli ambienti delle comunità cristiane, contatti che sono altrettanti legami capaci di dare testimonianza della fede senza proselitismo.

3. ll dialogo delle religioni può complicarsi quando moschee e pagode non si nascondono nel paesaggio urbano più di chiese, templi e sinagoghe

Da questo punto di vista, la situazione francese, come la situazione belga, non può tralasciare le esigenze della laicità: non ci si lascerà impressionare da confronti pubblici talvolta tra anticlericali! Questi dibattiti ci agitano da due secoli, ormai ne siamo sazi.

Certo ci sono ancora grandi progressi da compiere, vigilando in modo particolare per non incoraggiare le confusioni con le diverse espressioni dei fondamentalismi.  

Si può qui citare la riflessione di Paul Thibaud, il 12/7/2014, (settimanale “Marianne”): “Uno dei successi della laicità francese è stato quello di suscitare, poco a poco, un cattolicesimo non più barricato ma capace di contribuire al dibattito democratico, un cattolicesimo di proposte sociali, lontano dallo scientismo materialista in cui tanti laici puri allora si disperdevano. Per quanto riguarda oggi l’Islam, le cose sono forse più difficili, ma dal lato della Repubblica non sono sostanzialmente diverse… La laicità del futuro, come quella del passato, è una laicità in cui si può entrare senza rinnegarsi.”

Soprattutto, la tradizione inaugurata dal Concilio Vaticano II con le dichiarazioni Dignitatis humanae e Nostra aetate è in pieno sviluppo. Il primo documento si basa sulla libertà religiosa: l’invito a cercare la verità in materia di religione non sopprime il riconoscimento della libertà religiosa. Qui la Chiesa si impegna alla cooperazione e al dialogo con le altre religioni senza rinunciare ad “annunciare senza sosta il Cristo” (NA 2), che è la sua ragion d’essere. L’annuncio non può essere disgiunto dall’identità e dalla missione della Chiesa nel contesto del pluralismo religioso, Ma si tratta di coniugare quest’annuncio e l’obbligo imperativo del dialogo con rispetto assoluto e anche stima verso le altre religioni.

“Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, ad agire in conformità con essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana, come l'hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la ragione stessa. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società.” (DH 2)

La seconda dichiarazione è particolarmente interessante dal punto di vista del dialogo delle religioni: “La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini.” (NA 2)

Nel clima attuale in cui si incontrano - a motivo delle migrazioni e dello sviluppo urbano - le grandi religioni del mondo, che si affiancano negli stessi spazi, queste due dichiarazioni fondamentali pongono dei principi di dialogo e di elaborazione della pace tra i popoli e le comunità, grazie al dialogo tra le religioni. Per questo si può dire che più le istituzioni religiose si espongono, più il dialogo è necessario.

E oggi, particolarmente in un certo numero di città della Francia in cui possono presentarsi problemi di integrazione di persone e gruppi etnici e religiosi diversi, da una ventina d’anni sono nate forme associative, talvolta con il sostegno esplicito dei comuni, in cui si ritrovano coloro i quali vogliono favorire il dialogo e la convivenza.

Vorrei ancora citare le iniziative cittadine di costruzione o ristrutturazione di quartieri in uno spirito fraterno, partecipativo e che favorisca la mescolanza sociale. Ci sarebbero molti esempi da citare nella metropoli di Lille, a cento chilometri da qui, in Francia. Uno nasce da una collaborazione tra tre comuni che hanno sofferto per la deindustrializzazione e si trovano davanti alla necessità di riabilitare la collaborazione fra di loro, nel quadro di una grande intercomunità, che obbliga a intrecciare molteplici approcci e numerosi partner, tra i quali i rappresentanti religiosi: la si chiama appunto “la zona dell’Unione”.

Un altro progetto viene dall’Università Cattolica di Lille. Su un grande terreno di sua proprietà (15 ha), affiancando terreni di diversi comuni (per complessivi 150 ha), dunque obbligando questi a collaborare, è nato il progetto chiamato “Humanicité”, città umana, città di umanità… Questo progetto vuole coniugare la densità di popolazione propria della città con la mescolanza sociale, accessibilità di tutti e facilità di vivere insieme; vuole anche instaurare o restaurare il dialogo tra spazio pubblico, spazio collettivo e spazio privato, convertire dei luoghi che vivono per loro natura su se stessi (o introversi), come ospedali o aree commerciali, in luoghi di incontro e condivisione, e condividendo le attrezzature il più possibile, perché si è voluto che questo nuovo quartiere sia allo stesso tempo capace di accogliere alloggi, strutture sanitarie e sociali, edifici pubblici, negozi, attività industriali, artigianali e commerciali. 

Per questo, l’Università Cattolica, promotrice del progetto con le altre istituzioni, ha proposto un metodo di elaborazione che tenga conto delle sue competenze, coniugandole con la concertazione di partner e beneficiari di questo quartiere in cui vivono e lavorano. Sono gli Ateliers d’Humanicité, che sviluppano quattro assi di lavoro:

  • mettere in atto una governance condivisa che guidi l’insieme della catena di innovazione sociale sul quartiere;
  • creare e animare un metodo permanente di individuazione dei bisogni e delle aspettative delle persone che vivono e lavorano sul quartiere. Da questa pratica nasceranno idee e progetti collettivi innovativi, che bisognerà filtrare, arricchire e trascrivere nei capitolato di oneri e bisogni; 
  • poi proporre questi capitolati alle istituzioni dell’Università Cattolica di Lille e ai loro collaboratori (imprese, collettività) che co-costruiranno i prototipi avendo cura di associare bene gli utenti;
  • sperimentare questi prototipi nel quartiere, in una situazione reale e valutarne gli impatti d’uso, economici, sociali, ambientali… (dal sito http://www.humanicite.fr/)

Questo tipo di innovazione urbana deve interrogarci molto. È evidentemente poca cosa: 150 ettari, 2500 abitanti previsti negli anni a venire. È poco rispetto alla popolazione mondiale, è dell’ordine del modello offerto alla riflessione. È in ogni caso un contributo di una Università Cattolica, e la diocesi di Lille si è associata partecipando alla costruzione, in questo quartiere, di una Casa della Chiesa che è già palesemente un luogo di incontro, apertura, pacificazione per quelli che lo frequentano. 

4. Si deve concludere che i religiosi devono costituire dei fronti di lotta o di affermazione delle religioni nelle nostre società?

La risposta non deve suscitare paure nuove come la paura dello scontro. I dibattiti tra religioni non possono ridursi a interpretarne i valori o le differenze. Bisogna discernere gli effetti degli aspetti negativi della nostra società, più attenta ai grandi mercati e ai cambiamenti tecnologici che alle ricerche di senso o alle domande preoccupate. Tuttavia le coscienze continuano a rivoltarsi e ad agire davanti al non-senso, o all’orrore inspiegabile.

In questi tempi difficili si fanno strada dei sussulti spirituali: le nazioni che fanno la guerra sono anche quelle che tentano di creare spazi internazionali di dialogo, organismi di conciliazione e abbozzi di avvenire. Nascono i progetti di costruzione europea e, anche se si scontrano con ostacoli non trascurabili, possono restare fonte di speranza. Nei più grandi abissi della barbarie si tessono reti di carità e di dedizione straordinarie, e sorgono in tutti i paesi del mondo, dando corpo ad una globalizzazione del bene che attraversa tutti i livelli sociali e tutte le correnti di pensiero e di fede. 

Così un dialogo delle religioni non ha giustificazione se non è un dialogo tra esse. Si verifica nel quadro della società civile. Il patriarca di Babilonia dei Caldei a Bagdad, presente al nostro incontro di Sant’Egidio, Mons. Luois-Raphaël Sako, lo ha detto con molta chiarezza: “Non mi esprimo soltanto - diceva in sostanza il mese scorso - come cristiano e come vescovo cattolico per reclamare la pace e la fine delle violenze inflitte ai cristiani; mi esprimo innanzitutto come cittadino del mio popolo che chiede la pace per tutti. Non ci incontriamo innanzitutto come religiosi in opposizione al resto della società. E non abbiamo soluzioni specificamente religiose da fornire alle questioni sociali o ai problemi della pace. In particolare non abbiamo soluzioni che siano comuni soltanto ai religiosi e alle religioni. Sentiamo il nostro dovere, ma opponiamo soltanto esigenze che possano essere capite da tutte le buone volontà, preoccupate del rispetto delle persone della costruzione di una mondo pacifico.”

Possano queste parole essere ascoltate e ricevere la fecondità che speriamo. 

 

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