Hanno messo in fila le parole accanto ai loro insegnanti di italiano, quelli che li aiutano ogni giorno a trovare il modo di esprimersi per raccontare la propria storia, togliersi una briciola del peso del viaggio, riprendendo i contatti con un mondo nuovo. E alle voci degli stessi insegnanti hanno affidato i racconti, letti ieri pomeriggio alla «Marcia della pace» che la Comunità di Sant'Egidio di Novara organizza ogni anno dal 2000. In corteo, i cartelli di 27 Paesi toccati da guerra, terrorismo o schiavitù, e il messaggio di papa Francesco, «non più schiavi, ma fratelli».
Al lavoro a 11 anni
Dalla scuola di italiano della Comunità è passato anche Youssef Tawfik, arrivato in Italia due anni fa a 17 anni, al lavoro in Egitto ne aveva 11. «L'ordine di partire è arrivato all'improvviso, non ho potuto portare niente con me, ma intanto non avevo niente». La voce è quella di Mario Armanni, il suo insegnante, la storia quella di una traversata in mare di 11 giorni, 80 persone sul barcone, «messi nel frigo, al freddo, trattati come il pesce. Per 11 lunghissimi giorni non ho mangiato neanche un panino, potevamo bere solo mezzo bicchiere di acqua al giorno».
La colletta per proseguire
È partito e arrivato solo come Osman, ancora minorenne: «Dalla Somalia - racconta Armanni - ha attraversato vari Paesi via terra, fino in Libia. Qui non aveva più soldi, i suoi compagni di viaggio si sono autotassati per farlo proseguire». Ma in Somalia ha ancora la sua famiglia: «E' così per tanti - aggiunge Armanni -, la partenza è un investimento per la famiglia».
Il passaggio in Libia
Tanti dei ricordi raccolti dai volontari passano dalla Libia: chi si era spostato qui in cerca di lavoro è stato schiacciato dalla crisi politica. Sono stati rimandati indietro, fuggiti via mare, incarcerati, schiavizzati. «Mi hanno messo in prigione e costretto a lavorare, mi colpivano con violenza, mi insultavano e mi sputavano addosso. Ho visto con i miei occhi morire gente in prigione»: Raphael Camara ieri ha compiuto 20 anni, era tra il pubblico mentre il suo insegnante leggeva la sua storia, fuggito dalla Guinea Conakry nel 2010, incarcerato in Libia, arrivato in Italia.
Le vittime di tratta
Julie, nigeriana, lasciò Benin City nel 2009 con la promessa di andare a lavorare in un negozio di acconciature: «Gran parte della traversata avvenne a piedi, morirono un sacco di persone, in Libia venni presa in consegna da un uomo che doveva "trafficarmi" in Italia». Dalla Sicilia a Torino, poi qui direttamente sulla strada. Poi a Novara l'incontro con un'associazione che si occupa di ragazze vittime di tratta: «Ora ho un lavoro part time, studio l'italiano e ho smesso di avere paura».
Trovare le parole
La loro, ha detto Gianfranco Giromini, «è la condizione dei sopravvissuti che approdano in un luogo dove possono cominciare a raccontare, ma mancano le parole. Alla scuola di italiano rinasce la speranza».
Elisabetta Fagnola
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