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21 Junio 2017

«Apriamo cuori e frontiere» A tu per tu con Marco Impagliazzo

presidente della Comunità di Sant’Egidio, che parla di corridoi umanitari,ma anche della diocesi romana e della Cei.

 
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Da sempre in prima fila per la risoluzione dei conflitti nel mondo, per la pace tra le religioni, per l’accoglienza dei profughi, per il rispetto dei diritti umani. È la Comunità di Sant’Egidio fondata da Andrea Riccardi e presieduta da Marco Impagliazzo. Accanto a san Giovanni Paolo II, prima, e a Benedetto XVI, poi, oggi il movimento è al fianco di papa Francesco nella realizzazione dei corridoi per i profughi.

Impagliazzo, la Comunità di Sant’Egidio ha realizzato i corridoi umanitari. Un modello prezioso che dall’Italia è stato esportato in Francia. Come procede il progetto?

 «I corridoi umanitari hanno portato in Italia circa 800 persone, in maggioranza siriani, attualmente ospitate da comunità, parrocchie, famiglie, associazioni, in diciassette regioni italiane, e avviate verso l’integrazione nella nostra società, a partire dall’apprendimento della lingua italiana e dall’iscrizione dei bambini a scuola. I corridoi si sono rivelati un modello efficace, che coniuga solidarietà e sicurezza, tutto basato sulla società civile. La Francia, con un accordo siglato all’Eliseo lo scorso 14 marzo, ha aperto un nuovo corridoio umanitario dal Libano per 500 persone. Le prime arriveranno tra un mese. Inoltre, è stato sottoscritto un accordo tra Cei, Sant’Egidio, Governo italiano per garantire altri 500 visti umanitari dall’Etiopia, mentre sono in corso negoziati col Governo spagnolo per aprire un nuovo corridoio umanitario».

Quali politiche migratorie dovrebbero essere attuate dall’Europa?

«Grazie ai corridoi umanitari abbiamo fatto arrivare in Italia più rifugiati rispetto ai 14 Paesi europei che nel settembre 2015 si erano impegnati ad accoglierli con la cosiddetta relocation. Al di là di questo dato, che fa comunque riflettere, dispiace dire che attualmente l’Europa non ha una vera e propria politica migratoria. Le frontiere sono chiuse e l’unico modo per raggiungere il nostro continente sembra quello illegale, che alimenta il traffico di esseri umani. Molto si potrebbe fare reintroducendo la sponsorship, per i cittadini che volessero accogliere i profughi o i migranti, e le quote di ingresso per motivi economici, viste le necessità del nostro Paese».

 Papa Francesco ha recentemente voluto commemorare insieme con la Comunità di Sant’Egidio i martiri del Novecento e del Duemila. Perché ancora tante persecuzioni contro i cristiani?

 «I cristiani vengono uccisi in molti Paesi del mondo, a partire dai copti egiziani che tanto hanno sofferto nei recenti attentati a Menyah, Tanta, Alessandria. I martiri sono un segno di contraddizione, che rivela come il cristiano abbia una forza debole, fatta di fede e di amore. Il loro stile di vita infastidisce una società dominata da violenza e sopraffazione. In questo senso, i cristiani sono autentici testimoni di carità, dialogo, incontro, in un mondo che preferisce la divisione, se non addirittura la guerra. Visitando la basilica di San Bartolomeo all’Isola, il santuario dei nuovi martiri, a Roma, il Papa ha detto che “l’eredità viva dei martiri dona pace e unità”, perché “insegnano che, con la forza dell’amore, con la mitezza, si può lottare contro la prepotenza, la violenza, la guerra e si può realizzare con pazienza la pace”».

Ivanka Trump ha visitato la Comunità di Sant’Egidio e incontrato i tanti profughi che ospitate. Quale collaborazione concreta può essere avviata con gli Stati Uniti?

«Ivanka era interessata al problema del traffico di esseri umani, particolarmente quello che colpisce le donne, e ha chiesto di venire a Sant’Egidio per incontrare alcune ragazze che abbiamo aiutato a liberarsi dallo sfruttamento. Ho avuto l’impressione di una donna preparata, desiderosa di ascoltare e capire gli aspetti umani e legislativi della questione. Ha apprezzato il nostro metodo di lavoro, concreto e personale, e ha espresso parole di sostegno per il nostro programma Bravo!, che assicura la registrazione anagrafica a milioni di bambini nei Paesi africani, sottraendoli al rischio di sfruttamento sessuale o di espianto degli organi. Ivanka era poi interessata alla nostra esperienza di dialogo con le principali religioni del mondo, soprattutto per quanto riguarda le ricadute positive in termini di inclusione sociale e di pace».

Parliamo del cardinale Gualtiero Bassetti, neo presidente della Cei. Come cambierà la Chiesa italiana?

«Conosco da anni il cardinale Bassetti, dal tempo in cui era vescovo ad Arezzo e poi a Perugia. Nel capoluogo umbro, dove io lavoro come professore all’Università per stranieri, ho avuto tante occasioni, sia pubbliche che private, di incontro e di scambio con lui. Ciò che mi colpisce dell’uomo e del prete è la bonomia, la profonda esperienza umana e pastorale, la capacità di superare le tensioni, il desiderio di conoscere il mondo. Sono tutte doti che aiuteranno la Chiesa italiana ad approfondire il cammino “in uscita” cui l’ha chiamata, insieme con la Chiesa universale, papa Francesco, con il suo stile pastorale e con il documento programmatico del pontificato da lui riproposto a Firenze, l’Evangelii Gaudium. In particolare, il cardinale saprà far crescere l’unità e la comunione dell’episcopato italiano che ha dovuto, come tutti i cattolici, religiosi e laici, allinearsi, e non sempre facilmente, sulle nuove direttive e sul nuovo linguaggio proposti dal vescovo di Roma a tutta la Chiesa. Mi auguro anche che il cardinale avvii una stagione di incontro proficuo tra laici e clero, in un momento in cui, considerata la crisi umana e spirituale del nostro Paese, comunicare la gioia del Vangelo è sempre più urgente. È bene, dunque, unire le forze e gli sforzi e soprattutto trovare quel linguaggio evangelico per parlare alla gente. Auspico, infine, che Bassetti, con la sensibilità alle persone in difficoltà che lo contraddistingue e che ha già dimostrato, aiuti la Chiesa italiana a mettere i poveri ancora più al centro della pastorale».

Monsignor Angelo De Donatis, neo vicario di Roma: come deve essere la pastorale della diocesi del Papa?

 «La nomina di monsignor De Donatis è una buona notizia per la diocesi di Roma. Lui è un uomo spirituale, che nutre la sua riflessione della Parola di Dio. È anche un uomo pacifico e sereno, capace di ascoltare. Tutto ciò gioverà alla diocesi, ai preti e alla pastorale di una grande città come Roma. La capitale soffre di tanti problemi, ma soprattutto dell’abbandono delle periferie, nelle quali vive la maggioranza della popolazione. Mancano le reti sociali, umane, politiche che hanno tenuto insieme in passato il tessuto di questa città, fatta di persone che provengono da ogni parte d’Italia e, da qualche anno, anche da tante zone del mondo. A Roma c’è bisogno che la Chiesa, in tutte le sue componenti, non soltanto quelle parrocchiali, lavori per ricostruire quelle relazioni umane e spirituali che mancano e che darebbero slancio, coraggio e sostegno a molte persone, soprattutto a quelle più in difficoltà, come ad esempio gli anziani. La Chiesa romana ha bisogno di comprendere in profondità la chiamata del suo vescovo a vivere “in uscita”: questo mi sembra il messaggio più urgente da veicolare in questa grande e vasta diocesi».


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