«Basta con le accuse a istituti e case famiglia. Il loro ruolo è insostituibile, oggi più che mai», tuona Adriana Gulotta, coordinatrice per la Comunità di Sant'Egidio delle attività verso i minori, e che si occupa di una casa famiglia a Roma.
«La nostra è una comunità particolare: ci occupiamo di bambini malati o affetti da handicap, e con noi ne abbiamo solo 7. Certo, ci saranno pure comunità più grandi: ma non è vero che le nuove leggi abbiano fatto solo buchi nell'acqua». C'è infatti un problema oggettivo, che riguarda soprattutto i minori del nostro Paese: «Specie in Italia i bambini in difficoltà non sempre sono "abbandonati" dalla famiglia - spiega - Spesso i loro genitori vivono sì un periodo di difficoltà, ma ci sono ancora: e mantengono un legame affettivo forte con loro. Insomma, una famiglia ce l'hanno. Magari messa male, ma c'è. Che fine farebbero se, improvvisamente, fossero catapultati dalla loro famiglia a un'altra? Direbbero di continuo: "Questo non è mio papà, questa non è mamma". Molto meglio una soluzione intermedia, dove il bimbo resta un po' in questi istituti, e poi torna a casa prima possibile». Pronta anche la replica per chi parla di «orfanotrofi camuffati»: «Nella nostra struttura due persone vivono lì, due mamme. E poi ci sono i volontari pronti a prestare aiuto. La casa è grande, ma senza barriere. Certo, mancano una vera mamma e un vero papà. Ma se no sarebbe un affidamento, e anch'esso, appunto, può creare problemi nella vita affettiva del minore». Continua: «Un esempio del cambiamento? L'istituto delle suore Calasanziane. Nato negli anni Settanta, ospitava 100 bambini. Poi, pian piano, le camerate sono state svuotate. E dopo la legge la trasformazione è stata definitiva. Le stanze sono state divise, ne sono state create di nuove dedicate al gioco ed alla ricreazione: insomma, sono state realizzate strutture familiari. Da lì sono nate circa tre case famiglia. E ci sono solo 25 ragazzi, divisi in ben tre strutture. A me questo sembra un bel cambiamento».
Rac. Zin.
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