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5 Febbraio 2018

Violenza: la battaglia non è persa

 
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Anche se l’emergenza legata alla violenza minorile a Napoli sembra oggi passare in secondo piano nelle cronache cittadine, resta la realtà di un fenomeno tanto allarmante quanto difficile da analizzare; alla comprensibile reazione emotiva di fronte a episodi di violenza inaudita fra minorenni è opportuno accompagnare una riflessione di fondo.
Delle baby gang napoletane in fondo sappiamo poco; lo ha fatto notare un esperto come Marco Rossi-Doria. Sotto questa etichetta si rischia di raccogliere e confondere fenomeni diversi: l’emergere di giovani boss (la paranza dei bambini su tutti), che prendono il controllo del territorio al posto dei capi ora in carcere, va sicuramente distinto dal gruppo improvvisato di ragazzi e ragazzini che provoca e fa del male, anche tanto male. Gli autori (anche giovanissimi) delle “stese” alla Sanità o a Borgo Loreto non vanno confusi con i ragazzini che si scontrano con i coetanei sul lungomare, incuranti della presenza delle forze dell’ordine. Diversi per età, motivazioni, storie familiari. percorsi personali. La violenza accomuna gli uni e gli altri. Ma diverso è il rapporto con la camorra e le sue strategie. E non si tratta necessariamente di un percorso lineare, che conduce all’affiliazione camorrista.
Siamo di fronte a fenomeni diversi che chiedono risposte differenti. I dati relativi all’andamento dei reati a Napoli emersi in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario hanno confermato, contrariamente a una diffusa percezione, la diminuzione dei reati commessi da minori (-24 per cento procedimenti penali presso il Tribunale per i Minorenni, rispetto all’anno precedente). Ancora maggiore è la diminuzione degli omicidi volontari (-47 per cento). La comprensibile ricerca di sicurezza rischia di suggerire strategie poco efficaci. È evidente che la risposta repressiva delle istituzioni è decisiva per contrastare una criminalità giovanile di matrice camorrista. Non servono però i soldati per contrastare la banda di ragazzini che molesta i passanti sul lungomare e l’evasione scolastica è un complesso problema sociale, che si affronta poco rafforzando la presenza delle forze dell’ordine.
A un problema sociale ed educativo si può rispondere molto poco con la repressione. Di fronte al rischio di un’egemonia culturale camorrista è necessaria una risposta culturale ed educativa. Il punto decisivo (e praticabile) è contrastare la cultura camorrista quotidiana, spicciola e brutale, fondata sulla sopraffazione. E si tratta evidentemente di una sfida educativa, da affrontare molto precocemente.
L’abbandono scolastico è oggi soprattutto legato alle scuole superiori. Gli esl sono troppo; percorsi su cui si può incidere competenze numeriche e alfabetiche insufficienti sono alla radice di tanti problemi successivi La scuola, primo naturale avamposto del vivere civile, non può essere lasciata sola, va posta ponendola al centro delle proposte politiche e amministrative (sì, di questi tempi…), dotandola di risorse, guardando ai modelli europei.
La domanda non è rivolta ai soli addetti ai lavori. Tutti possono impegnarsi su questo fronte, a partire dai giovani. Va riscoperta una vera passione politica su questo fronte. L’evasione scolastica, che oggi incide soprattutto nella scuola secondaria, si combatte alla radice aiutando famiglie e bambini in difficoltà e questo lo possono fare tutti, semplici cittadini, movimenti, parrocchie, pensionati (che grande risorsa..), studenti. La battaglia non è persa, le risposte sono molte e possibili.

 

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