Interreligious Dialogue Center Shinmeizan, Japan
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L’”evento di Assisi” del 27 ottobre 1986, ossia la convocazione voluta da San Giovanni Paolo II, e l’incontro ad essa seguìto, dei rappresentanti delle religioni mondiali per una comune testimonianza di impegno per la pace, può e deve essere considerato una tappa decisiva della storia del dialogo interreligioso. Esso ha il valore di un simbolo, cioè non solo un segno che indica, ma un segno che implica e porta con sé, come un seme, i valori e la realtà stessa che significa.
La celebrazione del suo 25mo anniversario, il 27 ottobre 2011, da parte di Papa Benedetto XVI, voluta e attuata ancora ad Assisi, non è solo una conferma, ma anche una chiara testimonianza di una continuità di impegno da parte della Chiesa Cattolicae delle religioni mondiali di voler proseguire questo cammino, valorizzando questo simbolo.
Il rinnovarsi annuale di quell’evento ad opera della comunità di Sant’Egidio qui in Europa, e della Direzione centrale del Buddhismo Tendai al Monte Hiei (Kyoto) in Giappone, ravviva periodicamente questa fiamma e ne tiene vivo il messaggio nel tempo.
Questo simbolo, questo cammino, questa meravigliosa novita nella storia delle religioni e ancora attuale? ancora necessaria? La domanda che fa da tema a questo nostro ‘panel' è ovviamente retorica, ma utile per riaffermare l'attualita e la necessita di questo simbolo, di questo cammino. Rivisitiamo brevemente le ragioni che hanno motivato la scelta iniziale di Assisi come luogo-simbolo di questa nuova epoca della storia religiosa del mondo.
La scelta di Assisi non è stata casuale. Essa si è ispirata senza dubbio alla figura e all’esempio di Francesco d’Assisi. Sono due – credo – le ragioni che hanno fatto di questo Santo del XIII secolo un simbolo persuasivo ed avvincente degli ideali che il dialogo interreligioso si propone.
Il primo e più conosciuto aspetto della vita di Francesco, che lo fa simbolo del dialogo interreligioso, credo sia quanto di lui si racconta a proposito del suo viaggio in Egitto e in Terra Santa. Effettivamente abbiamo convincenti testimonianze storiche (1) di un suo incontro con il Sultano Al-Malik al-Kamil, a Damietta, in Egitto, nel settembre del 1219, le quali, sia pure attraverso successive ricostruzioni leggendarie, attestano il fatto di un incontro amichevole che si qualifica chiaramente come autentico “incontro inter-religioso”. Caratteristica di tale incontro, ancora esemplare per noi oggi, è la simultanea presenza dei due elementi imprescindibili per l’essenza stessa del dialogo interreligioso: la consapevolezza della propria identità religiosa unita ad una sua chiara testimonianza, e, contemporaneamente, non solo un sincero rispetto per l’altro, ma un vero amore fraterno nei suoi confronti, entrambi radicati nella propria esperienza di fede. Questo episodio, e lo stile di tutta la vita del Santo di Assisi rimangono senza dubbio valido motivo di ispirazione per il dialogo interreligioso anche oggi, e non solo giustificano ma valorizzano a pieno l’evento di Assisi come suo simbolo.
Tuttavia, oggi, io vorrei attirare l’attenzione e soffermarmi su un secondo aspetto della figura e della spiritualità di Francesco d’Assisi che, non solo giustifica e spiega la scelta di Assisi come simbolo del dialogo interreligioso, ma può aprirci nuovi orizzonti e fornire nuova ispirazione per esso, proprio in questi nostri tempi.
Mi riferisco a quell’aspetto della spiritualità di Francesco che egli hamirabilmente espresso al termine della sua vita e al culmine del suo cammino spirituale nel cosiddetto “Cantico di frate sole” o “Cantico delle creature”.
E’ stato Papa Francesco, che, proprio quest’anno, ha attirato la nostra attenzione su questo volto del Santo di Assisi. La sua recente enciclica sulla cura del creato come “casa comune”, nel suo inizio prende nome e ispirazione proprio dalle prime parole di questo “Cantico”:“Laudato si’, mi’ Signore”, presenta poi San Francesco come “il santo patrono di tutti quelli che studiano e lavorano nel campo dell’ecologia, amato anche da molti che non sono cristiani (n. 10), e, verso la fine, rivolgendosi direttamente ai cristiani, ma, indirettamente “a ogni persona che abita questo pianeta” a cui l’enciclica è rivolta (n.3), esorta ad una conversione di atteggiamento verso la natura che “susciti quella sublime fratellanza con tutto il creato che san Francesco visse in maniera così luminosa” (n. 221).
San Francesco ha composto questo sublime cantico verso la fine della sua vita, tra la fine del 1224 e l’inizio del 1225, quando il suo corpo ormai minato dalla malattia si avviava al compimento del suo cammino terreno. Esso segna una vetta della sua spiritualità. In esso egli, nell’incontro con Dio, ossia all’interno di una intensa esperienza religiosa, coglie la bellezza spirituale del creato, e vede e raccoglie tutte e singole le creature in una specie di fraternità universale.
E’ merito di papa Francesco avere attirato oggi la nostra attenzione, come già fece ripetutamente, anni or sono, il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo (citato ripetutamente nell’enciclica ai nn. 8 e 9), e come ormai da varie parti della terra si invoca, non solo sulla necessità di coordinare, unificare, gli sforzi per la salvaguardia del creato, ma anche di sottolineare come questo sia un compito religioso, anzi interreligioso. Cosa interessante per noi riuniti in questi giorni qui a Tirana, il Papa, avviando il discorso verso la proposta di soluzioni pratiche, fa appello proprio al dialogo interreligioso come luogo di importante collaborazione per la soluzione di questo urgente e drammatico problema: “La maggior parte degli abitanti del pianeta si dichiarano credenti, e questo dovrebbe spingere le religioni a entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità” (n. 201).
Insieme all’impegno per la giustizia e per la pace, per la costruzione di un mondo più umano, fraterno, la salvaguardia del creato diventa un compito prioritario, urgente, della collaborazione tra le religioni. E questa componente del dialogo e della collaborazione tra le religioni trova un motivo di ispirazione, un modello, un esempio in San Francesco d’Assisi, arricchendo di senso e di valore il simbolismo di Assisi nella prassi del dialogo interreligioso.
Quest’anno celebriamo il 50mo anniversario della Dichiarazione “Nostra Aetate” con la quale il Concilio Vaticano II ha avviato un grande movimento di dialogo interreligioso. Se la prima tappa di questo movimento ha avuto il felice risultato di fare incontrare i rappresentanti delle varie religioni, di avvicinarne i seguaci, di favorire la mutua conoscenza e accoglienza, processo di cui l’evento di Assisi è il simbolo più cospicuo, possiamo ora auspicare che una seconda tappa di questo cammino porti ad una collaborazione tra le religioni. Ci sono vari settori della vita del nostro mondo nei quali le religioni possono e debbono collaborare. Nella sua enciclica, papa Francesco ci addita oggi il campo della salvaguardia del creato, che si aggiunge a quelli più conosciuti della giustizia e della pace.
Ed ecco allora una proposta: non potrebbero questi incontri annuali, organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio, che dell’evento di Assisi sono la più vivace ed efficace continuazione, impegnarsi in questa direzione, e diventare luogo anche di una programmazione da parte dei rappresentanti delle varie religioni mondiali, con la consulenza degli esperti che in questa occasione qui convengono, di qualche progetto concreto che tutti coinvolga e tutti impegni in una ”collaborazione interreligiosa” proprio nel campo della cura del creato, nostra “casa comune”? Questo impegno concreto, questa collaborazione interreligiosa per la salvaguardia del creato, sarebbe un modo nuovo e concreto di tenere viva la fiamma dello “spirito di Assisi” che al Santo di Assisi, Francesco, si ispira.
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(1) G. Jeusset, Francesco e il sultano, Jaka Book, Milano, 2008.
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