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19 Settembre 2016 17:00 | Sacro Convento, Sala Papale

Intervento di Bartolomeo I



Bartolomeo I


Patriarca Ecumenico di Costantinopoli

Carissimi e illustri ospiti,

Mi suscita davvero un senso di umiltà stare davanti a voi e ascoltare i vari tributi in onore del nostro ministero patriarcale. È particolarmente difficile poiché questi generosi complimenti provengono da leader religiosi e della chiesa alla nostra presenza oggi che da tanto tempo teniamo in ammirazione personale e con i quali abbiamo avuto il piacere di lavorare a stretto contatto in collaborazione spirituale.

Tuttavia, quando riconosciamo - in uno spirito di realismo e sincerità - quanto il nostro contributo somigli solo ad una goccia d'acqua in un oceano di dolore umano e di sofferenza globale, poi ricordiamo anche che in ultima analisi abbiamo raggiunto solo ciò che è nostro dovere di credenti e di mortali. Così come il Signore nella Scrittura ci ha insegnato a dire: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare"” (Luca 17, 10)

Fin dal principio, poi, siamo grati con riconoscenza e senso di debito a quanti sono venuti prima di noi sul Trono di Costantinopoli dai tempi apostolici fino ad oggi. Tra questi, ci sono stati molti celebri santi e padri della Chiesa, ma anche martiri coraggiosi e confessori della fede. Inoltre, dobbiamo ricordare il visionario ministero e pregare per il riposo dei nostri straordinari predecessori, il grande Atenagora e il mite Demetrio, i quali entrambi hanno aperto e rafforzato la strada verso il dialogo interreligioso e la riconciliazione cristiana.

Eppure, nella via della spiritualità ortodossa, l’autentica celebrazione non si discosta mai dalla via della croce.  La nostra è sempre una spiritualità di "gioiosa sofferenza" (χαρμολύπη). Noi non gioiamo senza allo stesso tempo ricordare e condividere la sofferenza degli altri. E, al Patriarcato ecumenico, certamente non abbiamo mai provato gioia senza ricordare che noi incarniamo una tradizione che ha conosciuto sia la gloria che il martirio attraverso i secoli.

Ancora più significativamente, però, celebrando quest'anno il venticinquesimo anniversario della nostra intronizzazione, c'è qualcos'altro che viene in mente e che vorremmo portare alla vostra attenzione. Perché ci rendiamo conto che una festa per un pastore spirituale e vescovo è anche l'affermazione che il vescovo stesso è figlio di Dio e figlio della Chiesa. Dopo tutto, “uno solo è il Padre vostro, quello celeste” (Mt. 23,9). Questo a sua volta significa che, agli occhi e nel cuore dell’onnipotente, noi tutti - clero e laici, uomini e donne, noti e sconosciuti - siamo uguali; tutti noi siamo fratelli e  sorelle.

Pertanto, il vescovo - sia egli un vescovo assistente, un metropolita, un arcivescovo, un patriarca, un patriarca ecumenico, o addirittura un papa! - è anche, e prima di tutto, un servitore della Chiesa e non solo un leader

Infatti, è solo nella misura in cui il vescovo è - al di là di ogni altra cosa - un vero e proprio servo, che può anche essere un leader ispiratore; è nella misura in cui rimane veramente un figlio devoto di Dio - senza fingere o pretendere di rivendicare l'autorità e il potere - che è anche in grado di essere un padre misericordioso della Chiesa. Infatti, siamo - tutti noi, non importa quale sia la nostra posizione - chiamati prima ad essere figli di Dio, e non governanti delle persone.

Trovandoci davanti a voi, allora, siamo profondamente grati a Dio e anche a voi per averci dato questa occasione per ricordare che anche noi siamo un figlio, impegnato in un ministero nella Chiesa, a noi affidata dal Padre celeste.

 

#peaceispossible #setedipace
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