SARAJEVO – Dopo quello che è accaduto a Rimsha Masih, la bambina cristiana disabile undicenne accusata di blasfemia, il Pakistan non sarà più lo stesso. C’è qualcosa che ha segnato nel profondo il Paese e le comunità che lo compongono e questo cambiamento lo si deve a una bambina. Da quella che poteva diventare una tragedia scaturiscono fatti nuovi, probabilmente una svolta, che Paul Bhatti, consigliere per le minoranze del governo pakistano, ha illustrato all’incontro della Comunità di Sant’Egidio a Sarajevo. Fatti nuovi che non sono estranei al martirio del Shahbaz Bhatti, fratello di Paul, ucciso da estremisti nel marzo del 2011. Il suo lavoro per creare fiducia tra cristiani e musulmani e altre comunità religiose non ha provocato solo la rabbiosa reazione che lo ha condotto alla morte ma anche una riflessione e una dissociazione dalla violenza. Lo si è sentito a Sarajevo quando Muhammad Abdul Khabir Azad, Gran imam di Lahore, dove Bhatti era nato, ha rievocato Shahbaz (“una grave perdita, un mio grande amico con cui avevamo avviato iniziative di dialogo”). Lo si è visto in Pakistan quando un fronte ampio di leader musulmani ha difeso Rimsha, chiedendo una revisione delle procedure di applicazione della legge sulla blasfemia. Paul Bhatti si è fatto promotore di un incontro tra ambasciatori e leader religiosi e nell’occasione gli imam hanno ribadito di proporre qualcosa contro l’uso sbagliato della legge e “di essere determinati perché vittime innocenti non vengano colpite in nome dell’Islam”. “Tutti gli studiosi e gli esperti di Islam – dice per parte sua Azad - hanno deliberato di essere contro chi ha accusato Rimsha e a favore di una soluzione positiva di questo caso".
“Rimsha – racconta Bhatti - non sa né leggere né scrivere, ha un ritardo mentale che non le ha impedito di restare traumatizzata dalla vicenda. Quando è stata accusata la notizia si è sparsa tra alcuni estremisti che subito hanno creato agitazioni”. Era il 17 agosto scorso. Bhatti, chiamato alle 2 di notte, prese contatti con il ministro dell’Interno, mentre le forze dell’ordine trattenevano Rimsha per evitare che le accadesse qualcosa. Si rivolse agli imam e ad altre personalità, creando poi una commissione medica per provare che Rimsha soffre di un ritardo mentale. Gli ulema “hanno cominciato a capire” e a prendere posizione. Infatti l'imam che aveva accusato la bambina di aver bruciato alcune pagine del Corano avrebbe potuto trarre vantaggio dall’episodio per mandare via i cristiani dalla zona della sua moschea. Bhatti, gli imam e tanti pakistani “abbiamo evidenziato l'uso scorretto della legge sulla blasfemia, per fini personali. Bisogna prevenire vittime innocenti”. Rimsha è stata rilasciata su cauzione, ma nel frattempo le famiglie cristiane del quartiere sono andate via? “Più della metà delle famiglie è tornata nel quartiere”, risponde Bhatti, ma la famiglia di Rimsha ancora no perché potrebbe correre dei rischi. Anche nel caso di Rimsha sono intervenute le organizzazioni internazionali. Ben venga “il loro aiuto, magari non sull’onda di un fatto ma con attenzione ai cambiamenti di questa società”. E la svolta porta il sigillo di Shahbaz Bhatti e il nome di questa bambina forte solo della sua debolezza.
La missione di Shahbaz, conclude Paul, “era di convivenza tra varie religioni, aveva creato comitati di dialogo interreligioso e una rete di relazioni per poter vivere insieme. Io continuo su questa strada”.