Venti anni fa la guerra dei Balcani travolse la vita fino ad allora tranquilla degli abitanti di quello Stato che oggi non esiste più, che era la Jugoslavia. Tutti ricordiamo le operazioni di pulizia etnica, l'efferatezza delle stragi e delle violenze che colpirono donne, bambini e anziani indifesi. Sarajevo fu uno dei luoghi più colpiti, e divenne la città simbolo di quella guerra.
Dal 1992 al 1996, due milioni di granate caddero sulla città, mentre oltre diecimila abitanti appartenenti a tutte le fedi religiose persero la vita, tra cui mille bambini. A distanza di venti anni da questi eventi la Comunità di Sant'Egidio ha promosso nella città bosniaca l'Incontro Mondiale per la Pace "Vivere Insieme è il Futuro. Religioni e Culture in Dialogo", insieme alla Chiesa Serba Ortodossa, all'Arcidiocesi di Vrhbosna-Sarajevo e alle Comunità Islamica ed Ebraica di Bosnia e Erzegovina.
L'appuntamento si colloca nel cammino degli Incontri Internazionali Interreligiosi di Preghiera per la Pace, che nel 2007 fecero una significativa tappa nella città di Napoli. Un incontro storico, dove per la prima volta da quegli anni bui, le comunità religiose presenti in Bosnia hanno organizzato un evento comune. Il saluto del patriarca serbo-ortodosso Irinej durante la messa celebrata nella cattedrale cattolica, dà la misura della straordinarietà di questi giorni.
Dagli anni della guerra, mai un patriarca serbo ortodosso aveva varcato la soglia di una chiesa cattolica. A Sarajevo, capitale della complessità del mondo, è stato riaffermato che il futuro è vivere msieme. La città bosniaca ha visto la presenza di numerose personalità internazionali tra cui quella del premier Mario Monti, dei presidenti della Bosnia della Croazia e del Montenegro, di cardinali, patriarchi, vescovi, pensatori laici e rappresentanti delle grandi religioni mondiali. La partecipazione del cardinale Crescenzio Sepe ha dato voce alle speranze e alle attese di Napoli, colpita proprio in queste ore da una spietata guerra camorrista che umilia e sfigura il suo volto.
E proprio da Sarajevo l'Arcivescovo ha usato dure parole di condanna per l'ennesimo omicidio di camorra. Napoli città simbolo del sud povero, con una emergenza lavorativa che sta per esplodere, si può e si deve rialzare. Baciata da Dio per la sua bellezza e la sua collocazione geografica, con una consistente presenza di immigrati di diversa lingua, religione, cultura può diventare un luogo di elaborazione di nuovi modelli di coabitazione e convivenza. Certo le misure sono differenti, le due guerre non sono paragonabili, nonostante la recrudescenza della recente faida di Scampia.
Tuttavia Napoli e Sarajevo, come tutte le città europee, vivono la sfida decisiva della convivenza tra uomini di fedi e culture diverse. Tra i tanti temi dibattuti a Sarajevo si è parlato di solitudini nella città. "Assistiamo -ha affermato il cardinale Sepe- al fenomeno della crescita della popolazione che sceglie o che è costretta a vivere da sola". La crisi della famiglia, il numero crescente di anziani che grazie alla longevità vivono di più ma che sempre più spesso si ritrovano da soli, le persone espulse dal mondo produttivo spingono tanti nell'incubo dell'isolamento e della e solitudine. Questo fenomeno -come è stato sottolineato più volte da questo giornale- è sempre più vero anche nella nostra città.
Certo l'anonimato di grandi periferie come Scampia non aiuta a far crescere un tessuto di coesione sociale capace di estromettere la malavita. Ma questo è uno stimolo in più a creare nella nostra città luoghi dove si pensi il futuro insieme, si elaborino idee, sentimenti, prospettive. Il sogno di una Napoli liberata dalla violenza, dal malaffare e dalla solitudine è possibile. Bisogna crederci e lavorarci su. Vivere insieme è il futuro, a Napoli come a Sarajevo e in ogni città del mondo.