Petru era nato 61 anni fa, in Romania e in Romania aveva perso una mano sotto una pressa, lavorando in una fonderia. L'altra mano la tendeva nei pressi di un semaforo di San Pier d'Arena, con un sorriso cortese. "Devo aiutare mia moglie - spiegava a chi gli rivolgeva la parola - mia figlia e due nipotini. Uno deve essere operato, e in Romania costa troppo".
Lo scorso dicembre il rudere di San Quirico in cui si riparava di notte ha preso fuoco e Petru è morto carbonizzato. Chi lo ricorderà? Chi piangerà un uomo povero e poco conosciuto? E anche per rispondere a questa domanda che domenica scorsa la Comunità di Sant'Egidio ha radunato nella basilica dell'Annunziata centinaia di senza dimora per pregare, ricordando i nomi di tutte le donne e gli uomini che sono morti per la durezza della vita per strada. Con loro, tanti amici, a partire dai volontari che ogni sera portano panini e coperte nelle stazioni. Italiani, immigrati, anche molti musulmani, raccolti insieme per ricordare compagni e amici che non ci sono più, ma anche per consolarsi nel pensiero che, come dice qualcuno "quando arriverà il mio momento forse anche io non sarò solo".
Quest'anno a Genova sono mancati sei homeless: vittime del freddo e della carenza di sostegno e strutture. Tra loro Petru Gaicea, che i volontari di Sant'Egidio conoscevano e sostenevano da sette anni. "Anche nei momenti difficili - ha detto nell'omelia don Jorge Romero Lopez, sacerdote della Comunità di Sant'Egidio - si fa chiara una voce: quella dell'amicizia di Gesù, quella del Vangelo, che indica colui che è la nostra speranza e dice di ascoltarlo. Anche se non c'è nessuno intorno, Gesù c'è, non se ne va, non ci lascia mai, lui resta sempre con noi".
Il primo nome ad essere ricordato, come ogni anno, è stato quello di Pietro Magliocco, una delle prime persone conosciute da Sant'Egidio durante il servizio serale a chi vive per strada. Pietro dormiva nella stazione di San Pier d'Arena: da vari giorni malato di polmonite, è morto la notte stessa del suo ricovero in ospedale. Era l'11 febbraio 1993. Aveva 57 anni.
"Non è solo un momento celebrativo - spiega uno dei volontari - ma un evento pubblico per parlare ad una città in cui la vita dei poveri è spesso molto dura. Ripetere i loro nomi, raccontare le loro storie è un modo per strapparli dall'invisibilità e metterli per una volta al centro, restituendo loro la dignità di persone e di amici. Per una volta è bello vedere i poveri non fuori dalla porta delle chiese, ma dentro, a pregare insieme".
Sergio Casali
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