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20 Ottobre 2012

SARAJEVO LA SCOMPARSA DEI CATTOLICI

 
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LE "ROSE" DI SARAJEVO non profumano ma esprimono un richiamo che non si può evitare. Nei punti in cui le granate avevano scavato il suolo, è stata rilasciata una miscela di terra rossa per riempire il vuoto e per non dimenticare. Sono "petali" che incontri tra l'altro nei pressi della cattedrale cattolica, poco distante da un mercato diventato tristemente famoso durante la guerra di Bosnia dal 1992 al 1995. «Mentre sentivamo cadere le granate - ricorda il cardinale Vinko Puljic, arcivescovo della città - con i miei sacerdoti ci riparavamo in cantina e pregavamo tutta la notte. La preghiera ci ha aiutati a sopravvivere alla paura.

La guerra è stata per me una scuola della croce e questa vale più di una facoltà universitaria. Affidarsi a Dio rende l'uomo creativo». A Sarajevo oggi si prova a guardare avanti, si punta a dare un senso a quelle rose germinate sull'assurdo del conflitto. Il giardino sui cui si staglia la chiesa serbo-ortodossa ospita uno dei segni della ricostruzione, una statua d'acciaio, una figura umana che si solleva verso l'alto, e che porta con sé un messaggio, in italiano: "L'uomo multiculturale costruirà il mondo". Con le sue mani quest'uomo creativo sta per completare il congiungimento di un cerchio, il pianeta appunto, più grande di ogni Bosnia, più grande di ogni nazione. Ma il mondo ha bisogno anche della Bosnia, Paese diviso in due entità: la Federazione croato-musulmana e la Repubblica Srpska, territori punteggiati di edifici sacri.

Venti anni fa erano scelti come bersagli e su di essi si scaricava la furia della disgregazione dei Balcani: la chiesa, la moschea, la sinagoga, simboli dal '92 al '95 dello scontro etnico, dentro Sarajevo, città della scintilla fatale che incendiò l'Europa e causò la prima guerra mondiale e, nel decennio finale del secondo millennio, luogo dell'assedio da parte delle forze serbo-bosniache. Sarajevo è tra conflitto e incontro – dice il vescovo ortodosso Grigorije – . Nessuno può dire qui di non avere bisogno degli altri e d'altra parte chi ha sbagliato non è stato abbandonato da Dio». 

OGGI, attraversando quelle porte del cielo che sono i luoghi sacri, si può trovare sulle bacheche, agli ingressi, sulle panche, un programma alternativo al conflitto: 'Vivere insieme è il futuro', il primo evento comune voluto da tutte le comunità religiose dopo la guerra di Bosnia. Lo hanno scritto insieme leader religiosi riuniti qui dalla Comunità di Sant'Egidio agli inizi di settembre, quando la ricostruzione ha conosciuto passi nuovi. Per alcuni giorni si è posato a Sarajevo lo spirito di Assisi, generato dall'idea di Giovanni Paolo II nel 1986 e diffuso da Sant'Egidio lungo nuove tappe, fino a Sarajevo. Per Andrea Riccardi, fondatore della Comunità e ministro per l'integrazione e la cooperazione internazionale, qui, tra «le memorie differenti abitate dal dolore, la fede insegna a vivere quella parola chiave che è responsabilità». È il rintocco di un passo nuovo che si è sentito nelle parole del patriarca serbo-ortodosso Irinej.

Durante il meeting di Sant'Egidio Irinej ha vinto ogni indugio raggiungendo il cardinale Puljic per presenziare alla liturgia nella cattedrale, la stessa in cui venne come pellegrino di pace Giovanni Paolo II. Per Irinej serbi-ortodossi, cattolici, musulmani, ebrei, sono come «un popolo che porta il volto di Dio dentro di sé. Il nostro dovere è baciare ogni persona nella quale si riflette il volto di Dio. È passato molto tempo dalledivisioni fra  cristiani, ma la casa divisa è destinata a distruggersi. Questo ci chiede di essere più vicini». E' così che Sarajevo, la Gerusalemme dei Balcani, si è proposta e si propone come paradigma della convivenza. «Non bisogna sottovalutare la malattia del nazionalismo che ha avvelenato le anime - osserva il sindaco Alija Behmen, primo ministro della federazione di Bosnia-Herzegovina dal 2001 al 2003 - Ma mentre la pace è stata ostaggio di politici irresponsabili, i cittadini invece hanno resistito alla sfida non rispondendo con il veleno dell'ostilità, né col fascismo al fascismo». 

Sarajevo è da secoli crocevia in cui i canoni architettonici mitteleuropei si coniugano visibilmente con l'Oriente, in cui sulla stessa strada puoi trovare, a pochi metri di distanza, sinagoghe, moschee, chiese. È un luogo plurale che si colloca su uno degli scenari più delicati, nevralgici, del pianeta. Sì, si ha il sentore di un passo nuovo ma che incontra ostacoli seri, da cogliere dietro immagini rassicuranti.  

 

LA SARAJEVO odierna è costituita da una realtà monolitica poco visibile al visitatore che si limiti a constatarne le apparenze monumentali, ossia come cattedrali, moschee e sinagoghe antiche facciano sempre bella mostra di sé le une accanto alle altre nel centro città», osserva lo storico Roberto Morozzo Della Rocca. In 'Cristiani a Sarajevo' ha fotografato la crisi della presenza cattolica in Bosnia-Herzegovina dopo la guerra. Il suo lavoro di riflessione e ricerca, con 'Passaggio a Oriente' si è ora allargato a considerare l'impatto che la modernità ha avuto e sta avendo nell'Europa ortodossa dopo il crollo del muro di Berlino. «Oggi - spiega Morozzo Della Rocca - conformemente agli accordi di pace di Dayton del 1995, è uno Stato unico che si compone di due entità. All'interno della Federazione croato-musulmana si è originato un esodo dei cattolici che, per le discriminazioni,  sono andati via a migliaia ogni anno. Nel 1991 alla vigilia della guerra, i cattolici erano qui 820 mila, il 17 per cento della  popolazione. Oggi sono appena 460 mila, il 9 per cento degli abitanti. Al contempo i serbi sono passati dal 33 per cento al 37 e i musulmani (bosgnacchi) sono giunti nel 2005 a superare il 50 per cento della popolazione». 

Sarajevo è divenuta città quasi monoetnica, con una popolazione al 90 per cento musulmana bosgnacca. È il risultato della guerra del 1992-1995, «ossia dell'affermazione virulenta, in Bosnia delle energie nazionaliste. Pochi anni sono bastati a dissolvere la Sarajevo multinazionale e multiconfessionale forgiata in una lunga appartenenza a formazioni statuali imperiali». Alla luce di questi dati si coglie con più profondità la novità delle recenti espressioni dei leader religiosi cristiani, musulmani ed ebrei a Sarajevo. Sono segnali che rimettono in gioco schemi consolidati per la forza, temibile, delle semplificazioni e della pigrizia. Torna un altro respiro. 

E il Gran Muftì ha scritto una preghiera per tre religioni

SARAJEVO è distesa lungo una stretta vallata, tagliata da un piccolo e rapido fiume. Una città che si presenta tranquilla e che non sembrerebbe sia stata, all'inizio e alla fine del secolo scorso, l'epicentro di due terribili guerre in qualche modo raccontate dal museo storico. La città vecchia ha i tratti di un'icona di possibile pace, con le chiese, le moschee e la sinagoga, il ponte latino su cui si consumò l'omicidio dell'Arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie, e quella fontana pubblica, posta nei  pressi della moschea principale, che ricorda a tutti che chi ne beve l'acqua tornerà a Sarajevo. Accanto al volto storico, in larghissima parte restaurato, vi sono locali e ristoranti di tendenza e vecchie, ottime, pasticcerie (e anche in questo caso il mix dei sapori richiama il meglio di Occidente e Oriente).

Forse esagerando, ma dando spessore a un entusiasmo necessario, il sindaco di Sarajevo Alija Behmen ripete che i ragazzi nati  durante la guerra di Bosnia e che ora hanno dai 18 ai 20 anni, non sono nazionalisti, non sono infettati dall'irresponsabilità dei leader politici, ancora troppo ingessati da una memoria avvelenata nemica del nuovo e dell'insieme. Alla luce di questi dati si colgono con più profondità le espressioni dei leader religiosi cristiani ed ebrei: "Dio non fa preferenze", sottolinea il cardinal Puljic e Jacob Finci, presidente della Comunità Ebraica, avvisa che la prevaricazione porta solo al naufragio. "La nostra scelta è per la pace, non per la guerra, la nostra opzione è per la sicurezza, non per il terrorìsmo", assicura il Gran Muftì Mustafa Ceric che ha scritto una preghiera come invocazione alle figure di riferimento per musulmani, cristiani ed ebrei: "O Signore, se pecchiamo, dacci la forza del pentimento di Adamo.

Se un disastro ci colpisce, insegnaci come costruire l'Arca di Noè. Se la disperazione ci oscura, illuminaci con la fede sincera di Adamo. Se siamo minacciati da un tiranno, rendici forti con il coraggio di Mosè. Se ci viene offerto l'odio, salvaci con l'amore di Gesù. Se siamo cacciati dalle nostre case, fortificaci con il desiderio al ritorno di Maometto. Signore, ti chiediamo di unire i nostri cuori nell'umanità.  Signore, ti chiediamo di rafforzare i nostri passi verso la verità e la giustizia. Signore, ti chiediamo di unire la nostra volontà verso la pace e  la sicurezza".

 

LA NUOVA BOSNIA

I capi delle tre comunità religiose difendono il dialogo. Il vescovo ortodosso: «Nessuno può dire qui di non avere bisogno degli altri»

LA EX GERUSALEMME DEI BALCANI

La città multiconfessionale forgiata nei secoli è stata travolta dalla guerra. Chiese sempre più vuote e moschee sempre più affollate 

IL PAESE SPACCATO

Repubblica Serba ,  Federazione croato-musulmana

Bosnia - Erzegovina 

POPOLAZIONE : 1991: 4,4 milioni ; 2011: 3,8 milioni

Federazione  croato-musulmana

POPOLAZIONE 1991: 820 mila / 17% ; 2011:460 mila / 9% 


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