Tragedia al Rione Siberia. I La morte violenta dietro l'angolo: così muore un bambino». E il titolo con cui Il Mattino del 16 dicembre 1983 commenta la tragica morte di Luigi Cangiano, un bambino di 10 anni colpito il giorno prima da un proiettile all'addome, durante una sparatoria tra poliziotti in borghese e spacciatori. Erano le nove di sera di un freddo giorno di dicembre quando Gigi, come veniva chiamato il bambino, stava tornando a casa dopo avere acquistato una manciata di caramelle a una bancarella del quartiere. È stato una delle prime vittime innocenti della violenza che in quel periodo dilagava con particolare ferocia a Napoli e nel suo hinterland. Dopo di lui altri piccoli: Nunzio Pandolfi, Fabio De Pandi, Gioacchino Costanzo, Ciro Zirp oli, Valentina Terracciano, Annalisa Durante. Erano gli anni della guerra tra la Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo e la Nuova famiglia che riuniva gli esponenti di vari clan, dai Nuvoletta ai Giuliano, dai Bardellino ai Gionta. Bande che si combattevano in modo spietato per il controllo del mercato della droga e di altre attività illecite, ma anche per avere riconosciuta la leadership e il predominio all'interno della malavita campana.
Gigi era un bambino esile e dimostrava meno anni di quelli che aveva. Anche a lui come a tutti i suoi coetanei gli era stato affibbiato un soprannome. Lo chiamavano "chin 'e lana" perché una volta era raffreddato e gli colava il naso nonostante avesse addosso più di un maglione di lana. E, come spesso succede nei quartieri di Napoli, da un episodio nasce un appellativo che resta per la vita. Dopo due bocciature in terza elementare aveva lasciato la scuola.
Aveva notevoli difficoltà di apprendimento e non sapeva né leggere né scrivere. Il fenomeno dell' abbandono scolastico a Napoli era molto consistente in quell'epoca. Tanti bambini non frequentavano la scuola perché non erano vaccinati o per gli effetti del terremoto del 1980 che aveva causato la chiusura di molti istituti con doppi e tripli turni in quelle funzionanti, mentre gli spostamenti di abitazione dei terremotati scombussolarono le famiglie e rendevano discontinua la frequenza scolastica. In ogni caso, i minori napoletani versavano in una condizione di abbandono e di incuria. Il modello camorrista sembrava quello più seducente perché restituiva rispetto, onore e facilità di accesso ai simboli della società dei consumi. In qualche modo rappresentava il riscatto sociale dal fallimento scolastico e umano.
Gigi trascorreva le sue giornate con gli amici, in giro per il quartiere. Era molto curioso e cominciò ad osservare quell'andirivieni di giovani studenti che nel frattempo avevano messo piede nel rione per far studiare i bambini. Erano i volontari della Comunità di Sant'Egidio che avevano fatto nascere nel quartiere l'esperienza della Scuola Popolare. Ma non frequentando la scuola non era tra quelli seguiti, tuttavia stazionava sempre fuori dall'edificio in attesa che qualcuno si accorgesse di lui. Per farsi notare scavalcava la cancellata e andava a bussare alla porta di ferro per entrare. Una scena che si ripeteva tutte le volte, finché non invitò uno degli studenti ad andare a casa sua. Nacque un'amicizia e iniziò a frequentare la Scuola Popolare, in attesa di iscriversi alla scuola stataleall'inizio del nuovo anno scolastico.
Come tanti bambini dell'epoca non si era mai allontanato da casa e con i nuovi amici di cui andava fiero, cominciò ad uscire dal quartiere. Le gite allo zoo e all'aeroporto, la colonia estiva e persino una visita all'ospedale furono occasioni per conoscere la città e scoprire nuovi mondi. Nel settembre del 1983 tornò a scuola. Le sue difficoltà di apprendimento convinsero gli insegnanti ad assegnargli una maestra di sostegno, che subito lo definì un disadattato. Il motivo di questo giudizio derivava anche dal fatto che Gigi chiamava la nuova docente con il nome Raffaele: nellasua grande ironia aveva riscontrato una grande somiglianza dell'insegnante con uno dei giovani amici della Scuola Popolare.
Sono trascorsi 30 anni da quei fatti. La morte di Gigi è una ferita che non si è rimarginata. E continua a sanguinare ogni volta che un una mano violenta tronca altre giovani vite nella nostra città. Una strage degli innocenti dove Erode prende il nome e le sembianze della camorra che non conosce più limiti e continua a rubare anni di vita ai piccoli figli di Napoli.