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17 Aprile 2014

La Via Crucis e il cammino dei detenuti verso il riscatto

 
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La Via Crucis nelle carceri avvicina in modo straordinario la sofferenza di chi è detenuto alla Passione di Cristo. I racconti dei Vangeli che narrano gli episodi della via dolorosa tanto spesso sembrano essere uno spaccato di quello che avviene a chi finisce in galera, anche nel nostro paese, su cui incombe la condanna dell'Europa per il trattamento inumano e degradante del sistema carcerario.  Fin dal momento dell'arresto in cui si è spogliati, privati dei propri oggetti personali e talvolta della propria dignità, ci sono dei tratti che fanno riconoscere l'amara esperienza dei detenuti di ogni carcere in Gesù. Quest’anno, nella Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo, Papa Francesco farà un significativo riferimento alle disumane condizioni delle prigioni: dai temi del sovraffollamento, ai suicidi, fino alla lentezza della giustizia. Gesù condannato, scartato, vittima di razzismo e di calunnia è una delle immagini proposte nelle meditazioni dei testi preparati dall’arcivescovo di Campobasso Giancarlo Bregantini.

Nel carcere di Poggioreale la tradizionale Via Crucis parte davanti al padiglione Roma. Una grande croce viene portata a turno dai reclusi per i viali del penitenziario dove si snodano le quattordici stazioni, così quelli che non partecipano possono ascoltare il rito quando il corteo è nei pressi della loro cella. 
Ci sono le pie donne, le suore sempre attente affinché tutto riesca per il meglio, mentre le guardie sono pronte a vigilare e a riprendere quelli che parlano tra di loro. I volontari guidano la processione.

Il grido crescente della folla inferocita che condanna sbrigativamente Gesù rievoca quella cultura del disprezzo e quella diffidenza superficiale con cui tanto facilmente la società odierna giudica i detenuti, seppur colpevoli dei reati commessi. Una moltitudine interattiva che punta il dito con un click per condannare o assolvere tra una connessione e l’altra. Cosa può venire di buono da Poggioreale, potremmo dire oggi? Le tante storie che approdano nelle carceri sembrano essere simili, recite degli stessi copioni, ma in realtà sono esistenze uniche e irripetibili, ciascuna con il suo carico di mistero (perché il male è un mistero) e di sofferenza. La scena in cui Gesù viene picchiato, insultato e preso a sputi, può forse evocare celle zero e maltrattamenti di cui tanto si è parlato nei mesi scorsi. Tuttavia, la professione di fede del centurione  che riconosce la grandezza di Dio e avverte un senso di pietà per quell’uomo vinto e sofferente, è la prima forma di riscatto che scaturisce dalla Passione di Cristo. Quello del soldato romano doveva essere davvero un lavoro ingrato, catapultato in una terra straniera a trascorrere interi pomeriggi infuocati su quella collina rocciosa per fare la guardia a ladri, assassini e folli. Un lavoro che induriva il cuore e anestetizzava i sentimenti.

Nell’ultima stazione le donne vanno di buon mattino al sepolcro dove è stato deposto Gesù, come quelle mamme e quelle mogli che all’alba fanno quelle file disumane per andare a trovare i propri cari. Gli olii e i profumi aromatici a Poggioreale sono anche quel sapone e quei bagnoschiuma che le suore dispensano con tanta generosità. Alcuni anni fa, un detenuto nel commentare questa scena raccontava che di notte gli sembrava di stare in quel sepolcro. E dal buio della sua cella, mentre i compagni dormivano, chiese al Signore se anche per lui ci sarebbe stata resurrezione. Al termine del rito il gruppo si scioglie e si torna nelle celle. Nel carcere di Poggioreale la via crucis continua nella vita di tutti i giorni. Ma il Venerdì Santo spesso lascia tracce nel cuore. Il desiderio di cambiare vita, una domanda di perdono. Quella che rivolse, appeso alla croce, il Buon Ladrone a Gesù.


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