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6 Febbraio 2018

«Ma l'integrazione da noi è possibile»

L’intervista. Impagliazzo, Comunità SantEgidio: «L’integrazione in Italia? Anche se non è regolata da leggi appropriate che ne favorirebbero il processo, come lo Ius soli e lo Ius culturae, ha ormai raggiunto livelli avanzati, più di quanto si possa pensare».

 
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Riflettendo sul tema della convivenza tra italiani e migranti, Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, forte dell’esperienza quotidiana maturata in un movimento che da 50 anni lavora sul fronte dell’accoglienza e dell’integrazione, tratteggia un quadro più confortante del previsto: «Una bella realtà che non corrisponde affatto alla percezione negativa dell’immigrazione diffusa nel nostro Paese».
Ma dove si può osservare? In quali cointesti? Negli ultimi giorni i fatti di cronaca, tra episodi di violenza e intolleranza, sembrano suggerirci tutt’altro.
«Grazie all’impulso delle comunità cristiane e dei sindacati, l’inclusione si è sviluppata in ogni ambito, da quello lavorativo a quello familiare, tanto che oggi i migranti costituiscono un tassello fondamentale della nostra economia e del nostro welfare. Pensiamo solo alla presenza delle badanti, fattore umano di integrazione, elogiate due settimane fa dal Papa: siamo il Paese europeo che ne ha di più. Per non parlare del mondo della scuola, primo luogo di scambio e socialità, dove ormai i bambini italiani hanno imparato a conoscere i figli degli immigrati».
Succede anche nei quartieri degradati, nelle nostre periferie?
«Lì è tutto molto più difficile, i rapporti sono tesi, soprattutto a causa dell’emergenza abitativa, delle tante case sfitte e occupate. Un problema che mette l’una contra l’altra migliaia di famiglie. Ma anche in queste aree qualcosa sta cambiando, proprio a partire dal contesto scolastico, dove si creano le fondamenta dell’integrazione».
Rispetto ad altri Paesi Ue con una forte presenza di migranti qual è il livello di inclusione in Italia?
«Difficile stabilire se è più alto o più basso. Di certo, anche se non abbiamo “modelli” di integrazione come quello tedesco, francese o britannico (peraltro falliti), possiamo contare su due grandi vantaggi. Il primo: in Italia non esiste un gruppo prevalente di immigrati, come gli algerini in Francia, i turchi in Germania o i pachistani nel Regno Unito, ma c’è una differenziazione delle presenze, con persone che arrivano da oltre 150 Paesi del mondo, e ciò impedisce la formazione di un gruppo prevalente, rendendo la convivenza sociale più gestibile e tranquilla. Il secondo: la maggioranza di immigrati è rappresentata da donne, grande veicolo dialogo e inclusione».
Ma gli italiani come sono visti dai migranti?
«Nonostante gli episodi di razzismo siano in aumento, ci percepiscono sempre come persone accoglienti e inclusive, ma continuano a guardare l’Italia come un Paese di transito, con poche opportunità di lavoro».


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