Vescovo di Rieti, Italia
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“Ogni dimora è un candelabro dove ardono in appartata fiamma le vite”. È lo splendido verso di una poesia di Borges che Papa Francesco cita nella Amoris Laetitia. Ogni casa ha una luce, un profumo, un calore. Custodisce memorie e speranze. È uno spazio sonoro di voci, attività, ritmi comuni.
Accumoli, Amatrice e Arquata del Tronto dopo la tragica notte in cui le lancette si sono fermate, sono completamente sfigurate. Prima le grida, poi il silenzio. Le case da culle a tombe. I luoghi di convivialità e ristoro implosi e franati, antiche chiese distrutte, preziosi affreschi in polvere. Le case degli uomini e le case del Signore, quasi niente è stato risparmiato. Chi vede rimane colpito nel profondo dai resti che testimoniano una intimità violata, impudentemente esibita agli occhi del passante. È struggente vedere, tra le macerie, una madonnina appesa a una parete, uno scaffale con i libri rimasti in bell'ordine mentre tutto intorno è crollato, un balconcino con gerani rossi ben curati mentre il resto della casa è ridotto a un cumulo di pietre. La vita e la morte così abbracciate. La ferita così aperta.
Chi è sopravvissuto sente ancora nelle ossa, nei muscoli, nelle orecchie l’eco di quella scossa interminabile. Tutto questo non si può cancellare. Ma non può e non deve essere l'ultima parola.
È crollato un mondo, però non si ė spento lo spirito di questi luoghi, che il dolore rende ancora più sacri. La solidarietà generosa di tutti gli italiani, che si è mobilitata da subito, ha incontrato una popolazione dignitosa e composta. Forse, in fondo, consapevole che c'è una missione scritta nel luogo, nelle pietre e nei monti, nella terra che reca le tracce di San Francesco. Una missione che va onorata. Questa radice di spirito, natura e storia non è importante solo per la gente di qui, per trovare la forza di ripartire. È importante per tutti. E anche in questo momento, proprio in queste circostanze così dure, va testimoniata.
Abbiamo bisogno dello sguardo radicato in questa cultura. In un mondo dove la tecnocrazia diventa sempre più potente, le città sempre più uguali, le relazioni sempre più contrattuali c'è bisogno della prospettiva unica che si apre da questi luoghi. La ricostruzione può e deve nutrirsi di questa linfa, radicarsi in questo genius loci, continuare a raccontare questa unicità, a cui tutti si possono abbeverare.
Il tempo congelato dalle lancette, in quell'istante che si è mangiato le case e le vite deve ripartire, diventare un tempo forte propizio alla rinascita. Ma non si rinasce da soli. È importante uscire dalle logiche che ormai hanno plasmato i meccanismi della nostra attenzione. Il tempo della solidarietà non è il tempo della notizia. Il tempo della ricostruzione è lungo, e tanti forse non vedranno rinascere Amatrice e Accumoli. Ma riusciranno ad attraversare questa desolazione, per il bene di chi verrà, se rimarranno fedeli alla loro terra, se non saranno lasciati soli; e se continueranno, come hanno fatto da subito, ad accompagnarsi e sostenersi a vicenda.
La scuola è incominciata, la vita pian piano si fa strada tra le macerie, le relazioni ritessono un po' alla volta la trama dei luoghi. Si ricomincia ad abitare, ben prima di poter riedificare.
Anche in questo, i bambini ci sono maestri e ci indicano la via, come ha scritto con parole semplici e vere Gianni Rodari:
“Tra le tende dopo il terremoto
i bambini giocano a palla avvelenata,
al mondo, ai quattro cantoni,
a guardie e ladri, la vita rimbalza
elastica, non vuole
altro che vivere”.
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