A metà degli anni ’70 quando la spinta demografica e la contestazione politica e sociale stavano già minando le basi della convivenza civile in Italia, il convengo ecclesiale su “La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e di giustizia nella diocesi di Roma”, poi semplicemente definito il convegno “sui mali di Roma”, fu un momento determinante della presa di coscienza da parte della diocesi del Papa in tutte le sue componenti delle proprie responsabilità di fronte alla storia e alla società. Fu uno “spartiacque nel modo di concepire e di vivere l’esperienza della Chiesa”, ha detto il Cardinale Vicario Agostino; fu “un momento forte di presa di coscienza della Chiesa di Roma dal punto di vista pastorale”.
Vallini ha portato il suo saluto alla giornata di riflessione a 40 anni da quell’evento, organizzata ieri dalla Comunità di Sant’Egidio e dal Censis nella sala della Protomoteca in Campidoglio. Per il Censis ha parlato il suo presidente Giuseppe De Rita, che del convegno ecclesiale fu uno dei relatori insieme a mons. Clemente Riva; per Sant’Egidio il fondatore della Comunità Andrea Riccardi e il presidente Marco Impagliazzo. Intervenuti anche due altri protagonisti di allora, mons. Pietro Sigurani e suor Lorenzina Colosi.
De Rita ha messo in rilievo la duplice ispirazione del convegno: riconoscimento della libertà di coscienza e della responsabilità dei singoli nella costruzione della società. Riccardi ha ricordato come per la Comunità da lui fondata la partecipazione al convegno fu "un momento in cui mettere a fuoco la connessione vitale tra spiritualità e solidarietà, come due dimensioni in cui vivere Roma". Per la Chiesa di Roma, poi, fu "l’evento natale della sua esistenza contemporanea come soggetto", tanto più vitale oggi in quanto “la Chiesa resta una risorsa importante non più però in una Roma dai tanti soggetti sociali, ma nel vuoto di un'atomizzazione accentuata".
Non poteva mancare un riferimento al nuovo vescovo di Roma, Papa Francesco, e alla sua attenzione alle "periferie" del mondo, che ben si adatta anche ad una città come Roma, dove “si è realizzato un processo di complessiva periferizzazione dei quartieri, privi di riferimenti aggregativi, in una città periferizzata rispetto ai poteri reali, vieppiù invisibili e imprendibili”.
Impagliazzo ha inquadrato il convegno del febbraio ’74 nella transizione fra il modello di “città sacra” e quello di una “città malata” che cominciava a conoscere i fenomeni di un dissenso che non risparmiava la Chiesa e che il cardinale Poletti (l’organizzatore del convegno ecclesiale) e lo stesso papa Paolo VI tentarono di “ricomporre pur in un momento segnato da forti tensioni”.
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