Stavolta è toccato alle botteghe, concentrate nel nord-est di Johannesburg. I bus sono arrivati nel cuore della notte tra giovedì e venerdì. Armati di spranghe e machete, i passeggeri sono scesi, furtivi. Subito hanno iniziato a distruggere con meticolosa sistematicità i piccoli esercizi degli "kwerekwere", termine spregiativo per "stranieri".
Una dopo l'altra, le serrande sono state divelte, le auto parcheggiate bruciate. Incendiato anche un edificio dove alloggiavano molti dei proprietari dei negozi. In duecento sono fuggiti dalle fiamme, scalzi e in pigiama e hanno trovato rifugio nella vicina stazione di polizia di Jeppestown. Qualche ora dopo, sempre a Johannesburg, gli agenti hanno dovuto improvvisare un cordone di sicurezza intorno a un quartiere ad alta densità di "kwerekwere" per disperdere il nuovo assalto.
L'ondata di violenza xenofoba, partita nelle ultime settimane dalle periferie del Sudafrica, è arrivata anche nel cuore economico della "nazione arcobaleno". In meno di un mese, almeno 74 stranieri sono stati uccisi in una raffica di attacchi.
«Azioni inaccettabili e imbarazzanti», ha affermato la Comunità di Sant'Egidio, da tempo impegnata nel Paese, che contraddicono i principi stessi dello Stato sognato da Nelson Mandela. In realtà, non è la prima volta che gli immigrati vengano presi di mira: nel 2008, furono uccisi in 62. Come allora, la ragione è la crisi economica e l'elevata disoccupazione, ormai intorno al 24 per cento.
I sudafricani più poveri accusano gli immigrati di portar via loro il lavoro. Poco importa che le ragioni della recessione siano altre. In primis, l'aumento del costo dell'energia e gli scioperi minerari che hanno paralizzato il settore chiave del platino per oltre un anno. La crescita del 2014 è stata poco superiore all'uno per cento. Secondo gli esperti, dovrebbe essere almeno del 5 per consentire al governo di ridurre le diseguaglianze e creare nuovi posti di lavoro.
Gli immigrati non c'entrano. Eppure sono un perfetto "capro espiatorio". Dalla fine dell'apartheid, ventuno anni fa, il Paese-locomotiva dell'Africa meridionale ha attirato un flusso di manodopera dai vicini poveri, come Nigeria, Malawi e Zimbabwe. Ma anche da India, Cina e Pakistan. Attualmente, gli immigrati sono almeno due milioni, il 4 per cento della popolazione. Secondo stime non ufficiali, però, sarebbero oltre il doppio. A causa delle recenti violenze, il Malawi ha noleggiato dei bus per rimpatriare 500 propri cittadini. Anche Kenya, Mozambico e Ciad hanno annunciato misure analoghe. Il presidente Jacob Zuma, da parte sua, ha condannato gli attacchi, definiti «ingiustificabili». La tensione, però, in Sudafrica, resta alta.
Lucia Capuzzi
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