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21 Février 2016

La storia. Il migrante ha raccontato agli studenti di Parma la sua odissea.

Dawood, dall'Afghanistan con il sogno della libertà

«Ho visto annegare il mio amico Ali e ho viaggiato un anno per arrivare in Italia. Ma adesso è questo il mio Paese»

 
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Non può dimenticare la voce di Ali, Dawood. Il grido di aiuto di quell'amico caduto in mare: dura un minuto, l'invocazione. Poi il silenzio. Solo il rumore delle onde. E non può nemmeno scordare, Dawood, quel confine lontano disseminato di mine e scheletri. Le cose che nessuno dovrebbe mai incontrare, lui le ha viste.
Eppure ieri, ospite dell'incontro organizzato dai Giovani per la pace della comunità di Sant'Egidio al cinema Astra, ha parlato del coraggio della speranza. Proprio nel giorno in cui ha compiuto 31 anni.
Lui, Dawood Yousefi, afgano, ha lasciato il suo paese che non aveva ancora 17 anni e dopo un'odissea durata un anno è arrivato in Italia. Vive a Roma, lavora nel campo del sociale. E, davanti a una platea di circa 400 studenti delle scuole superiori, non ha esitato un attimo a raccontare il suo lungo viaggio da migrante.
«In Afghanistan -inizia - andavo a scuola e facevo volontariato nella Croce rossa internazionale, cosa che non era ben vista dai talebani. Sono stato minacciato più volte. Quando alcuni miei amici sono stati uccisi ho deciso di scappare».
Dall'Afghanistan all'Iran e qui, al confine con la Turchia, resta bloccato insieme a tante altre persone: «Avevamo soldati davanti e dietro, non potevamo muoverci. Mangiavamo foglie ed erbe. C'erano scheletri di persone e animali. Alla fine, in 120, siamo riusciti ad andare pagando alcuni militari che ci hanno detto dove passare per non finire sulle mine».
A Istanbul i trafficanti li tengono in una casa: se non pagavi non potevi andare avanti. Dawood riesce a proseguire il suo viaggio: compra un gommone e con quattro amici affronta il mare. E' lì che si consuma la tragedia: le acque sono molto mosse, ne restano in balia per ore. Uno di loro, Ali, cade: «Per un minuto abbiamo sentito la sua richiesta d'aiuto. Poi il silenzio». Con quello stesso cellulare che conserva ancora oggi, Dawood invia un sms alla guardia costiera greca: così lui e i tre amici superstiti si mettono in salvo. Ma in Grecia non può restare: si imbarca al porto di Patrasso, attaccato sotto un camion, e giunge a Bari.
Poi l'arrivo a Roma, dove per tre mesi vive nella stazione Ostiense: lì incontra gli uomini della comunità di Sant'Egidio, inizia a frequentare la loro scuola di italiano. E' la svolta. «La sofferenza mi ha fatto crescere. I sogni mi hanno dato la forza di andare avanti». 12 mila dollari gli è costato il viaggio, supportato da uno zio che vive in Australia: «Quando parti non sai dove arriverai, vuoi solo salvarti la vita».
La famiglia non la vede da 14 anni: «Mi manca il mio paese ma non tornerei a viverci. Mi sento italiano. E a chi arriva dico dí imparare la lingua perché è così che si entra in contatto». Poi il resto lo fa il cuore: «Perché è da lì che vengono le cose belle».


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