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4 Novembre 2017

Ebraismo, fine di un pregiudizio Da uno studio di De Cesaris l`antico ponte col cattolicesimo

Marco Impagliazzo. Ebraismo: la fine di un pregiudizio

Da parte cattolica fu contrapposizione religiosa, non razziale E dal '900 si valorizzò il «comune spirito semita». Uno studio di De Cesaris

 
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"Spiritualmente semiti. La risposta cattolica all'antisemitismo", è il nuovo libro di Valerio De Cesaris, studioso da lunga data dell'argomento, edito dalle edizioni Guerini (pagine 192, euro 20,00). Il titolo esprime bene il punto di vista dell'autore, il quale anche in precedenza, con i suoi saggi "Pro Judaeis" (2006) e "Vaticano, fascismo e questione razziale" (2010), ha messo bene in luce come al di là delle superficiali affinità, sul piano storico tra cattolicesimo e antisemitismo ci sia una sostanziale incompatibilità. Questo non vuol dire certo che nella storia del cristianesimo il pregiudizio antiebraico non trovi posto, ma che il pregiudizio religioso, definito antigiudaismo, non sia assimilabile a quello nazionalista di stampo razziale. La parabola dell'antigiudaismo religioso è, infatti, diversa da quella dell'antisemitismo moderno, che si afferma negli ultimi decenni dell'Ottocento.
Questa contrapposizione tra antigiudaismo e antisemitismo, non è un gioco di parole, ma è alla base della comprensione storica della specificità dell'antisemitismo: uno dei caratteri particolari dell'antisemitismo è il suo sfociare quasi inesorabilmente nell'anticristianesimo. Cos'è infatti il cristianesimo se non un frutto della pianta semitica? Gesù era ebreo; così Maria, i dodici apostoli e i primi martiri; il cristianesimo ha assunto nel canone dei libri rivelati il testo sacro dell'ebraismo; le preghiere cristiane sono intrise di spiritualità ebraica attraverso la comune ispirazione ai Salmi; la liturgia cristiana è intrinsecamente legata alla tradizione ebraica attraverso i continui richiami del Nuovo Testamento all'Antico.
Questo vastissimo patrimonio comune comincia a essere riscoperto nel cattolicesimo nella prima metà del Novecento, ma gli ambienti cristiani più sensibili prendono coscienza dell'intrinseco legame con la tradizione ebraica proprio confrontandosi con l'antisemitismo razziale che pretendeva di avere tra i propri ispiratori la tradizione ecclesiastica. Il carattere anticristiano dell'antisemitismo viene percepito in modo sempre più chiaro fino a mettere in crisi anche il tradizionale antigiudaismo religioso. Infatti, inoltrandosi negli anni Trenta, di fronte a uno dei momenti centrali della giustificazione religiosa dell'antigiudaismo, la passione di Gesù, si fa sempre più insistente îl richiamo, non alla maledizione («Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli», Mt, 27, 25), ma al perdono di Gesù verso i suoi persecutori («perdona loro perché non sanno quello che fanno», Lc 23, 34).
Si tratta di una storia di graduale affrancamento dal plurisecolare pregiudizio antiebraico, fino al ripudio di quell'odio antico, con la svolta del Concilio Vaticano II e in particolare della dichiarazione Nostra aetate. Una storia di lungo periodo che l'autore affronta con ampiezza di vedute e mettendola in relazione ai grandi cambiamenti intervenuti nella società e nella Chiesa tra Ottocento e Novecento. Un percorso tormentato, ma chiaro nella sua linea cli graduale delegittimazione dell'odio antiebraico, di cui una tappa significativa è costituita dal 1938, quando Maritain scriveva dell'«impossibile antisemitismo» e Pio XI, in risposta alla campagna antisemita fascista, affermava perentoriamente: «L'antisemitismo è inammissibile. Noi siamo spiritualmente semiti».
Non è senza significato che tra gli artefici di questo percorso vi siano delle figure liminari tra le due tradizioni religiose: figure di convertiti dall'ebraismo al cristianesimo, che sulla linea di Paolo di Tarso, non rinnegano il loro mondo di provenienza. Li troviamo tra i più stretti collaboratori di padre Agostino Bea, nella redazione del documento conciliare sugli ebrei che poi divenne la Nostra aetate: Osterreicher, Baum, Hussar, promotori delle prime fasi del dialogo ebraico-cristiano e della revisione dell'«insegnamento del disprezzo», che Giovanni XXIII aveva voluto come uno dei segni più indicativi dell'aggiornamento conciliare e della nuova attitudine di apertura della Chiesa verso il mondo moderno. Per tutte queste ragioni è da salutare con grande interesse il bel volume che Valerio De Cesaris ha realizzato in un tempo in cui la chiarezza su certe questioni è più che mai necessaria.


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