| 19 Octobre 2017 |
Il nuovo libro di monsignor Paglia |
Il crollo del noi chiede più fraternità |
La paura dell'altro spinge l'individuo a rinchiudersi in difesa. L'antidoto è il Vangelo, l'unico che può contrastare il tramonto dell'uomo e delle società |
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Sembra un paradosso, ma all'epoca della globalizzazione il "noi" è sparito. Anzi è crollato. Di cosa si tratta? Forse della fine della società e della fraternità, che è ben di più della crisi della solidarietà e della democrazia? Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, ragiona nel suo ultimo libro proprio sul crollo del "noi" che è come dire la morte del prossimo.
Quali sono le macerie che lascia dietro il crollo del "noi"?
«Hanno molti nomi, ma possono essere raccolte sotto due concetti e cioè chiusure e ripiegamenti. Le macerie della paura collettiva, che è cresciuta a tal punto che nessuno riesce più a governarla e che si vede benissimo nella questione dell'immigrazione. C'è una paura isterica dell'altro, la sicurezza è diventata una priorità assoluta. Così si allontanano gli altri, non ci si fida più. Prevalgono le esigenze dell'io. Le macerie sono i muri, le recinzioni. Si impedisce l'ingresso all'estraneo e tutto ciò è vissuto come una normalità. Oggi è normale la tolleranza zero. Le città sono macerie urbane. Il concetto di "urbe", che è qualcosa che ha a che fare non tanto con la convivenza quanto con la fraternità e la comunità, è stato sbaragliato e si moltiplicano le trincee, i cancelli, con limiti invalicabili, cartelli minacciosi, edifici fortificati, che non comunicano e solidificano divisioni».
E lei perché non ci sta e denuncia?
«C'è un'indicazione precisa nella Bibbia: "Non è bene che l'uomo sia solo". Io parto proprio da lì e metto in fila le cose che non vanno. Vedo una solitudine compiaciuta e spesso disperata, esasperata dalle nuove tecnologie digitali. E mi chiedo se è il tramonto dell'uomo».
La risposta qual è?
«Osservo che ognuno parla per sé e l'individualismo ha polverizzato la società. Ci si attrezza per difendersi da tutto, si passa il tempo a proteggersi. Ma ritrarsi nel proprio recinto non è solo inutile, è anche pericoloso e il rischio è lacerare i legami che intrecciano e trasmettono la vita alle nuove generazioni. Sì, la disgregazione del convivere può portare al tramonto dell'uomo».
Torna il paradosso della globalizzazione: ha favorito il crollo del "noi"?
«Facciamo fatica a comprendere realmente quello che accade e a governare il cambiamento. Papa Francesco indica perfettamente il problema quando dice che non è un'epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d'epoca. Che non riusciamo nemmeno a guardarci dentro con lucidità. Non abbiamo una larga visione e allora lo smarrimento diventa inevitabile, come la spinta a ripiegarsi su sé stessi, a rinchiudersi nei propri limitati confini e a coltivare ciascuno il proprio "io" e ben poco altro. Il sogno di unire i popoli, per esempio, è svanito. Abbiamo cancellato l'idea che ha sostenuto intere generazioni che si possa trovare una prospettiva oltre gli interessi delle singole parti».
Eppure mai come oggi c'è tanta consapevolezza della dignità della persona umana...
«Certo, ma il problema nasce dall'illusione dell'onnipotenza individuale a motivo dello sganciamento dagli altri, dal rifiuto del "noi", dal concepirsi autonomi da tutti e da tutto. Invece la condizione umana è quella della fraternità E oggi dobbiamo inventarne una nuova».
A partire da cosa?
«Da domande fondamentali: è possibile un mondo fraterno, senza violenza, senza miseria, senza egoismo? Chi potrà offrire nuovi sogni, nuovi ideali, nuove visioni? Le risposte portano a una nuova fraternità, un nuovo umanesimo e anche una nuova globalizzazione».
Il cristianesimo cosa può offrire?
«Tutto: contenuti, metodo e stile. E, soprattutto, passione per il mondo e chi lo abita. I cristiani hanno la responsabilità primaria di chinarsi sul mondo e diventare compagni di viaggio di tutti, con la preferenza per quelli che stanno in fondo alla fila sempre e comunque. Non c'è un altro mondo dove rifugiarsi, anzi un cristiano che cerca rifugio per sé e al limite i suoi cari tradisce il Vangelo».
Lei ha dedicato il libro alla Comunità di Sant'Egidio. Perché?
«L'anno prossimo compie cinquant'anni. Nacque come una sfida alla solitudine nelle periferie romane e trovò nel Vangelo la risposta per ricostruire una fraternità e tante amicizie con i poveri. Oggi è presente in più di settanta Paesi del mondo e continua a non rassegnarsi al crollo del noi, anzi ha saputo inventare una nuova prossimità. Con tutti».
Alberto Bobbio
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